mercoledì 3 aprile 2024

Carla Bruni, cosa ha detto a «Belve» sull’alcolismo e sulla sorella Valeria. Che risponde: «Mi scuso se l’ho ferita, per lei provo solo tenerezza»

 

Carla Bruni

Carla Bruni, cosa ha detto a «Belve» sull’alcolismo e sulla sorella Valeria. Che risponde: «Mi scuso se l’ho ferita, per lei provo solo tenerezza»




di Redazione Spettacoli


L’ex Première dame di Francia si è raccontata a Francesca Fagnani. «Ferita per essere stata dipinta come un’ubriacona nel film di mia sorella». E Bruni Tedeschi si scusa

Nessuna ha più vite di lei: top model, cantautrice, Première dame. Inizia dicendo che si sente «un gatto, sono nata gatto, morirò gatto» la magnetica cantautrice ed ex top model Carla Bruni, 56 anni, ospite martedì sera di «Belve», il programma cult di Rai 2 ideato e condotto da Francesca Fagnani. Non è stata l’unica rivelazione di madame Sarkozy. Di lei infatti hanno scritto, parte diretta subito Fagnani, «Diffidente come un gatto». «Non sono diffidente» è la risposta dell’ex Première dame di Francia. Che riconosce però di essere «bugiarda per gentilezza, quando devo salvarmi la pelle: se non voglio andare da qualche parte posso dire che sono malata».

L’intervista volge poi su aspetti più privati della vita dell’ex top model. «Ho avuto molto dalla vita, ma — sottolinea Bruni — non ho avuto dei buoni genitori, molto affettuosi ma praticamente invisibili. Talvolta non mi ricordavo neanche del loro nome e da piccola non li vedevo quasi mai. Quindi poco importa il castello», riferendosi al meraviglioso Castello di Castagneto Po in cui Carlà ha trascorso la sua infanzia. L’intervistata ricorda poi quando il padre Alberto Bruni Tedeschi confidò alla figlia, già 28enne, di non essere il suo padre biologico, e di non riferirlo alla madre Marisa Borini. «Non voleva offenderla — spiega Bruni —. Lo ringrazio ancora per aver fatto questa rivelazione, mi ha liberato da molte domande strane che mi facevo. Morto mio padre, ho chiesto a mia mamma ogni cosa, con tanto di nomi e indirizzi». Grazie alle risposte, Bruni ha potuto incontrare «il mio padre genetico, Maurizio Remmert, una persona deliziosa e soprattutto ho guadagnato una giovane sorella».

 Valeria Bruni Tedeschi non l’ha fatto? domanda Fagnani. «No — risponde Bruni —, lei lascia andare le cose, senza precauzioni, perché crea così. E questo ha creato un po’ di ripercussioni. La donna interpretata da Valeria Golino era un’ubriacona, mi ha turbato perché effettivamente avrei potuto essere io. Ma non mi sono detta “questa è una mia grande fragilità”. Perché spiegarla così? Perché esporla così?». Parole alle quali Bruni Tedeschi ha replicato scusandosi: «Adoro mia sorella. So che a volte è stata ferita dai miei film e mi è sempre dispiaciuto molto». Per l’attrice e regista «i personaggi che rappresento sono sempre di finzione, anche se spesso prendono ispirazione da persone della mia vita. Cerco di elaborare la realtà per creare personaggi commoventi e veri».

Bruni Tedeschi spiega che il personaggio della sorella nel film «I villeggianti» è molto forte, grazie anche all’interprete: «Scegliendo Valeria Golino per interpretare “la sorella” ho deciso di scegliere una persona e un’attrice che mi incutono una grande tenerezza». Sentimento che nutre per Carla: «Provo grande amore e tenerezza per lei. Penso che sia fragile ma anche molto forte e intelligente e che abbia un grande talento musicale e di scrittura. Se l’ho ferita, ancora una volta, mi scuso. Penso che la vita sia più importante dei film e non mi è facile pensare che facendo un film io possa ferire o fare del male a una persona che amo».


Si passa poi al tema gelosia. Sarei gelosa, rivela Bruni, «se sapessi di un tradimentodel mio uomo, ma non lo lascerei per una sola volta. Per me la fedeltà è un principio, ma sono nata da quell’amore lì, quindi per me l’adulterio non è peccato». Fagnani a questo punto domanda se l’ex top model perdonerebbe un tradimento: «Se fosse soltanto un tradimento fisico, sì. Ma se il mio uomo di innamorasse di un’altra , non lo sopporterei». Sull’erotismo spiega: «Per me il sesso è erotismo, e per me l’erotismo è segreto. Non trovo infatti erotiche tutte queste immagini del giorno d’oggi. Trovo erotico il mistero, quindi non parlo quasi mai di sesso, parlarne toglie la scintilla della sensualità».

