La sindrome della prima fila
Fissazioni e perversioni del presenzialismo
Mauro giancaspro
Non sempre i posti di prima fila sono i più comodi. Nelle rappresentazioni liriche, ad esempio, lo stare davanti a tutti, vicinissimi al golfo mistico, costringe lo spettatore a sedere in posizione scomodissima con il collo teso allo spasimo per riuscire a vedere dei cantanti in scena oltre i piedi, che gli sono davanti ad altezza di occhi, anche il corpo e possibilmente il viso. Senza considerare che la prossimità all’orchestra distorce l’ascolto con la prevalenza dello strumento più vicino.
Assistendo a un musical questa posizione avanzata sottopone allo stress di trovarsi a un passo dallo schieramento minaccioso di altoparlanti che ti riversano addosso decine di migliaia di decibel e ululano bassi da giudizio universale che uncinano lo stomaco.
Nelle conferenze, nei convegni e nelle presentazioni di libri la prima fila è una trappola mortale perché, sotto lo sguardo severo degli oratori, all’arrivo puntuale della noia e dello sforzo per reprimere lo sbadiglio, non c’è alcuna possibilità di fuga. A nulla serve fingere di ricevere una telefonata urgente al telefonino, perché si tratta di trucco ingenuo, banale e conosciutissimo.
Tutto lascerebbe immaginare, dunque, un diffuso desiderio di evitare la prima fila. E invece, accade il contrario, perché nei posti di prima fila siedono le persone di rango, quelle che s’illudono di esserlo o quelle che disperatamente aspirano a diventarlo. Persone che, attenzione, si guardano bene dal commettere l’errore di arrivare prima degli altri. Perché nel raggiungere la prima fila aspettano che la platea sia già gremita, così che, procedendo con studiata lentezza, possano rispondere con benevoli sorrisi a chi, seduto lontano dalla bramata prima fila, invia segnali di saluto. E non ci sarebbe nemmeno bisogno dei cartellini “riservato” perché ormai ognuno sa qual è il posto che gli spetta, dall’assessore regionale al consigliere comunale, dal presidente di qualche ente al parente dell’attore o dell’oratore.
Il posizionamento in prima fila diventa questione di vita o di morte. Non di rado nei congressi e nei meeting di associazioni, club e sodalizi nei quali il grado rivestito per anzianità è fondamentale, esplodono aspri risentimenti in caso di occupazione abusiva dei posti privilegiati.
Se per caso ci sarà la televisione, emittente nazionale o di un paese di cinquemila abitanti che sia, il “primafilista” sarà visto e sarà poi fermato per strada dal conoscente che dirà pieno di ammirazione: “L’ho vista in televisione”.
Endemiche caratteristiche, queste, di una cultura nella quale l’apparire non solo è superiore, come ormai sanno tutti, all’essere; ma prevale anche sulla comodità e sulla possibilità di sottrarsi alla tortura della noia.
E la rete ha reso la fissazione della prima fila, come si dice adesso, virale, perché oggi ci dividiamo tutti in spiati dai cellulari e spioni coi cellulari: che vergogna per il veterano titolato del club essere postato mentre siede in seconda o addirittura in terza fila! La sindrome del “primafilista” è assai simile e vicina alla sindrome del microfono. Chi sta in prima fila non aspetta altro che il momento di essere invitato a dare una testimonianza o di potersi alzare spontaneamente per fare una domanda.
E così il “primofilista” si trasforma in “microfonofilo”, perché l’impugnare il microfono è ormai diffusa libido irrefrenabile. Tanto che agli ormai rarissimi esseri umani di poche parole, abituati più ad ascoltare che a parlare, è venuto il sospetto che quella del microfono sia una delle più perverse invenzioni della modernità.
Se non parli al microfono non sei nessuno! Anche in un’aula dove la voce umana arriva fino all’ultima fila, stare al microfono per chi ci parla dentro è cosa corroborante e rassicurante. Anche se il microfono è spento.
C’è il frequentatore abituale di conferenze, anche impegnative su argomenti specializzatissimi, che si sottopone a incredibili torture di ascolto pur di riuscire alla fine ad agguantare il microfono per una riflessione, che non interessa nessuno, mentre il figlio o la moglie lo fotografa, perché sia in tempo reale sui social in attesa dei “mi piace” di parenti e amici.
Prima fila o microfono, “primofilista” o “microfonofilo per essere qualcuno: non in società come si diceva una volta, ma sui social come si dice oggi.
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