venerdì 30 giugno 2017

Basic Instinct 25 anni dopo / Le gambe di Sharon



Basic Instinct 25 anni dopo: le gambe di Sharon

19 APRILE 2017 di 


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Basic Instinct di Paul Verhoeven / Sharon Stone nella scena più calda del film
Basic Instinct di Paul Verhoeven / Sharon Stone nella scena più calda del film

Ci sono alcune scene di film che rimangono impresse, indelebili, nella memoria dello spettatore, basterebbe ricordare Capitano, mio capitano, ne L’attimo fuggente di Peter Weir, del 1989, con Robin Williams indimenticabile professor Keating, il ballo di Uma Thurman e John Travolta, Mia Wallace e Vincent Vega in Pulp Fiction di Quentin Tarantino, 1994, il volto con lo sguardo psicopatico di Jack Nicholson-Jack Torrance in Shining, di Stanley Kubrick, 1980, che spunta fra le travi della porta sfondata dicendo: “Sono il lupo cattivo”. E poi, c’è quel celebre accavallamento di gambe alla centrale di polizia, lento e sensuale, di Sharon Stone, nel ruolo della scrittrice Catherine Tramell, in tubino bianco ma senza intimo, sequenza-simbolo di Basic Instinct (guarda), thriller con una sana dose di erotismo, diretto da Paul Verhoeven (Golden Globe 2017 per miglior film straniero grazie al provocatorio Elle).
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Il film, record di incassi all’epoca (uscì nelle sale nel 1992) due nomination ai Golden Globe e agli Oscar, è diventato un cult per intere generazioni, e anche se non li dimostra, ecco qui, nel 2017, i suoi primi 25 anni, mentre la bellissima e magnetica Sharon Stone ne ha da poco festeggiati 59. Basic Instinct è un classico del cinema bollente nel solco di Nove settimane e 1/2 del 1986 e Attrazione Fatale del 1987, entrambi di Adrian Lyne. Joe Esztherhas, che firma la sceneggiatura, carica sui personaggi dalla morbosità e sessualità fuori dal comune inganni ed enigmi da risolvere: il risultato è un plot avvolto da ambiguità e tensione erotica, piccante, con un incastro di finzione, realtà e mistero.
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La storia si sviluppa attorno alle indagini sulla morte di un ex cantante rock, ucciso con un punteruolo da ghiaccio in una camera d’albergo. Catherine Trammell (Sharon Stone), autrice di gialli, è la principale sospettata e lei, furba e disinibita, si diverte a manipolare il detective cui è assegnato il caso, un Nick Curran (Michael Douglas) emotivamente ammaccato, che diventa preda (quasi) scontata della seducente e perversa dark lady. Fino all’ultimo lo spettatore si chiede: a che punto lei spingerà il gioco? Riuscirà il detective a incastrare il colpevole?
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Agganciata alla memoria del pubblico resta la scena dell’interrogatorio, una delle più sexy di sempre della storia del cinema; si dice tra l’altro che nella sceneggiatura la sequenza non fosse prevista, ma sia nata dall’improvvisazione del regista. Stone sostiene la versione della ripresa non concordata, una specie di tradimento di Verhoeven, che le chiese di sfilare le mutandine bianche assicurandole che non si sarebbe visto nulla, e solo alla proiezione al Festival di Cannes si rese conto che non era andata proprio così.
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Il chiacchiericcio che si è scatenato intorno al film vuole che l’attrice indossasse slip protettivi color carne (così come nelle scene di letto del film, tutte girate senza controfigure, la più lunga ha richiesto addirittura cinque giorni di riprese) perché, ricordiamolo, si era in pieno allarme Aids. Poco importa, di fatto quell’incrocio di gambe sensuale è diventato leggenda e Basic Instinct rimane sulla vetta di un sexy-olimpo con buona pace delle cinquanta sfumature di vari colori che in tempi recenti hanno provato a riaccendere scandalo e toni hot Cportando sul grande schermo (forse) solo tante esagerazioni.


giovedì 29 giugno 2017

Essere in “0” / Ildegarda e Mariella, due donne all’unisono


Lezioni di medicina_Ruggero Frugardo

Essere in “0”