L’intervistatrice ricorda a questo punto che con Bruni si erano ripromesse di vedersi davanti a un bicchiere di vino. «Ho praticamente quasi smesso di bere — informa Bruni —, ho problemi di dipendenze da quando ero piccola. Tendo alla dipendenza da tutto, ma proprio tutto: zucchero, sigarette, alcol. Non mi piacciono le droghe, ma mi attacco a qualsiasi cosa. Certe persone possono bere un bicchiere di vino e basta. Se ho appena bevuto un sorso di vino dal bicchiere un diavoletto mi riscalda e mi dice: “come stai, bene?”, poi continua: “sei divertente, guarda che sei simpatica. Ora che la gente ti vuol bene bevi il terzo bicchierino”. E prosegue: “Ora che devi andare a letto bevi il quarto bicchierino, se no non dormi”. Purtroppo non ho limite e — riconosce la modella e cantante — l’alcol è un problema ed è fatto per persone che conoscono la moderazione».

Carla Bruni è madre di Aurelien, nato dall’amore col filosofo Raphael Enthoven, e Giulia, nata dall’unione con l’ex presidente francese Nicolas Sárközy. Che madre è?, le domanda Fagnani. «Molto ansiosa e molto tenera, spero — risponde l’ex Première dame —. Direi che comunque sono la madre che non ho avuto, e non vorrei che i miei figli vivessero esperienze come quelle che ho vissuto io: la solitudine, l’angoscia». Bruni racconta poi come il film girato dalla sorella Valeria Bruni Tedeschi «I villeggianti» (2019), ispirato alla loro famiglia, l’avesse «turbata moltissimo». «Ha preso Valeria Golino e le ha fatto interpretare il ruolo della sorella minore della protagonista, e la sorella minore sarei io. Amo mia sorella, mi piace il suo lavoro. Solo non è sempre facile vedersi. Non rappresentati: usati. Non è la stessa cosa. Rappresentati non sarebbe un problema, usati sì. Però capisco che l’artista abbia bisogno di quello. Se si usa la gente, bisogna farlo con precauzione».


E Valeria Bruni Tedeschi non l’ha fatto? domanda Fagnani. «No — risponde Bruni —, lei lascia andare le cose, senza precauzioni, perché crea così. E questo ha creato un po’ di ripercussioni. La donna interpretata da Valeria Golino era un’ubriacona, mi ha turbato perché effettivamente avrei potuto essere io. Ma non mi sono detta “questa è una mia grande fragilità”. Perché spiegarla così? Perché esporla così?». Parole alle quali Bruni Tedeschi ha replicato scusandosi: «Adoro mia sorella. So che a volte è stata ferita dai miei film e mi è sempre dispiaciuto molto». Per l’attrice e regista «i personaggi che rappresento sono sempre di finzione, anche se spesso prendono ispirazione da persone della mia vita. Cerco di elaborare la realtà per creare personaggi commoventi e veri».

Bruni Tedeschi spiega che il personaggio della sorella nel film «I villeggianti» è molto forte, grazie anche all’interprete: «Scegliendo Valeria Golino per interpretare “la sorella” ho deciso di scegliere una persona e un’attrice che mi incutono una grande tenerezza». Sentimento che nutre per Carla: «Provo grande amore e tenerezza per lei. Penso che sia fragile ma anche molto forte e intelligente e che abbia un grande talento musicale e di scrittura. Se l’ho ferita, ancora una volta, mi scuso. Penso che la vita sia più importante dei film e non mi è facile pensare che facendo un film io possa ferire o fare del male a una persona che amo».


CORRIERE DELLA SERA





venerdì 1 marzo 2024

L'universale nelle storie di James Still

L'universale nelle storie di James Still

di Debora Lambruschini

November 15, 2021

 

Una casa costruita bene per tirar su i figli, una cantina per conservarci la roba da mangiare, e buoni vicini. Insomma, non è che chiedo la luna.

