mercoledì 30 dicembre 2015

W.H. Auden / Oratorio di Natale


W.H. Auden
Per il tempo presente : Oratorio di Natale

La strage degli innocenti

ERODE: 

Poiché sono perplesso, poiché devo decidere, poiché la decisione dev’essere conforme alla Natura e alla Necessità, lasciate che onori coloro per i quali la mia natura è necessariamente ciò che è. 
Alla Fortuna — di essere diventato Tetrarca, di essere sfuggito agli attentati, di essere arrivato ai sessanta con la testa lucida e la digestione sana. 
A mio Padre — per i mezzi che mi hanno permesso di appagare il mio amore per i viaggi e per lo studio. 
A mia Madre — per un nasino dritto. 
A Eva, la mia balia di colore — per abitudini regolari. 
A mio fratello, Sandy, che ha sposato un’artista del trapezio ed è morto alcolizzato — per aver in tal modo confutato l’Edonismo. 
Al signor Steward, soprannominato La Carpa, che mi ha istruito negli elementi di geometria, grazie ai quali ho riconosciuto gli errori dei poeti tragici. 
Al Professor Lighthouse — per le sue lezioni sulla Guerra del Peloponneso. 
Allo sconosciuto sulla nave per la Sicilia — per avermi consigliato Marinai del re. 
Alla mia segretaria, Miss Button — per aver ammesso che i miei discorsi non si sentivano. 
Non c’è disordine apparente. Non c’è crimine — cosa potrebbe essere più innocente della nascita del figlio di un artigiano?








Oggi è stato uno di quei giorni d’inverno perfetti, freddo, limpido, assolutamente immobile, uno di quei giorni in cui il latrato di un cane pastore si propaga per miglia, le grandi montagne selvagge si stagliano vicinissime alle mura della città, la mente è del tutto sveglia, e ora che cala la sera mi affaccio alla finestra alta nella cittadella e non c’è niente nell’intero, magnifico panorama di distese e monti che indichi che l’Impero è minacciato da un pericolo molto più terribile di qualsiasi invasione di tartari sui loro cammelli in corsa o delle cospirazioni della Guardia Pretoriana. 
Le chiatte stanno scaricando fertilizzanti sulle banchine fluviali. Le taverne offrono bibite e panini a prezzi ragionevoli. L’orticultura urbana è ormai pratica diffusa, L’autostrada dalla costa si spinge diritta oltre le montagne e i camionisti non girano più armati. Le cose iniziano a prendere forma. Da tempo nessuno ruba più le panchine dal parco né uccide i cigni. In questa provincia ci sono bambini che non hanno mai visto un pidocchio, negozianti che non hanno mai avuto per le mani una moneta falsa, donne sulla quarantina che non si sono mai nascoste in un fossato se non per svago. Sì, in questi vent’anni sono riuscito a fare qualcosa. Non abbastanza, certamente. Ci sono villaggi a pochi chilometri da qui dove ancora credono alle streghe. Non c’è una sola città dove una buona libreria renda qualcosa. Le persone in grado di risolvere il problema di Achille e la Tartaruga si contano sulle dita della mano. Ma è un inizio. In vent’anni l’oscurità è stata ricacciata indietro di qualche centimetro. E che cos’è l’Impero dopotutto, con le sue poche migliaia di chilometri quadrati in cui è possibile condurre la Vita Razionale, se non una macchiolina di luce, comparato con le immense aree di notte barbarica che lo circondano da ogni lato, quella landa incoerente di furia e terrore dove i mongoloidi sono considerati sacri e le madri che partoriscono due gemelli sono giustiziate all’istante, dove la malaria è curata strillando, dove guerrieri dal superbo coraggio obbediscono agli ordini di tizi isterici acconciati da donna, dove i migliori pezzi di carne sono riservati ai morti, dove se viene avvistato un merlo bianco si sospende il lavoro per l’intera giornata, dove si crede fermamente che il mondo è stato creato da un gigante a tre teste o che i moti degli astri sono controllati dal fegato di un furente elefante solitario? 
Eppure perfino all’interno di questa piccola enclave civilizzata, dove, al costo di dio sa quanto dolore e quale spargimento di sangue, nessuno che abbia più di dodici anni ha bisogno di credere alle fate o che la Causa Prima risieda in oggetti mortali e finiti, sono in tanti a rimpiangere quel disordine che legittimava la frenesia di qualsivoglia passione. Cesare fugge al suo padiglione di caccia incalzato dal tedio; nei sobborghi della Capitale la Società si abbruttisce corrotta dalle sete e dalle essenze, rammollita dallo zucchero e dall’acqua calda, resa insolente dai teatri e dagli schiavi attraenti; e ovunque, inclusa questa provincia, nuovi profeti spuntano ogni giorno a intonare la vecchia barbarica nota. 
Le ho provate tutte. Ho proibito la vendita di cristalli e di tavolette ouija; ho tassato pesantemente il gioco d’azzardo; le corti hanno il potere di sbattere gli alchimisti ai lavori forzati nelle miniere; chi fa girare i tavoli o tasta le protuberanze è perseguibile per legge. Ma non c’è niente che funzioni davvero. Come posso pretendere che le masse siano ragionevoli mentre so per certo che, per esempio, il capitano della mia guardia porta un amuleto contro il Malocchio e il mercante più ricco della città consulta una medium per ogni transazione importante? 
La legislazione è impotente di fronte all’esaltata preghiera trepidante che si leva, giorno dopo giorno, da tutte le dimore sotto la mia protezione: «O Dio, accantona giustizia e verità poiché non le possiamo comprendere e non le vogliamo. L’eternità ci annoierebbe a morte. Lascia le Tue sfere e scendi sulla nostra terra di orologi ad acqua e siepi. Diventa nostro zio. Occupati del Bebè, diverti il Nonno, accompagna Madame all’Opera, aiuta Willy con i compiti, presenta Muriel a un bell’ufficiale di marina. Sii interessante e debole come noi, e ti ameremo come amiamo noi stessi». 
La Ragione è impotente, e ora neppure il Compromesso Poetico funziona più, tutte quelle amabili favole in cui Zeus, travestito da cigno, toro, pioggia o quel-che-ti-pare, giace con una bella donna e genera un eroe. Ormai il Pubblico è troppo sofisticato. Sotto i simboli e le intriganti metafore percepisce l’ordine severo: «Sii ed agisci eroicamente»; dietro al mito dell’origine divina coglie la vera eccellenza umana che è un’accusa alla sua bassezza. Così, con un muggito di rabbia, caccia la Poesia e manda a chiamare la Profezia. «Tua sorella mi ha appena insultato. Ho chiesto un Dio che sia il più possibile simile ame. A cosa mi serve un Dio la cui divinità consiste nel fare cose difficili che io non so fare, dire cose intelligenti che non so capire? Il Dio che mi serve e intendo procurarmi deve essere qualcuno che riconosco immediatamente, senza dover aspettare di vedere quel che dice o fa. Non ci deve essere niente che non sia ordinario in lui. E cerca di fornirmelo subito, per favore, che sono stufo di aspettare». 
Oggi, a giudicare dal terzetto che è venuto a trovarmi stamane, con quei ghigni estatici stampati sulle facce erudite, si direbbe che l’opera sia compiuta. «Dio è nato» gridavano, «l’abbiamo visto con i nostri occhi. Il Mondo è salvo. Nient’altro importa». 
Uno non deve essere chissà che psicologo per capire che se queste voci non vengono soppresse ora, tra qualche anno saranno capaci di infestare tutto l’Impero, e uno non deve essere un profeta per predire le conseguenze che ciò avrebbe. 