Ildegarda e Mariella, due donne all’unisono

22 DICEMBRE 2014 

Santa Ildegarda di Bingen fu una grande figura femminile del Medio Evo, è considerata una delle più fervide mistiche del cristianesimo. La badessa benedettina, con illuminazioni visionarie, si occupò delle funzioni del corpo umano, delle cause delle malattie e si adoperò per trovare nella natura rimedi per guarire le infermità, coniugando la teologia col sapere scientifico. Ora, dopo 800 anni, alcune sue cognizioni mediche son state riconosciute esatte dalla moderna medicina.
Strana e, al momento, stridente la richiesta di Mariella di scrivere qualcosa, di intavolare una conversazione con lei e Ildegarda proprio nei giorni in cui mia madre stava morendo e io mi sentivo fuori dal mondo e immersa in un’aura di gelo e di dolore. In seguito, con fatica, per dovere e fedeltà, ho iniziato a leggere il suo scritto sulla badessa tedesca e senza accorgermene mi sono accostata silenziosamente al suo camminare nella vita passo passo con Ildegarda: le ho viste procedere in sintonia con pacatezza e determinazione, le ho osservate nei loro gesti, nella lentezza delle movenze, nella profondità dei loro sguardi, nelle tonalità calde e suadenti dei loro suoni, nelle loro rituali celebrazioni del vivente e mi sono sentita, a poco a poco, rivitalizzare, come presa per mano e contagiata positivamente da questa passione per la naturalità delle cose, dove anche la morte ha un suo posto e un suo significato germinatore.
Mi sono sentita toccare delicatamente e accompagnata a un riavvicinamento alla vita attraverso il contatto con la natura vissuta dalle due donne in maniera così intensamente spontanea da conferirle un carattere di sacralità. Allora anche il mio pensiero ha ricominciato a vivere e si sono realizzate connessioni, legami tra diverse menti che dentro di me trovavano spazio ed entravano in relazione tra di loro in un gioco di rimandi e di rispecchiamenti. Mi ha colpito la citazione di Mariella da Ildegarda quando scrive che “ciò che ora è bile scintillava come cristallo, ciò che era melanconia brillava come un’alba, poi lo splendore dell’innocenza si oscurò e gli occhi divennero ciechi”. Davvero, quando si perde il bello e il buono, si possono scatenare rabbie biliose e provare devastanti melanconie, ma la cecità della mente, il poter tollerare di stare “senza memoria e senza desiderio” (Bion) può aprire a nuove scoperte; Grotstein cita da Freud l’ossimoro “raggio d’intensa oscurità” per significare metaforicamente che quando si è al buio è più facile riconoscere dei segnali evanescenti, dei pallidi barlumi che nel bagliore della luminosità non sarebbero percepibili, per cui anche quell’andare a “tentoni in reciproche cecità”, come racconta Mariella, può diventare un’occasione straordinaria di annusamenti di cose nuove e di scoperte imprevedibili.
Anche Ildegarda per me è stata una scoperta imprevedibile, forse bisogna sempre essere accompagnati per esserle presentati, per avvicinarsi a lei: l’ho incontrata per la prima volta qualche anno fa in un soggiorno nelle Alpi Svizzere, in un rifugio scelto da Giovanni proprio perché era intitolato a lei, sua reminiscenza universitaria. Lì, in mezzo a pascoli incontaminati, si erge questa dimora da favola, rallegrata da gerani incandescenti, circondata da ruscelli canterini, soffusa di profumi silvestri, abitata da animali pacifici e con accanto un orticello botanico brulicante delle sue famose erbe. L’accoglienza della prima sera era stata suggellata dalla consumazione di un vino denso e profumato, ricco di proprietà toniche come suggerito dai ricettari della mistica e anche i cibi che durante il soggiorno abbiamo assaporato, si ispiravano al suo pensiero e ogni camera aveva il nome di un’erba, la nostra era dedicata al finocchio, una delle piante ritenuta dalla badessa fondamentale per il benessere della persona. Sono rimasta così rasserenata da quell’atmosfera benefica e mi sono sentita così protetta e ben curata in quei giorni, dai silenzi lenitivi, avvolta solo dai suoni-voci-profumi della natura, che l’impatto poi con la “civiltà” e i suoi odori falsi e sgradevoli, i rumori disturbanti e l’atmosfera frenetica e stordente del formicolare senza senso degli uomini mi ha veramente turbato e destabilizzato, era come uscire da una seduta di massaggio rilassante il corpo e la mente ed essere investita senza pietà da un tir: un vero e proprio trauma.
Tornata a Milano dove vivo, ho allora continuato a cercare Ildegarda e ho finalmente scoperto che a Santa Caterina del Sasso, sul lago Maggiore, c’è un eremo appeso su un promontorio che si affaccia suggestivamente sulle acque lacustri dove suore laiche, come fedeli vestali, conservano le ricette e vendono i rimedi pensati da Ildegarda, che ha lasciato come generosa eredità ai suoi seguaci. E, con sollievo, lì ho ristabilito un contatto col suo mondo. Ma quando ho conosciuto Mariella ho incontrato Ildegarda di persona. E questa è un’esperienza unica. Mariella è lei per l’intensità con cui assapora e si rapporta alla natura, tutta la sua sensorialità vibra dei colori, dei suoni, delle forme che il creato offre e con cui si accoppia e si fonde in un sentimento di partecipazione, da diventare un tutt’uno. Mariella che vola in bicicletta, che si incanta nel guardare la luna, che si perde nel trascolorare del cielo, che rincorre con lo sguardo il mutarsi delle nuvole, che assapora e maneggia i cibi con afflato mistico.
