Dall’Ungheria all’Italia, passando per la Spagna e la Francia: l’Unione Europea arretra sui diritti civili mentre le destre identitarie ridisegnano il volto del continente. Un progetto nato per unire si trasforma in terreno di esclusione.
Sfogliare un fumetto è un gesto semplice, quasi leggero. Eppure, dietro ogni tavola si nasconde un atto di partecipazione culturale profondo, un dialogo silenzioso tra chi disegna e chi legge. Non è solo una questione di parole e immagini: è una lente diversa sul mondo, una narrazione che, pagina dopo pagina, ci accompagna in territori spesso inesplorati.
Il monumento di Kyffhäuser con l'imperatore Federico Barbarossa Barbarossa, Bad Frankenhausen, in Turingia, Germania. Il monumento fu costruito tra il 1890 e il 1896
Il re nella montagna
La speranza che il re non sia morto e che torni presto
Una delle leggende più note della saga arturiana è quella delle nebbie di Avalon, ovvero la leggenda riguardante la morte del grande sovrano di Camelot. La storia è nota: Artù affronta il figlio (o nipote) Mordred nella campale battaglia di Camlann nella quale nessuno sopravvive. Nel duello decisivo Artù uccide Mordred ma Mordred ferisce mortalmente suo padre.
Lo scontro è citato anche da Dante nella Divina Commedia: "non quelli a cui fu rotto il petto e l’ombra/con esso un colpo per la man d’Artù" (Inferno XXXII, vv. 61-62). Come si sa il corpo di Artù viene portato ad Avalon e da lì il rex quondam rexque futurus (colui che un tempo fu re e un giorno sarà ancora re) tornerà, perché non è davvero morto, ma giace in una specie di “animazione sospesa” accudito da tre fate.
È una leggenda antica che, sebbene non si ritrovi nelle più antiche menzioni della storia di Artù, ovvero gli Annales Cambriae dove si dice seccamente che nel 537 si combatté la battaglia di Camlann nella quale caddero Artù e Merdraut (Mordred), ben presto si diffonde come voce popolare e viene canonizzata nei testi successivi sino alla consacrazione in quello che è forse il più famoso testo arturiano, ovvero La Morte D’Arthur di Thomas Malory. La menzione più interessante la troviamo nel racconto di tale Ermanno intitolato De Miraculis Sanctae Mariae Laudunensis. Questo Ermanno racconta di un suo viaggio presso il santuario di Santa Maria di Laon e sostiene di aver assistito ad una lite tra un pellegrino che sosteneva che Artù non fosse realmente morto e i servi dei canonici del santuario che negavano la cosa: e si sarebbe arrivati alle spade se l’intervento dei canonici non avesse fermato i contendenti. Questo attesta l’origine schiettamente popolare della credenza.
Una credenza che riflette, di fatto, la speranza che la figura salvifica non sia morta, ma solo “addormentata” da qualche parte e che presto possa tornare a salvare il popolo. Questa figura regale-messianica si chiama “re nella montagna”. E forse qualcuno si chiederà cosa c’entra la montagna, dato che Avalon è un’isola.
Si chiama così perché il vero archetipo di questo tipo di personaggio non è tanto Artù, quanto l’imperatore Federico I Barbarossa. Il Barbarossa è, a livello storico, una figura meno evanescente di Artù. E riguardo la sua morte abbiamo notizie precise: il grande imperatore tedesco è annegato nel fiume Saleph, in Turchia, il 10 giugno 1190 mentre si recava alla Terza Crociata. Per evitare la decomposizione il corpo fu bollito e la sua carne fu sepolta ad Antiochia, gli intestini a Tarso e le ossa forse ad Acri. Ma la fantasia popolare non si arrese e nacque la leggenda secondo cui in realtà l’imperatore dormirebbe assieme ai suoi cavalieri in una caverna nelle montagne di Kyffhäuser in Turingia e quando i corvi cesseranno di volare intorno alla cima, si desterà per portare la Germania alla sua antica grandezza.