La Ragione lascerà il posto alla Rivelazione. Invece della Legge Razionale — verità oggettive, evidenti a tutti coloro che si sottopongono alla necessaria disciplina intellettuale, e per tutti uguali — la Conoscenza degenererà in una sommossa di visioni soggettive — sentori nel plesso solare indotti dalla malnutrizione, immagini angeliche generate da febbre o droga, sogni premonitori ispirati dal suono dell’acqua che cade. Intere cosmogonie create da qualche risentimento personale dimenticato, epiche scritte in linguaggi privati, gli sgorbi dei bambini apprezzati al pari dei maggiori capolavori. 
L’Idealismo sarà rimpiazzato dal Materialismo. Priapo dovrà solo trasferirsi a un buon indirizzo e farsi chiamare Eros per diventare il prediletto delle signore di mezza età. La vita dopo la morte sarà un eterno banchetto dove gli invitati hanno tutti vent’anni. Deviato dal suo normale e salubre sfogo nel patriottismo e nell’orgoglio civico o familiare, il bisogno delle Masse materialiste di un Idolo visibile da adorare sarà incanalato in vie totalmente asociali dove l’educazione non lo può raggiungere. Saranno resi onori divini alle teiere in argento, a leggeri avvallamenti nel terreno, ai nomi sulle mappe, agli animali domestici, ai mulini diroccati, e perfino, in casi eccezionali che diventeranno sempre più comuni, ai mal di testa, ai tumori maligni o alle quattro del pomeriggio. 
Come virtù umana cardinale, la Giustizia verrà rimpiazzata dalla Pietà, e tutti i timori del castigo svaniranno. I perdigiorno si compiaceranno: «Sono un tale peccatore che Dio è dovuto scendere di persona per salvarmi. Devo essere un vero demonio». E i malviventi argomenteranno: «A me piace commettere crimini. A Dio piace perdonarli. Il mondo è davvero ben congegnato». E l’ambizione dei giovani poliziotti sarà di ottenere un pentimento dell’ultima ora. La Nuova Aristocrazia consisterà esclusivamente di eremiti, barboni e invalidi permanenti. Il Burbero Dal Cuore Tenero, la Troia Tisica, il bandito gentile con la madre, l’epilettica che sa trattare gli animali, questi saranno gli eroi e le eroine della Nuova Tragedia quando il generale, l’uomo di stato, il filosofo saranno diventati lo zimbello di farse e satire. 
Naturalmente, non si può permettere che ciò accada. La civiltà deve essere salvata anche se questo implica l’intervento armato, come suppongo sia il caso. E’ un vero guaio. Perché alla fine la civiltà deve sempre ricorrere a questi depuratori di professione per i quali non fa differenza se è Pitagora o un maniaco omicida che devono eliminare? Oh cielo, perché questo infante sciagurato non è nato altrove? Perché la gente non sa essere ragionevole? Io non vorrei essere spietato. Perché non capiscono che la nozione di un Dio finito è assurda? Perché lo è. E allora immaginiamo, solo per il gusto della speculazione, che non lo sia, che questa storia sia vera, che in qualche modo inspiegabile questo bambino sia Dio e Uomo insieme, che cresca, viva, muoia senza commettere alcun peccato. La vita ne risulterebbe anche minimamente migliorata? Al contrario, sarebbe molto, molto peggiore. Perché vorrebbe dire una sola cosa: che una volta mostrato loro come, Dio si aspetterebbe che ogni uomo, a prescindere dalla sua condizione, conduca una vita senza peccato della carne e sulla terra. A quel punto la razza umana sprofonderebbe nella follia e nella disperazione. Mentre per quel che riguarda me, personalmente, ciò vorrebbe dire che Dio mi ha dato il potere di distruggerLo. Io non ci sto. Non può giocarmi un simile, orribile tiro. Perché dovrebbe odiarmi a tal punto? Ho lavorato come uno schiavo. Chiedi a chi vuoi. Ho letto tutti i comunicati ufficiali senza mai saltare una riga. Ho preso lezioni di dizione. Le mazzette non le ho quasi mai accettate. Come osa permettermi di decidere? Ho cercato di essere buono. Mi lavo i denti ogni sera. E da un mese che non scopo. Io protesto. Sono un liberale. Voglio che tutti siano felici. Vorrei non essere mai nato.

