ELSA MORANTE E L’ISOLA DI ARTURO
di Sergio Saviane
Non si capisce bene dove lavori Elsa Morante: se In via dell’Oca 27, dove ha alcune stanze sopra l’appartamento del marito Alberto Moravia, o In via Archimede 121, dove ha uno studio più complicato e ancora più personale. Gli amici dicono che Elsa Morante pensa in via dell’Oca quello che poi scrive, nel pomeriggio, In via Archimede. Per ora, comunque, Elsa Morante passa quasi tutta la sua vita in questi due appartamenti tra dischi di Mozart, Verdi, Pergolesl e gatti siamesi e persiani. Eppure è proprio nelle piccole stanze di via dell’Oca che sembrano nascondersi, con i gatti, sotto i sommiers e le poltrone grosse e impacciate tra le strette pareti, i segreti più cari della Morante. Nella camera-studio, che riceve obliquamente il sole di via Ripetta e di piazza del Popolo, l’autrice di Menzogna e sortileggio custodisce ricordi di lunghe giornate di lavoro e notti intere passate intorno al suo primo libro, così pieno di penombre, inganni, tradimenti, sotterfugi. E anche se, a prima vista, la misteriosa abitatrice di quelle stanzette sembra non voglia interessarsi ai fatti più esteriori della vita, agli amici, al marito, ai libri, agli scrittori, tuttavia si sente vivere dentro di lei una grande popolazione di personaggi reali, da cui difficilmente riesce a staccarsi e che nella vita hanno le loro radici.
Chi sono questi personaggi? Negli ultimi tempi, Elsa Morante ha letto con molta cura tutto Pavese.
Elsa Morante non scrive sempre. Nei periodi in cui la prende l’assillo di un nuovo libro dedica quasi tutte le ore del giorno a questo lavoro. Ma è difficile che lei ne discuta. Preferisce parlare nel suoi libri. Al primo romanzo di settecento e più pagine del 1948, farà seguire presto L’Isola di Arturo: oltre cinquecento pagine.
Arturo è un ragazzo «molto intelligente e felice» che a diciotto anni, dopo essere stato prigioniero degli inglesi in Etiopia, scrive ricordando la sua prima infanzia.
«Occorre far parlare i personaggi» dice Elsa Morante «perché oggi non si crede più nella realtà obiettiva» E qui cita Balzac. «Il romanzo contemporaneo» continua «ha altre esigenze. Lo scrittore deve scrivere una realtà di cui ha un’esperienza. Per scrivere bisogna mettersi in un personaggio moderno e raccontare in modo che divenga un fenomeno moderno. Alcuni critici e gruppi credono che il romanzo sia finito. Il romanzo invece è giovane. Ha appena due secoli e mezzo e la sua grande età, a mio avviso, comincia proprio oggi. Non si tratta di rinnovare il romanzo ottocentesco. Il romanzo sociale, ottocentesco, è sorpassato».
Ma allora del Metello di Vasco Pratolini? come si spiega il grande successo? Si racconta che una sera, a proposito del Metello, nel centro di una vivace discussione con amici e scrittori, Elsa Morante abbia detto che dopo Verga non c’è stato nessun autore, salvo uno di cui non è difficile immaginare il nome, che abbia saputo costruire un vero romanzo.
Con i contemporanei Elsa Morante non sembra avere molta familiarità. Dice che Melville e Stendhal sono state le sue letture più forti, ma non parla volentieri degli scrittori del suo tempo. Ai primi nomi che si fanno, scivola su altri argomenti. Tutto al più ammette che Cesare Pavese e Aldo Palazzeschi sono i due autori preferiti. Di scrittori giovani non ne conosce molti. Ha letto qualche cosa di Italo Calvino e di Pier Paolo Pasolini (di cui apprezza le poesie dialettali, mentre fa qualche riserva su Ragazzi di vita) e Giuseppe Patroni Griffi del Ragazzo di Trastevere. Di Domenico Rea le sono molto piaciuti Madre e figlia e Idillio apparsi sull’ultimo libro, Quel che vide Cummeo: gli altri racconti le interessano meno per una certa colorazione ottocentesca. Riconosce che Moravia è romanziere sensibile ai tempi in cui slamo, ma lo considera scrittore lontano dai suoi ideali.