Questa leggenda fu rilanciata nel 1815 dal poeta romantico Friedrich Rückert in una ballata composta durante la tempesta napoleonica (“Il vecchio Barbarossa/l’imperatore Federico/sta, nell’incantesimo/in un castello sotterraneo./Egli non è mai morto/e, chiuso là dentro, egli vive ancora/si è nascosto nel castello/ed è immerso nel sonno/Egli ha portato con sé/tutto lo splendore dell’impero/e con esso tornerà alla fine”). La leggenda viene reinterpretata come la speranza del popolo tedesco di scuotere il giogo francese. Purtroppo questa leggenda di riscossa tedesca contro l’oppressore Napoleone avrà una ben più triste rivisitazione, quando Adolf Hitler chiamerà “Operazione Barbarossa” la sciagurata aggressione alla Russia. E lo stesso Hitler “si occulterà” nella morte dando vita a leggende simili a questa.
Oltre al “Re nella Montagna” abbiamo anche il “Re di marmo”. Questa leggenda riguarda l’ultimo imperatore romano d’Oriente, Costantino XI Paleologo, il quale cadde eroicamente con la spada in pugno nella tragica giornata in cui Maometto II prese Costantinopoli. Anche qui la fantasia popolare dice che Costantino non sarebbe morto in quel tragico 29 maggio 1453, ma sarebbe stato trasformato in una statua di marmo e nascosto da qualche parte sotto il Ponte d’Oro. Da lì sarebbe un giorno ritornato per scacciare i musulmani turchi e ridare Costantinopoli alla cristianità.
Come abbiamo visto, sono esempi piuttosto antichi, giustificabili con la maggiore fantasia di popoli analfabeti che speravano nel ritorno del re. Eppure vi sono anche esempi piuttosto recenti di leggende simili: abbiamo citato la leggenda secondo cui Hitler non sarebbe morto suicida nel bunker a Berlino, ma sarebbe fuggito in Argentina. Anche su Napoleone si diceva fosse fuggito da Sant’Elena a bordo di una nave pirata e approdato in America. Più vicina alla classica leggenda del “re addormentato nella montagna” è quella secondo cui Aleksandr Suvorov (1730-1800), il più grande generale della Storia russa, non sia morto a San Pietroburgo dopo aver sconfitto i francesi in Italia ma dorma in una caverna con accanto una lampada e un’icona e che tornerà ovviamente per ridare grandezza alla Russia.
Ma pensiamo a leggende molto più vicine a noi, che tutti conoscono: quella secondo cui Elvis Presley sarebbe ancora vivo, quella di Walt Disney ibernato sotto Disneyland o quella, popolarizzata dai complottisti di QAnon, secondo cui John Kennedy sarebbe vivo e un giorno tornerà per ripulire l’amministrazione degli Stati Uniti dalla corruzione.
Troppo facile ridere dei nostri avi quando noi facciamo di peggio.
Classicista, giornalista, scrittore, insegnante, vive tra Vigevano, la sua città natale, e Mosca, dove ha insegnato italiano in una scuola privata steineriana a Laryushino (Oblast’ di Mosca) e alla traduzione dal greco al russo dell’opera di Galeno per MSU Facoltà di Medicina Fondamentale dell’Università di Mosca. Autore poliedrico, predilige per i suoi romanzi l’ambientazione storica. Attualmente collabora con il settimanale L’Informatore Vigevanese con una rubrica quindicinale sulla politica internazionale.