Bion, lo psicoanalista che amo di più, è nato e ha vissuto la sua infanzia in India, per cui la sua storia si è intessuta di tutta la filosofia orientale e questa formazione lo ha reso disponibile ad aperture di significato che vanno anche al di là delle concretezze tangibili, positivistiche del mondo occidentale; dunque Bion parla dell’esperienza relazionale dell’essere all’unisono o, secondo il suo slang, di essere in “0”, simbolo non codificabile negli stretti parametri linguistici, ma che sta a indicare la verità ultima di cui siamo fatti (Viriditas, concetto ildegardiano non può contenere anche questo significato?), e questo avviene quando una relazione è talmente intensa da raggiungere e condividere le vibrazioni più profonde, emozione straordinaria che succede solo in alcuni stati di grazia, per esempio, a volte, tra innamorati o nella relazione ineffabile tra madre e neonato.
E forse l’esperienza dell’essere in “0” è riscontrabile in questo rapporto così speciale, dove Mariella e Ildegarda si compenetrano, si fondano e diventano Ildegarda/Mariella, una mente-corpo all’unisono innamorata del vivente. E lo sguardo che si posa accarezzando il mondo è uno sguardo particolare, profondo, che si insinua nel miracolo della natura e che, nei disegni di Mariella, si può inverare nelle forme stupefacenti di un insetto, o in un’iridescente goccia d’acqua, o nelle volute di un aglio con le sue radici che si muovono e parlano, o nella meraviglia di un fiore. I suoi occhi “bucano” e non solo si impossessano, ma diventano l’oggetto osservato di cui sentono e svelano anche le parti più intime e misteriose.
Mariella è una narratrice anche per immagini, racconta tramite le tavole botaniche la vita delle piante, degli insetti, delle acque, che nei suoi lavori si vedono in movimento e in trasformazione, proprio rappresentandone il ciclo vitale. Mi piacciono tanto i pensieri di Ildegarda che Mariella ha fatto suoi in questo dialogo continuo di trasparenze e nelle sue/loro visioni ritrovo la visionarietà di Bion quando sogna la funzione del “pensare fino in fondo” che è specularmente espresso in entrambe le sacerdotesse: “Se un uomo non avesse pensieri … sarebbe come una casa senza porte né finestre” o “Per pensare è necessario scendere in profondità e per farlo ci vuole tempo e concentrazione”. Bion parla di “capacità negativa”, mutuando i termini dal poeta inglese Keats, quando si riferisce alla possibilità di darsi il tempo che ci vuole per fare esperienza, alla capacità di tollerare di non capire subito, di poter stare nell’incertezza senza incorrere nell’affannosa ricerca di una conoscenza definita e sicura. Ildegarda saggiamente continua: “chi sottopone il proprio corpo a pene che non è in grado di sopportare, non reca alcun giovamento alla sua anima”, questo suggerimento si riscontra anche nella pratica psicoterapeutica, dove occorre fare attenzione alle capacità metaboliche della mente dell’altro per non allagarlo con interpretazioni/pensieri troppo indigesti, troppo faticosi, che creerebbero un peso in più e forse anche ustioni dell’anima.
E l’essere sintonizzato con l’altro e la sua capacità di sopportare la propria verità è uno strumento prezioso per entrare in un contatto che crea benessere. La verità è un cibo nutritivo per la mente e l’orto contiene tutte le verità, l’orto è umile e sapiente, l’orto richiede cura, pazienza, fiducia e insegna l’arte dell’attesa, rimandando proprio alla situazione naturale di una donna incinta che è “in attesa” paziente e sognante della sua creatura. L’orto è l’esperienza della germinazione, della creatività, della vita che si rigenera costantemente. Mia madre amava tanto prendersi cura del suo orto, si accucciava per ripulirlo dalle erbe cattive, affondava con sapienza le mani nel terreno senza paura di sporcarsi, spiava con amore e attenzione le modificazioni delle piante, gioiva della loro crescita, intuiva i loro bisogni. Traeva linfa vitale dal contatto con la terra e i suoi miracolosi frutti, era evidente che lì era nel suo humus, appariva appagata e felice. Aveva per le sue pianticelle uno sguardo amorevole, materno, lì si sentiva libera, capace di generatività e avere cura di liberare le aiuole da erbe infestanti corrisponde affettivamente all’accudimento della buona madre che ripulisce dalle cacche il suo bambino. Con questo gesto d’amore dimostrava di aver imparato a distinguere “ciò che è prezioso da ciò che è inutile” come scriveva Ildegarda filosofa.
Eccomi ritornata col pensiero a mia madre, ora è un pensiero positivo, vitale, bonificato dall’incontro con Mariella/Ildegarda in questa narrazione sognata delle loro storie, che adesso è diventata in parte anche la mia storia e quella di mia madre che ho recuperato in una funzione vitale, generatrice, accuditrice, madre erbaria. E dopo questo viaggio mitico di andata e ritorno, il cerchio trova la sua forma, come un mandala ricco di significati simbolici che spiegano l’esistere e il morire, significati codificati e significati da scoprire, da creare, da sognare, poliedrici, cangianti, dinamici, sorprendenti come lo è la vita nella sua meravigliosa, terribile ciclicità.


