lunedì 28 marzo 2022

John Cheever / La doppia vita dello scrittore di New York tra ombre, tentazioni e nevrosi



Jhon Cheever nell'illustrazione di Pia Taccon


John Cheever, la doppia vita dello scrittore di New York tra ombre, tentazioni e nevrosi

Uno dei maestri della short story capace – nella vita e nelle opere – di oscillare tra dannazione e redenzione, carne e spirito, intimità e arte


di Michele Crescenzo
26 Mar 2022



Upper East Side of Manhattan, 1974. John Cheever accarezza la schiena del suo amante che dorme disteso accanto a lui. Osserva il suo corpo giovane, snello e bianco, sembra scolpito dentro le lenzuola come se fosse un quadro. Ha sempre adorato il sesso pomeridiano perché non c’è il rischio che la moglie né altri lo scoprino. Si alza piano dal letto e si affaccia alla finestra. New York dopo la pioggia gli sembra di una bellezza straordinaria, il modo in cui la pietra arenaria dei palazzi antichi di Park Avenue vira dal grigio chiaro allo scuro, il verde più intenso del Madison Square sullo sfondo e gli impermeabili e gli ombrelli che si muovono veloci e colorati. Apre la finestra e aspira l’aria. “Le uniche certezze che ho sono l’importanza dell’amore, l’odore di fritto e la musica della pioggia“. Sorride e si volta verso il suo giovane amante e all’improvviso sente salirgli la nausea come una viscida, umida vergogna. “Mi spaventa l’indefinitezza, il pensiero di essere omosessuale mi atterrisce, e provo paura e disagio“. Apre la porta ed esce svelto di casa. Sale sul suo roadster (modello A) e parte. Costeggia lento la East River nel traffico ordinato e lento. “Il mare lungo la costa sembra raccontare una storia triste, triste. Ho fatto questo viaggio migliaia di volte, e immagino che sia solo naturale, visto il mio passato, che mi venga l’ansia, che io regredisca a cose puerili, che mi spaventi non tanto di un’immagine quanto delle ombre, di quell’universo che mi vive nella coda dell’occhio“. Sospira. “Forse non aver mai conosciuto l’amore di mio padre mi ha costretto in un amore così divorante e appassionato che non ho margine di scelta“. Suo padre era un ricco venditore di scarpe che abitava in una grande casa vittoriana nel Massachusetts, ma a metà degli anni ’20 gli affari andarono male, perse la maggior parte dei suoi soldi e iniziò a bere molto. Trascorse gli ultimi anni da solo e alcolizzato.

La strada diventa più scorrevole. John Cheever vuole tornare a casa da sua moglie, dai suoi figli e vuole scrivere. “Scrivere bene, scrivere con passione, essere meno inibito, essere più caldo, essere più autocritico, riconoscere il potere così come la forza del desiderio carnale, scrivere, amare“. Nel 1930 vinse – a soli diciotto anni – il suo primo concorso di racconti sponsorizzato dal Boston Herald (dopo pochi mesi fu espulso dalla scuola per aver fumato in classe, l’autore scrisse un resoconto ironico di questa esperienza intitolato Expelled.) Nel 1935, il New Yorker acquistò il suo racconto Buffalo, per $ 45, il primo di tanti che Cheever avrebbe pubblicato sulla rivista. Lo stesso anno conobbe la sua futura moglie, Mary Winternitz, di sette anni più giovane di lui. L’ha sposata nel 1941, si è arruolato nel 1942 e il 31 luglio 1943 è nata sua figlia Susan.

Cheever svolta a sinistra ed entra in Sutton Place, dopo la guerra si era trasferito con la famiglia proprio lì vicino, in un condominio al 400 East 59th Street. Quasi ogni mattina per cinque anni, si era vestito con il suo unico abito, aveva preso l’ascensore fino alla stanza di una cameriera nel seminterrato, si era spogliato in boxer e aveva scritto fino all’ora di pranzo. Nel 1953 pubblicò The Enormous Radio (la sua seconda raccolta di racconti, la prima la rinnegò). Le recensioni furono per lo più positive, sebbene in quel periodo la preferenza generale fu per Nine Stories di JD Salinger, pubblicato più o meno nello stesso periodo.