Thomas Wentworth Higginson, Tales of the Enchanted Islands of the Atlantic, 1899
Newell Convers Wyeth (1882–1945), The Boy's King Arthur, 1922
Illustrazione di W. H. Margetson per Legends of King Arthur and His Knights di James Knowles, 1914
L'imperatore Federico I, detto “Barbarossa”. Lastra di rame colorata di Christian Siedentopf (1847)
William Warder in posa come Re Artù. Frontespizio da Gli idilli del Re di Alfred Tennyson, 1874
Federico Barbarossa, dipinto a olio nell'Archivio Notarile distrettuale di Pavia del notaio e pittore pavese Bernardo Cane, prima del 1583
Io sono un contenitore di idee, fin da piccola sono stata educata ai sogni e alla progettazione, per poterli realizzare o almeno per cercare di realizzarli.
Copertina del libro Art Record Covers di Francesco Spampinato, edito da Taschen, 2017
Arriva nelle librerie per Taschen Art Record Covers, il volume di Francesco Spampinato con oltre 500 copertine d’artista
A proposito di cover d’artista: ecco un bel volume edito da Taschen a cura di Francesco Spampinato, Art Record Covers, con oltre 500 dischi dagli anni Cinquanta a oggi illustrati da quasi 300 firme del contemporaneo, da Franz Ackerman a Christopher Wool. Sulla copertina del catalogo – trilingue: inglese, francese e tedesco – c’è, manco a dirlo, Andy Warhol, ma questa volta non con la solita banana disegnata nel 1967 per i Velvet Underground, ma con una serigrafia del volto di John Lennon usata per l’album postumo Menlove Ave (1986).
Oggi parliamo di Shepard Fairey, grafico statunitense e firma tra le più note della street art mondiale, creatore del marchio OBEY – quello con la facciona del lottatore André the Giant – e del manifesto con il volto bianco, rosso e blu di Barack Obama, simbolo delle presidenziali del 2008. Ma anche richiestissimo illustratore di poster e copertine per i musicisti più diversi, dai rapper Black Eyed Peas, ai metallari Anthrax.
La storia di Elsa Morante, prima donna vincitrice del Premio Strega
Ancora oggi L'isola di Arturo è un caposaldo della letteratura italiana.
DI EVA LUNA MASCOLINO
Era il 1957 e il prestigioso Premio Strega esisteva già da dieci anni quando, con il romanzo L’isola di Arturo, la scrittrice romana Elsa Morante diventava la prima donna ad aggiudicarsi il primo posto. Un momento importante nella storia della letteratura italiana, che riconobbe il valore di un romanzo di formazione diverso dal solito, intriso di neorealismo e al tempo stesso di atmosfere epiche e di simbolismi. Ma chi era la sua autrice e come mai ancora oggi rappresenta una pietra miliare della cultura del Novecento? Nata in una famiglia umile, nel quartiere popolare di Testaccio, Elsa Morante era figlia di una insegnante di religione ebraica e di un impiegato siciliano di nome Francesco Lo Monaco, anche se ufficialmente venne riconosciuta come figlia da Augusto Morante, marito di sua madre Irma Poggibonsi e genitore – solo sulla carta – di altri tre bambini.
Sviluppando fin da piccola una certa propensione per la scrittura, compose filastrocche, fiabe e racconti già da ragazza, per poi decidere di andare via di casa dopo la scuola per iscriversi alla facoltà di Lettere, dove sperava di concretizzare la sua passione mentre intanto era già stata pubblicata su diverse riviste. Iniziò allora a mantenersi da sé dando ripetizioni e riuscendo a scrivere per giornali come Il Meridiano di Roma e Oggi, nei quali si firmava spesso con uno pseudonimo. Nel 1936, grazie al pittore Capogrossi, conobbe poi Alberto Moravia, il famoso autore de La noia e Gli indifferenti, con cui strinse un rapporto di stima e di fiducia, conoscendo grazie a lui intellettuali del calibro di Umberto Saba e di Pier Paolo Pasolini. Con Moravia abitò per anni in uno stabile di via Sgambati, a Roma, anche dopo che i due si sposarono e portarono avanti insieme la carriera della scrittura. Elsa Morante, nello specifico, pubblicò Il gioco segreto, Le bellissime avventure di Caterì dalla trecciolina, poi ampliato ne Le straordinarie avventure di Caterina, e in seguito Menzogna e sortilegio, con cui nel 1948 si aggiudicò il Premio Viareggio.