Oratorio di Natale, W. H. Auden ; trad. di Vanni Bianconi - Transeuropa, 2011





NOTA DEL TRADUTTORE 

Oratorio di Natale (For the Time Being. A Christmas Oratorio, 1941-1942) è un poema sulla nascita di Cristo diviso in nove sezioni: 
Avvento, L’Annunciazione, La Tentazione di San Giuseppe, La Chiamata, La Visione dei Pastori, Al Presepio, La Meditazione di Simeone, La Strage degli Innocenti, La Fuga in Egitto. Si tratta dunque di poesia di ispirazione religiosa, ma in cui riecheggiano eventi biografici — la morte della madre, a cui l’opera è dedicata, e una grave crisi nella relazione con Chester Kallman — e storici, essendo stata scritta nel pieno della Seconda Guerra Mondiale. Inoltre, l’Oratorio era pensato come libretto per il compositore Benjamin Britten, che invece rifiutò di musicarlo data la lunghezza e la complessità del testo, segnando in tal modo la fine dell’amicizia tra lui e Auden. 
A questa stratificazione di contenuti corrisponde una ricchezza di forme — metri e schemi di rime rigorosi, tradizionali o inventati, parti recitative, ninnananne, filastrocche —, registri e toni, dal meditativo al bollettino meteo, dal profetico al paradossale, dal lirico all’elegiaco. 
È uno dei risultati più completi dell’opera di Auden, sia per la qualità sia per l’apparente eterogeneità, che condensa in un unico testo tanti elementi propri della sua poesia: la speculazione teologica, la spietata analisi del “tempo presente”, la conoscenza dell’ansia, l’intimità della voce, l’umanità dei personaggi, con esiti commoventi e comici, sensuali, visionari e lirici. 
Il poema mancava in Italia dall’edizione Scheiwiller del 1964 (Per il tempo presente, All’insegna del pesce d’oro); la presente traduzione ha cercato, nel restituire ai lettori il capolavoro di Auden, di tenere conto della sua ricchezza formale e musicale.
Vanni Bianconi 








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