Nel 1957, Cheever scrisse il suo primo romanzo The Wapshot Chronicle (Cronache della famiglia Wapshot, trad. di Vanni De Simone, Feltrinelli) che ha come protagonisti i membri di una eccentrica famiglia di un piccolo villaggio di pescatori del Massachusetts. La storia ha dei tratti autobiografici, in particolare nel personaggio di Coverly, che è tormentato, come Cheever, da dubbi di bisessualità. Il romanzo vinse il premio U.S. National Book Award for Fiction nel 1958.

Con il ricavato della vendita dei diritti cinematografici del racconto The Housebreaker of Shady Hill, Cheever e la sua famiglia trascorsero l’anno successivo in Italia, dove nacque il figlio Federico (In Letters of John Cheever, disse  “Volevamo chiamarlo Frederick, ma ovviamente non c’è la K nell’alfabeto qui e ho rinunciato dopo un’ora o due”).

Nel 1964 pubblicò The Wapshot Scandal (Lo scandalo Wapshot, traduzione di Leonardo Giovanni Luccone, Feltrinelli), il seguito di Cronache della famiglia Wapshot. Lo scandalo al quale il titolo fa riferimento riguarda la moglie di uno dei componenti della famiglia Wapshot, che fugge con un garzone diciottenne della locale drogheria e si rifà una vita con lui in Italia. Il libro ha ricevuto ottime recensioni tanto che Cheever è apparso sulla copertina del numero del 27 marzo della rivista Time. Dopo qualche mese, il racconto The Swimmer (Il nuotatore traduzione di Leonardo Giovanni Luccone, Feltrinelli) apparve nel numero del 18 luglio 1964 del New Yorker. Questo racconto, uno dei migliori racconti americani di sempre, racconta di Ned, un uomo ricco e sicuro di sé che ha appena passato la mezza età. È a casa di amici per un party in piscina, un giorno di mezza estate. Tutti gli ospiti stanno godendosi con pigrizia la parte più matura del giorno, ognuno impegnato con il suo mal di testa a causa della sbornia. Ned, quasi per scherzo, decide di tornare a casa sua nuotando per tutte le sedici piscine lungo il tragitto. Inizia il viaggio entusiasta e pieno di energia giovanile e, nelle prime tappe, i suoi amici borghesi lo salutano brindando con un drink in mano. Man mano che il suo viaggio procede, il tono della storia diventa gradualmente più cupo e surreale fino a un colpo di scena finale. Nell’estate del 1966, un adattamento cinematografico di The Swimmer, con Burt Lancaster, fu girato a Westport, nel Connecticut. L’autore americano fu un assiduo frequentatore del set e ha fatto un’apparizione cameo nel film.

Cheever accelera. Sono ormai due ore che guida, New York è lontana alle sue spalle. “Il senso di fallimento e disperazione sembra acutizzato dal clima di New York e dei sobborghi. In certi casi sia New York che Scarborough scatenano un egoismo che si nutre della salute e del vigore della giovinezza, o di una loro imitazione, quando vengono meno. In entrambe ci sono indizi dell’abisso, e di quando in quando senti le voci e intravedi i visi dei caduti“. Stringe forte il volante. “Sosteniamo di possedere l’onestà della disperazione mentre di fatto non facciamo altro che innalzare strutture completamente artificiose di una realtà che possa risultare accettabile, e pervicacemente ci rifiutiamo di riconoscere i termini veri della nostra esistenza“. Fruga sotto il cruscotto del suo roadster, trova una bottiglia di gin e la beve tutta. “Anno dopo anno leggo in questi diari che bevo troppo, e non può esserci dubbio sul fatto che la cosa va aumentando. Butto via più giorni, ho fitte di senso di colpa più acute; alle tre del mattino mi sveglio con le opinioni di uno della lega antialcolica. Il bere, i suoi accessori, i suoi contesti ed effetti mi disgustano. Eppure, ogni giorno a mezzogiorno allungo la mano verso la bottiglia di whisky. Non sembro capace di bere con moderazione e però non sembro capace di smettere“.

L’alcolismo di Cheever aumentò dopo il 1969, quando venne pubblicato Bullet Park (traduzione di Vanni De Simone, Feltrinelli ) un libro sui segreti, le nevrosi e i sacrifici della società americana attraverso la storia di due uomini Eliot Nailles e Paul Hammer (nail e hammer sono, in inglese, rispettivamente chiodo e martello).