(“I fieri camminatori”, p. 49)

 

C’è in queste poche parole buona parte del senso delle storie di James Still, tra gli autori di riferimento della Appalachian and Southern literature: le piccole comunità agricole nell’America rurale dopo la Grande Depressione, i desideri semplici, la quotidiana lotta contro la fame. E l’immediatezza di una lingua che non deve essere stato per niente facile tradurre – plauso a Livio Crescenzi e Tonina Giuliani – perché intrisa di oralità e vocabolario peculiare. Considerato tra i più importanti autori della Southern Reinassance, Still è in Italia scoperta recente, grazie alle traduzioni per Mattioli 1885 che ha prima portato i due romanzi più celebri, Fiume di terra (2018) e Chinaberry (2019), e in seguito due pregevoli raccolte di racconti, Le colline ricordano (2020) e L’incendio delle acque (2021) appena pubblicata che contiene anche diverse storie inedite. Curioso che questo gigante della letteratura statunitense non fosse stato tradotto prima in italiano, magari sulla scia dell’interesse per un certo tipo di ambientazione che ha coinvolto la nostra ricezione della letteratura nordamericana degli ultimi anni. Quali che siano le ragioni, è ancora una volta una casa editrice indipendente e autorevole come Mattioli a proporre ai lettori l’opera più significativa di un autore senza confini di forma e che ben si inserisce nel più ampio discorso letterario contemporaneo, pur con narrazioni nate in un ben connotato contesto sociale e cronologico.
C’è qualcosa in questi racconti, un sentire e un’universalità, che vanno ben oltre confini geografici e temporali, pienamente capace di dialogare con il lettore contemporaneo. Quello stesso lettore che legge Chris Offutt, Ron Rash, Wendell Berry e James Allen Lane – solo per citare alcuni tra gli autori legati al Kentucky – , interessato alle narrazioni di una realtà rurale stretta fra le montagne, in zone impervie dove la natura non ha alcuna connotazione mistica ma è molto spesso spietata e la fatica, la consuetudine alla morte e alla violenza, si intrecciano al quotidiano. Autori molto diversi fra loro ma legati a quei luoghi in cui sono nati o che hanno scelto, e ai quali sono tornati come Still, dopo i numerosi viaggi e studi e la sua decisione di vivere quasi come un eremita in una capanna nei boschi sugli Appalachi. E rendersi presto conto che le storie che doveva raccontare erano proprio lì davanti a lui, tra quelle montagne, tra le vite che ben conosceva, isolate in quegli spazi ristretti e impervi ma non meno degne di farsi letteratura. Le piccole comunità agricole che si scontrano con l’industrializzazione, le miniere in esaurimento e la vita che ci gira intorno e ne dipende, l’isolamento e la solitudine in una natura aspra e selvaggia, il lavoro e la fatica: era tutto davanti a lui, e Still riesce a imprimere sulla pagina il contrasto tra fatica e dignità di uomini e donne – ma pure bambini – che nonostante tutto non cedono allo sconforto; non perché le storie si risolvano in happy ending – capita decisamente di rado – ma nel senso di una capacità di mantenere intatta, nonostante tutto, la forza di andare avanti, conservando una dignità che contrasta fortemente con un certo tipo di narrazione sulla povertà cui siamo abituati. Uomini e donne che sopportano un isolamento logorante, la solitudine che pare gonfiarsi «dentro di noi, enorme come un mucchio di ghiande». Un quotidiano precario, dove ogni cosa può andare perduta da un giorno all’altro, rappresentano una condizione cui è necessario abituarsi presto nel tentativo di sopravvivere.
Brevi lampi di speranza a squarciare la pagina, qualche risata di bambini e i borbottii di mogli che lottano contro mariti testardi, desideri semplici: una casa con dei buoni vicini, appunto, una camicia comprata in un negozio, scorte di cibo sufficienti per tutti.

 

Le verdure selvatiche presero il posto dei fagioli e dei conigli. Mangiavamo cespi di lattuga selvatica, stracciabraghe, borragine e cicoria di campo. E di nuovo fagioli e coniglio, quando le piante divennero dure e fibrose. Verso la fine di aprile la carne salata si era ormai ridotta alla cotenna, il sacco del cibo era più sacco che pane, il lardo poco o niente. Papà dissodò un fazzoletto d’orto e poi lasciò che fosse Mamma a occuparsi delle semina e della coltivazione. Lui si dedicò anima e corpo alla ricerca del ginseng. Tornava a casa troppo esausto per battibeccare appresso a noi e di rado vedeva il piccolo sveglio. Dan iniziò a guardarlo di traverso. E quanto alle scarpe, ormai rattoppava le toppe.
(“L’incendio delle acque”, p. 201)

 