Elsa Morante non scrive articoli per giornali. Preferisce dedicarsi ai suoi libri e alle sue poesie. Ha finito un’opera insolita nella nostra letteratura. È una composizione in versi, Alibi, «quasi un poema», lei dice, cui è molto affezionata.
Elsa Morante non vuol sentire parlare di donne scrittrici. «È assurdo» esclama, uscendo dalla sua apparente timidezza, «dividere le scrittrici dagli scrittori: è come dividere l’umanità in biondi e bruni. Saba, che per me è il più importante poeta, dice che Marcel Proust è la più grande scrittrice del mondo».
Chi sono questi personaggi? Negli ultimi tempi, Elsa Morante ha letto con molta cura tutto Pavese.
Elsa Morante non scrive sempre. Nei periodi in cui la prende l’assillo di un nuovo libro dedica quasi tutte le ore del giorno a questo lavoro. Ma è difficile che lei ne discuta. Preferisce parlare nel suoi libri. Al primo romanzo di settecento e più pagine del 1948, farà seguire presto L’Isola di Arturo: oltre cinquecento pagine.
Arturo è un ragazzo «molto intelligente e felice» che a diciotto anni, dopo essere stato prigioniero degli inglesi in Etiopia, scrive ricordando la sua prima infanzia.
«Occorre far parlare i personaggi» dice Elsa Morante «perché oggi non si crede più nella realtà obiettiva» E qui cita Balzac. «Il romanzo contemporaneo» continua «ha altre esigenze. Lo scrittore deve scrivere una realtà di cui ha un’esperienza. Per scrivere bisogna mettersi in un personaggio moderno e raccontare in modo che divenga un fenomeno moderno. Alcuni critici e gruppi credono che il romanzo sia finito. Il romanzo invece è giovane. Ha appena due secoli e mezzo e la sua grande età, a mio avviso, comincia proprio oggi. Non si tratta di rinnovare il romanzo ottocentesco. Il romanzo sociale, ottocentesco, è sorpassato».
Ma allora del Metello di Vasco Pratolini? come si spiega il grande successo? Si racconta che una sera, a proposito del Metello, nel centro di una vivace discussione con amici e scrittori, Elsa Morante abbia detto che dopo Verga non c’è stato nessun autore, salvo uno di cui non è difficile immaginare il nome, che abbia saputo costruire un vero romanzo.
Con i contemporanei Elsa Morante non sembra avere molta familiarità. Dice che Melville e Stendhal sono state le sue letture più forti, ma non parla volentieri degli scrittori del suo tempo. Ai primi nomi che si fanno, scivola su altri argomenti. Tutto al più ammette che Cesare Pavese e Aldo Palazzeschi sono i due autori preferiti. Di scrittori giovani non ne conosce molti. Ha letto qualche cosa di Italo Calvino e di Pier Paolo Pasolini (di cui apprezza le poesie dialettali, mentre fa qualche riserva su Ragazzi di vita) e Giuseppe Patroni Griffi del Ragazzo di Trastevere. Di Domenico Rea le sono molto piaciuti Madre e figlia e Idillio apparsi sull’ultimo libro, Quel che vide Cummeo: gli altri racconti le interessano meno per una certa colorazione ottocentesca. Riconosce che Moravia è romanziere sensibile ai tempi in cui slamo, ma lo considera scrittore lontano dai suoi ideali.
Elsa Morante non scrive articoli per giornali. Preferisce dedicarsi ai suoi libri e alle sue poesie. Ha finito un’opera insolita nella nostra letteratura. È una composizione in versi, Alibi, «quasi un poema», lei dice, cui è molto affezionata.
Elsa Morante non vuol sentire parlare di donne scrittrici. «È assurdo» esclama, uscendo dalla sua apparente timidezza, «dividere le scrittrici dagli scrittori: è come dividere l’umanità in biondi e bruni. Saba, che per me è il più importante poeta, dice che Marcel Proust è la più grande scrittrice del mondo».
L’Espresso, 2 ottobre 1955
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