Il 12 maggio 1973, Cheever si svegliò con una tosse incontrollabile e apprese in ospedale che stava per morire per un edema polmonare causato proprio dall’alcolismo. Dopo un mese in ospedale, tornò a casa giurando di non bere mai più ma riprese presto ubriacandosi (anche con lo scrittore Raymond Carver, un suo collega dell’Iowa Writers’ Workshop). Nel 1977 pubblicò Falconer (Falconer traduzione di E. Capriolo Feltinelli) la storia di un uomo solo circondato dai rimorsi della dipendenza dall’eroina e di una dolorosa e lacerante omosessualità.

Poiché il suo matrimonio continuava a deteriorarsi a causa dell’alcool e dei tradimenti (sia con uomini che con donne), Cheever lasciò l’Iowa e accettò una borsa di studio presso la Boston University l’anno successivo e si trasferì in un appartamento senza ascensore al quarto piano al 71 di Bay State Road. Dove sta andando ora.

Ieri nel giro di dieci minuti un ferroviere a Tupper Lake, un facchino, due camerieri e il commesso di un negozio mi hanno detto che si farebbero dare volentieri una bella ripassata; che mi darebbero volentieri una bella ripassata. Soldi e desiderio sessuale sono gli argomenti principali nei discorsi che capita di sentire. Sono stanco, ma passerà. Amo il corpo di mia moglie e l’innocenza dei miei figli. Nient’altro“.

Jhon Cheever entra nel viale di casa e si ferma. Parcheggia fuori casa. In quel momento non sa che il 9 Aprile 1975 sarà ricoverato alla Smithers Alcoholic Rehabilitation Unit di New York e dopo non berrà mai più. Non sa nemmeno che una raccolta dei suoi racconti, The Stories of John Cheever, vincerà nel 1979 il Premio Pulitzer per la narrativa e diventerà una delle raccolte di maggior successo di sempre.

Entra in casa e abbraccia forte la moglie e si avvicina a dare un bacio ai figli, tutti gli appaiono però distanti e sospettosi. Mary prende un’aspirina e riempie un bicchiere d’acqua. Tutto è infelice, rotto, inconsistente. Abbassa lo sguardo sconfitto. Quando penso alla mia famiglia, mi ricordo sempre delle loro schiene. Se ne andavano via sempre sdegnati. Avverte che vuole scrivere un po’ prima di cena. So di avere una natura tormentata, e ho cercato di contenerla incanalandola in qualcosa di creativo.

Entra nella sua stanza. Si avvicina alla scrivania e rilegge un suo racconto. In quel momento non sa nemmeno che ha un tumore nel polmone destro, nel femore, al bacino e alla vescica, lo scoprirà nell’estate del 1981. L’anno dopo pubblicherà il suo ultimo romanzo, Oh What a Paradise It Seems  (Sembrava il paradiso traduzione di Leonardo Giovanni Luccone, Feltrinelli). Morirà il 18 giugno 1982 e le bandiere di Ossining saranno abbassate a metà per dieci giorni. Due dei suoi figli, Susan e Benjamin, diventeranno scrittori, tutti i diari e le lettere verranno pubblicate donandogli un nuovo e inaspettato successo. Nel 2009 (dopo 30 anni dalla morte) ci sarà un documentario di novanta minuti sulla vita di Cheever chiamato Soul of a People: Writing America’s Story.

Lui non sa nulla di tutto questo. Adesso sta correggendo una storia. La moglie lo chiama per cena. Prima di scendere riposa i fogli e l’ultimo pensiero va ai lettori, gli unici a cui mostra la parte migliore di sé e non se ne è mai pentito. In una intervista al Christian Science Monitor  nel 1979 dichiarò: Non posso scrivere senza lettori. È come un bacio: non te lo puoi dare da solo.

Tutte le citazioni sono prese da Una specie di solitudine  tranne due: “Quando penso alla mia famiglia, mi ricordo sempre delle loro schiene. Se ne andavano via sempre sdegnati. tratto dal libro di Susan Cheever, Home before Dark Houghton Mifflin (1984) e Sosteniamo di possedere l’onestà della disperazione mentre di fatto non facciamo altro che innalzare strutture completamente artificiose di una realtà che possa risultare accettabile, e pervicacemente ci rifiutiamo di riconoscere i termini veri della nostra esistenza presa dal romanzo Bullet Park.


LA VOCE DI NEW YORK


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