Rispetto ai racconti della raccolta precedente, L’incendio delle acque presenta forse un’umanità meno abbrutita e crudele, se pur ugualmente provata dalle difficoltà e qui e là traspare più forte il legame comunitario, per lo meno tra coloro che scelgono di restare, tra illusione e rassegnazione, o per quelli che sanno dare rifugio a vagabondi di passaggio, avventurieri, nuovi vicini di casa.
Quelle che racconta Still sono storie prive di sentimentalismi, per molti versi ben ancorate al proprio tempo – un mondo che non esiste più, rapporti coniugali di tutt’altro stampo rispetto a quanto conosciamo oggi – ma di cui riconosciamo un certo sentire, una mescolanza di istanze e uno sguardo che anche molti autori contemporanei hanno coltivato. Sono luoghi non dissimili da quelli scelti da Offutt nei suoi magistrali racconti – sui romanzi resto invece meno entusiasta – , le vite ordinarie di uomini e donne che lottano per la sopravvivenza, la natura selvaggia e brutale, l’isolamento; storie diverse, caricate da Offutt di una violenza inespugnabile e dalla costante tensione fra andare e restare, il peso delle radici, le possibilità di riscatto, l’alcol. O, forse, ad avvicinarsi più idealmente alle narrazioni di Still sono i romanzi di Ron Rash, di cui in Italia è stato di recente pubblicato da La nuova frontiera il bellissimo Un piede in paradiso, le sue narrazioni dure e commoventi, le piccole contee agricole sugli Appalachi e un quotidiano di fatica e sacrificio.
È nei confronti di Still e degli altri autori della Southern Reinassance che molte narrazioni contemporanee sul genere hanno un forte debito e la sua scrittura limpida e puntuale, sorregge queste storie che anche grazie ad essa superano la prova del tempo. Ecco, la scrittura: se è vero che storia e scrittura sono tanto profondamente legate nel racconto, le short story di Still ne sono un chiaro esempio, l’una imprescindibile dall’altra, misurata, onesta, cesellata. Imprescindibile come quelle stesse montagne, che custodiscono gemme come queste. 

OSSERVATORIO CATTEDRALE



venerdì 23 febbraio 2024

Il bianco nei racconti di Isaac B. Singer

 

Il bianco nei racconti di Isaac B. Singer

di Matteo Moca

December 13, 2021


Nel Talmud Babilonese, nel trattato Megillah, è scritto che «tutti i canti si scrivono nero su bianco e bianco su nero», a sottolineare proprio la natura duale di ogni testo e le prospettive ermeneutiche che questo apre. Lo studioso di cultura ebraica, David Banon, riflettendo proprio sulla natura di questi spazi bianchi, scrive che tutte le grandi narrazioni non consentono un accesso diretto al significato, soprattutto a causa dell'emergenza ermeneutica che può nascere da ogni luogo del libro, quindi anche dagli spazi bianchi, portatori di non-detto, «riserve di senso» che il testo nasconde. Se gli spazi bianchi figurano allora come inviti all'interpretazione proprio attraverso il non-detto che suggeriscono, ci sono alcuni testi in cui questo meccanismo sembra rappresentare una chiave privilegiata per addentrarsi tra i suoi risvolti più significativi. La letteratura per l'infanzia pare particolarmente adatta alla messa in prova di questo meccanismo interpretativo perché è vero che i testi funzionano come narrazioni adatte alla costruzione di immaginari per i bambini, ma, quando la letteratura per l'infanzia è costruita da grandi creatori e raccontatori di storie, sono proprio questi spazi bianchi a presentarsi agli occhi del lettore adulto, capace, talvolta, di muoversi con maggior profondità tra le pieghe del testo. Questo è ciò che accade per esempio con la raccolta di racconti per bambini Zlateh la capra e altre storie di Isaac Beshevis Singer (pubblicata in una nuova versione adesso da Adelphi con la traduzione di Elisabetta Zevi, che coordina l'edizione adelphiana di tutte le opere dello scrittore, nella collana “I cavoli a merenda” e con le evocative illustrazioni in bianco e nero di Maurice Sendak, un altro autore americano nato da genitori ebrei polacchi), una raccolta capace di rivolgersi a lettori di ogni età e, soprattutto, incubatore di molti dei temi fondamentali dell'opera di Singer. Possiamo seguire, per esempio, le storie di un giovane uomo convinto di essere morto e curato da un medico con un metodo particolarmente teatrale (Il paradiso degli sciocchi), di un gruppo di governanti anziani sciocchi e incapaci di comprendere ciò che la natura riserva all'uomo spaventandosi del furto della luna o dello scioglimento della neve (La neve a Chelm), di bambini mai stanchi di ascoltare storie e poco vogliosi di dormire che vengono spaventati con la storia di un diavolo (La storia della nonna) o di un piccolo bambino capace di fronteggiare il diavolo e sua moglie la diavolessa pur di salvare la propria famiglia (Lo scherzo del diavolo). Molte delle storie sono ambientate durante Channukkah, la festa delle luci (una festa che rievoca la ribellione dei Maccabei contro Antioco IV deciso a inserire nel tempio di Gerusalemme alcuni idoli e costringere gli ebrei ad adorarli), che ricorda quando l'olio della lampada che ardeva perennemente di fronte all'Arca durò miracolosamente otto giorni, una ricorrenza gioiosa che proprio per questo è considerata una festa per i bambini. Nei lumi della lampada che per gli otto giorni della festa viene accesa, nella luce soffusa che questa emana e che sfuma i contorni degli oggetti e delle persone, si situano i racconti di questa raccolta, tutti sospesi in un mondo straordinario che abita i confini tra il sonno e la veglia, tra l'incredulità e la fiducia nel valore, negli insegnamenti e nella verità delle storie. Ma il bianco che abita queste storie è la cornice invisibile che li avvolge e che rimanda al resto dell'opera romanzesca di Singer: nella sua introduzione lo scrittore, nato in Polonia nel 1901 e poi costretto, poco più che trentenne, ad abbandonare l'Europa per gli Stati Uniti in cerca di libertà e salvezza, partendo proprio dalla meraviglia dei bambini (per il «tempo che passa») che si chiedono dove «vanno a finire i nostri ieri, con le loro gioie e i loro dolori», lascia emergere i confini della sua opera e la sua profonda fiducia nelle forme del racconto:

lunedì 19 febbraio 2024

Catalina González / Deserto

 


Catalina González


Catalina González Restrepo

DESERTO


Dell’infanzia

il suono del dondolo

la paura di scivolare

e l’inclinazione per la vertigine

Le dita come pietre cadono


Quanti mondi ho perso?


Nel sogno di incontrare nel miraggio

un cactus senza spine,

di amare senza ferirsi,

trovo uno specchio nella stanza di fronte


ma è vuoto.


*


Catalina González

DESIERTO


De la infancia

el sonido del mataculín,

el miedo a resbalar

y la afición por el vértigo.

Los deseos como piedras que caen.


¿Cuántos mundos he perdido?


En el sueño de encontrar en el espejismo

un cactus sin espinas,

de querer sin herirse,

hallo un espejo en la habitación del frente


pero está vacío.





giovedì 8 febbraio 2024

Auguri a Isabel Allende: l’autrice de «La casa degli spiriti» compie 80 anni

 

Isabel Allende


Auguri a Isabel Allende: l’autrice de «La casa degli spiriti» compie 80 anni


di ALESSANDRA COPPOLA

Il 2 agosto festa per la scrittrice cilena. Il successo, la tragedia della figlia, i matrimoni: una vita «d’amore e ombra» segnata anche dalle vicende politiche del suo Paese

domenica 21 gennaio 2024

Marian Engel / ORSO

 



Marian Engel

ORSO

“La strada correva verso nord. Lei la seguì. Nel punto più in alto c’era una specie di Rubicone. Lo attraversò e iniziò a sentirsi libera. Sempre più a nord, accelerò verso i monti, piacevolmente stordita.”

Stufa di sentirsi la spettatrice della sua vita, l’introversa Lou accetta l’incarico che il Direttore le propone: andare in un’isola del Grande Nord canadese per catalogare una biblioteca donata all’Istituto dalla famiglia Carey. Conosciuta per il suo proverbiale senso del dovere, Lou è certa di terminare il lavoro prima dell’estate.
Immersa in un ambiente selvaggio, lontana dal panorama urbano che le è familiare, non appena mette piede sull’isola fa una scoperta a cui non è preparata: dietro alla casa, in un capanno, vive un orso. Con il passare dei giorni, complice la solitudine, tra lei e l’orso nasce una strana relazione, intima, inquietante e ambigua.
Nonostante lo scandalo che seguì alla sua pubblicazione, Orso ha vinto il Governor General’s Literary Award ed è considerato uno dei migliori – e più controversi – romanzi della letteratura canadese. Pubblicato nel 1975 e celebrato da Robertson Davies, Margaret Atwood e Alice Munro Orso è un romanzo delicato e trasgressivo, un’autentica parabola del ritorno alla natura.

Un romanzo insolito e meraviglioso.
– Margaret Atwood
***

Marian Engel (1933-1985) è una delle scrittrici più rappresentative della letteratura canadese della seconda metà del Novecento. Dopo gli studi passa un lungo periodo della sua vita in Francia e negli Stati Uniti. Tornata a Toronto, esordisce nel 1968 con il romanzo No clouds of glory. Nel 1982 è stata insignita dell’Ordine del Canada.


LA NOUVA FRONTIERA