sabato 20 giugno 2020

Morto lo scrittore Carlos Ruiz Zafón / «L’ombra del vento» lo rese celebre

Morto lo scrittore Carlos Ruiz Zafón. «L'ombra del vento» lo rese celebre
Lo scrittore spagnolo Carlos Ruiz Zafón

Morto lo scrittore Carlos Ruiz Zafón. «L’ombra del vento» lo rese celebre


L’autore bestseller è scomparso a 55 anni a Los Angeles, dove viveva dal 1993. Il successo letterario internazionale, i fan, la passione per i draghi


di ELISABETTA ROSASPINA
19 giugno 2020 (modifica il 20 giugno 2020 | 21:04)





Ora davvero appartiene al pantheon dei classici del XXI secolo. Era entrato a far parte della storia della letteratura internazionale con L’ombra del vento, pubblicato in Italia da Mondadori nel 2004 e tre anni prima in Spagna, quando conquistò in tutto il mondo milioni di lettori che non l’avrebbero abbandonato più. È stato lui, Carlos Ruiz Zafón, a lasciarli senza preavviso, nel modo un po’ ruvido e introverso che non l’aveva aiutato a entrare nelle simpatie dei critici e dei giornalisti. La sua morte ad appena 55 anni è il colpo di scena che non ha potuto risparmiare a sé stesso e al suo pubblico. Pochi sapevano che era malato. Ancora meno persone, che la fine fosse così prossima.


Carlos Ruiz Zafón


In Italia l’ultimo libro, «Il labirinto degli spiriti», era uscito nel 2016 a conclusione della quadrilogia del Cimitero dei libri dimenticati, composta nell’arco di vent’anni; e un silenzio di quattro anni non pareva allarmante né insolito, considerati i lunghi tempi di gestazione dell’autore di pagine tanto meditate quanto indimenticabili.

Invece, da due anni, il tempo dello scrittore, appassionato collezionista di draghi, draghetti e dragoni, il suo «alter ego animale», veniva divorato da un tumore che si è manifestato all’inizio del 2018, durante un viaggio a Londra, e che lo ha costretto a estenuanti andirivieni in ospedale, a un’altalena di speranze e delusioni condivise con un ristrettissimo circolo di amici, tra i quali Sergio Vila-Sanjuán, giornalista de «La Vanguardia» di Barcellona. Da giovane esordiente, Zafón aveva visitato in calle Pelai la vecchia redazione del giornale e, a quel tempo, la primavera del 2001, i padroni di casa non immaginarono che il luogo e loro stessi sarebbero diventati poi, con qualche ritocco anagrafico, personaggi dell’ultimo romanzo. Un omaggio riservato a pochi, degni eletti. «Le mie riserve di forza sono come paludi negli anni della siccità, quando spuntano torri campanarie e altri ruderi», ha scritto nella sua ultima email a Vila-Sanjuán. Un’immagine allegorica più reale e definitiva di una sentenza.


Carlos Ruiz Zafón


È morto il 19 giugno a Los Angeles, dove aveva scelto di abitare dal 1993, soprattutto per sviscerato amore del cinema, che lo ha ricambiato dandogli lavoro come sceneggiatore. Ma non importa quanto fosse andato a vivere lontano. L’Oceano Atlantico e l’intero continente nordamericano non sono bastati a separare lo scrittore dalla sua musa: Barcellona. Non era l’unica città in cui ha ambientato le sue storie o avrebbe forse ambientato le prossime, ma è quella che gli si è dimostrata più grata. Nelle guide turistiche e nei tour letterari c’è una Barcellona di Carlos Ruiz Zafón, come una Parigi di Simenon, una Praga di Kafka o un’Avana di Hemingway.

Da quasi un ventennio i pellegrini avanzano nei vicoli del Raval e del Barrio Gotico, nella città vecchia, ostinandosi a cercare le tracce della libreria dei Sempere e la magia del cimitero dei libri dimenticati. E le trovano davvero, se guardano bene, con gli occhi di Zafón, architetto di labirinti e passaggi segreti. Ma anche di una costruzione a doppie entrate e uscite come la sua tetralogia che, ignorando l’ordine cronologico nella narrazione, si prestava così a essere abbordata da uno qualunque dei suoi titoli, perché ogni elemento è stato confezionato come un romanzo indipendente. Pur creando dipendenza in chi lo legge. L’ombra del ventoIl gioco dell’angeloIl prigioniero del cielo: tremila pagine di suspense e misteri hanno reso l’autore secondo solamente a Miguel de Cervantes quanto a diffusione di opere spagnole al mondo.

Carlos Ruiz Zafón
Quando, nell’aprile 2008, dopo aver venduto dieci milioni di copie del primo volume della serie, presentò in Spagna il secondo, lo scrittore stette anche al gioco dei suoi fan, ambientando l’evento al Gran Teatro del Liceu, sulla Rambla, dove la casa editrice Planeta fece allestire sul palco una scenografia ad hoc: una straordinaria biblioteca di tomi antichi e polverosi, tra soffitti a volta e salottini gotici. Doveva essere innanzitutto la festa dei lettori, quelli che con il passaparola lo avevano consacrato tra gli autori più richiesti al mondo, e rifiutò di anticipare copie ai critici letterari fino a poche ore prima che il libro fosse disponibile per tutti.

Il tocco personale fu senz’altro la piccola spilla a forma di drago distribuita ai partecipanti, come inatteso amuleto ricordo di un raro incontro live con l’ombroso Virgilio dei bassifondi barcellonesi. Il suo epitaffio su Twitter è il più sincero: «Ogni libro, ogni tomo che vedi ha un’anima. L’anima di chi l’ha scritto e l’anima di chi l’ha letto, vissuto e sognato».

Non amava le interviste, probabilmente detestava raccontarsi e, peggio ancora, essere interpellato su argomenti extra letterari, come la politica. Ma non mascherò la sua delusione per l’elezione di Donald Trump. Sapeva essere sorprendentemente generoso e alla richiesta di firmare le bozze de Il labirinto degli spiriti — nemmeno il libro, il semplice pdf — per dedicarlo a un’amica libraia, impugnò la penna con un sorriso: come avrebbe potuto rifiutare un pensiero a una collega di Juan Sempere?



Ma guai a tentare intrusioni nella sua vita personale. La divideva dai tempi dell’università con Mari Carmen Bellver, conosciuta studiando Scienza dell’informazione. Assieme avevano iniziato una promettente carriera nel campo della pubblicità. Insieme avevano deciso di lasciare tutto per volare a Los Angeles, alla conquista di Hollywood. Negli Stati Uniti lo aspettava, imprevedibilmente, il cimitero dei libri dimenticati: un vecchio magazzino, un grande hangar di libri vecchi, Acres Books, nel centro di Long Island. Gli parve «una catacomba, una caverna di tesori» e con la forza dell’immaginazione la trasferì a Barcellona.


Diceva che il libro cui era più affezionato era «Marina», l’ultimo della sua attività di narratore per ragazzi. E sfuggiva a domande sulla tecnica della scrittura: «Questo è il mio lavoro, non c’è bisogno che il lettore veda i cavi o sappia per quale calcolo matematico non crolli tutto. L’importante è che ne riceva l’impatto, come per la musica. Che provi la stessa emozione che volevano infondere i costruttori di cattedrali, e dica: wow!».


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RIMBAUD






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