Dopodiché, passarono quasi dieci anni prima che uscisse un suo nuovo romanzo, ma si sarebbe trattato per l’appunto de L’isola di Arturo, che avrebbe confermato il suo talento anche agli occhi della critica e dell’élite culturale, vincendo il Premio Strega e mettendo sulla scena la vicenda di un giovane che solo sull’isola di Procida sognando di esplorazioni e condottieri, finché sul posto non arriva una ragazza di cui il protagonista si scoprirà innamorato. Nel frattempo, già all’indomani della vittoria, Morante e Moravia avevano ripreso a condurre una vita serena, dopo i pericoli corsi sotto il regime fascista che li aveva costretti a rifugiarsi sulle montagne di Fondi, in Ciociaria, anche se lei non sempre era convinta del proprio valore letterario e finì per distruggere gran parte dei suoi manoscritti, dando alle stampe solo in un secondo momento Lo scialle andaluso, uscito per l’antologia Storie italiane moderne.
Ma nemmeno la fragile serenità familiare durò molto, perché nel 1961 divorziò dal marito e frequentò numerosi artisti dell’epoca, avvicinandosi prima a Luchino Visconti, poi a Bill Morrow, senza dimenticare Cesare Garboli e Carlo Cecchi. Con loro cercò di colmare il bisogno di essere amata e protetta, senza forse esserci riuscita mai del tutto, e grazie anche a una condizione economica più stabile viaggiò fra la Russia e la Cina, spingendosi addirittura in Brasile e in India. Le sue condizioni di salute, però, peggiorarono di anno in anno, portandola a riprendere uno stile di vita più sedentario e al tempo stesso a pubblicare opere di grande rilievo, come La storia del 1974 e Aracoeli del 1982, l’ultimo romanzo uscito a suo nome. In quel periodo, infatti, Elsa Morante subì un intervento che la portò a perdere l’uso delle gambe, dopo il quale trascorse gli ultimi anni della sua vita immersa nella malinconia: si spense nel 1985, all’età di settantatré anni, quando ormai intanto era entrata a pieno titolo nel pantheon dei grandi intellettuali del XX secolo.
Elsa Morante è stata una delle scrittrici e personalità più influenti del Novecento. Il suo romanzo Menzogna e sortilegioè un esempio di uso di temi tipici di questo secolo nella forma lunga.
La figura di Artemisia Gentileschi è diventata popolare in Italia anche grazie al film francese del 1997 (molto fedele alla sua biografia) a lei dedicato, Artemisia. Passione estrema di Agnès Merlet dove una giovanissima Valentina Cervi interpreta la geniale artista. Il sottotitolo del film identifica alla perfezione la caratteristica principale della pittrice: una passione estrema, infinita per la pittura, ma anche per il suo modo di affrontare la vita. Come spesso accade per i grandi artisti, anche la vita di Artemisia è offuscata da tante lacunosità, da dubbi, incertezze ed ipotesi.
Georgia O'Keeffe con cappello nero, contro lo stipite di una porta di legno - fotografia di Alfred Stieglitz, Metropolitan Museum of Art, New York, Usa
L'iconografia unica di Georgia O'Keeffe
Fiori, deserti e teschi. Artista e musa: il percorso di un’artista che ha ridefinito il modernismo americano e sfidato le convenzioni di genere
Georgia O'Keeffe, pittrice statunitense di straordinaria originalità, è considerata una delle figure più emblematiche dell'arte moderna americana. La sua produzione artistica, caratterizzata da una sensibilità unica e da una visione audace, ha sfidato le convenzioni e aperto nuove strade all'espressione creativa.