Peter Handke |
Peter Handke
IL NUOVO LIBRO RITRATTO (INVOLONTARIO) DI UN LETTORE
5 aprile 2018 (modifica il 7 aprile 2018 | 20:55)
di ISABELLA BOSSI FEDRIGOTTI
5 aprile 2018 (modifica il 7 aprile 2018 | 20:55)
di ISABELLA BOSSI FEDRIGOTTI
I giorni e le opere. È il titolo del nuovo libro di Peter Handke (edito da Guanda), lo scrittore austriaco da anni trapiantato in Francia, grande camminatore, grande cercatore — e poi cuoco — di funghi oltre che lettore instancabile, implacabile, appassionato, votato alla lettura come un fedele alla sua religione. Non a caso dedica una breve introduzione a tre persone che di recente hanno viaggiato nella stessa sua carrozza sul treno periferico verso Parigi e tutti e tre erano immerse nella lettura di un libro «di antica letteratura, quella seria, quella eternamene giovane». Miracolosa atmosfera incantata, dunque, per il lettore Handke, probabilmente abituato, come tutti, a trovare su treni, bus e metropolitane quasi sempre soltanto viaggiatori profondamente concentrati a scrutare i loro smartphone.
I giorni e le opere (sottotitolo: Scritture di accompagnamento) è una raccolta di scritti, riflessioni, articoli, discorsi e testi radiofonici, che si tramuta, con l’andare delle pagine, in una specie di diario involontario dove, quasi come se avvenisse suo malgrado, l’autore lascia filtrare di sé, dei suoi giorni, appunto, ma anche dei suoi amici, delle sue simpatie e antipatie, delle sue abitudini e del suo lavoro, più di quanto avesse inizialmente programmato.
Per un verso, dunque, il nuovo libro è forse di più facile lettura rispetto a molti dei suoi, notoriamente ardui, ma per l’altro richiede a sua volta impegno notevole laddove Handke prende in esame — con accuratissime recensioni — lo sterminato numero di libri che ha letto, meditato, amato o non amato. E qui bisogna ringraziare la traduttrice, Alessandra Iadicicco, che con una dettagliata postfazione aiuta a inquadrare i tanti scrittori citati da Handke, soprattutto tedeschi, ma anche austriaci, serbi, russi, bulgari, estoni che al lettore italiano possono non essere familiari.
E a proposito di recensioni, per lo più l’autore prende in esame soltanto i libri che ha amato, tuttavia non si nega certe stroncature, ora un poco diluite in lunghe analisi pazienti, come un professore che cerchi con ostinazione i lati positivi di un compito in classe malriuscito, per non essere costretto a bocciare l’alunno, ora fermissime, di poche parole appena e che non se ne parli più (è il caso del trattamento riservato, per esempio, al premio Nobel Herta Müller).
Questo ed altro è concesso, si sa, al maggiore autore di lingua tedesca vivente, oltretutto di età che sta per diventare veneranda (ha compiuto settantacinque anni il 6 dicembre scorso); tuttavia, già ventitreenne — gli anni che aveva quando cominciò a scrivere testi per «L’angolo dei libri» della radio della Carinzia — dissertava, con straordinaria sicurezza, sapienza e competenza di libri e di autori, senza negarsi, quando gli pareva necessario, certe molto precise stroncature. Una vita per la letteratura, si può dire; del resto Handke racconta di aver festeggiato, qualche tempo fa, in perfetta solitudine, «senza particolare solennità, forse mangiando una mela», cinquant’anni dedicati alla lettura e alla scrittura, come una specie di giubileo professionale: e di nuovo viene da pensare a un religioso che abbia fatto voto.
Nei primi capitoli de I giorni e le operel’autore si sofferma sull’infelice e ben nota vicenda di due riconoscimenti, uno tedesco — il ricchissimo premio Heine — e uno norvegese — il non meno ricco premio Ibsen — che gli furono assegnati in mezzo a violente contestazioni a causa delle sue prese di posizione filoserbe durante la guerra di Jugoslavia. La conclusione fu che Peter Handke li rifiutò entrambi.
Motivo della sua difesa del popolo serbo era certo che la famiglia materna ne faceva parte ma, naturalmente, forse anche principalmente, il fatto che in Occidente nessun altro lo difendeva. Al di là delle spiegazioni (o giustificazioni?) dello scrittore lo si capisce dalla profonda pietà che egli prova per i suoi simili, uomini e donne, bambini e ragazzi: non una benevola, zuccherosa pietà del cuore, bensì una forte, razionale, filosofica pietà della mente.
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