mercoledì 28 giugno 2017

Marilyn Monroe / Femme fatale in Provenza

Marilyn Monroe

Paolo Valentino
MARILYN, FEMME FATALE IN PROVENZA

"I wanna be loved by you”, “Voglio essere amata da te”. Così cantava, con sguardo malizioso, in “A qualcuno piace caldo” (1959) la bionda femme fatale Marilyn Monroe, all’epoca Norma Jeane. Quella canzone è diventata il simbolo dell’attrice con lo sguardo da cerbiatto velato di tristezza, ed è così che è intitolata l'ultima mostra aperta al centro d'arte dell'Hotel de Caumont a Aix-en-Provence, nel sud della Francia, che chiuderà il 1° maggio. Al centro dell’esposizione il rapporto viscerale di Marilyn con la fotografia. L’attrice aveva seguito i consigli di Andres de Denies, uno dei primi ad averla immortalata: "Se vuoi diventare famosa, non rifiutare mai di farti fotografare, l'importante è che ti vedano il più possibile". Nella prima parte viene affrontata la biografia dell’icona mondiale del cinema, con i punti salienti della sua vita, in parallelo agli avvenimenti storici e culturali degli Stati Uniti. Tra i filmati più curiosi, l'intervista alla sua segretaria che ricorda la prima volta che l'ha vista "timida, struccata e non bella”. Poi, spazio al rapporto con l’obiettivo: da modella a pin-up a star, man mano che Norma Jeane diventa Marilyn Monroe, accettando anche di posare nuda per un calendario. Invece di farsi travolgere dallo scandalo, racconta al pubblico che ha accettato di posare nuda "perché avevo fame". Spiegazione che la rende (se possibile) ancora più amata. Finché si arriva alla seconda parte della mostra con gli scatti del 1962 del fotografo Bert Stern per Vogue, un mese prima della morte dell’attrice. Una Marilyn più intima che accetta di farsi fotografare quasi nuda e mostrando la cicatrice sulla pancia di un intervento subito da poco: si svela al grande maestro per 12 ore, chiusa con lui in una stanza dell'hotel Bel-Air di Los Angeles. Per la rivista il servizio è troppo spinto e Stern deve rifarlo. Marilyn accetta di tornare al “classico”, pur annoiandosi. Vuole “ritrovare il piacere”: è allora che Stern la ritrae abbandonata, complici la stanchezza e lo champagne bevuto. I tre shooting sono quelli che passano alla storia come la struggente “Dernière séance”, con 2571 foto. Stern ne sceglierà soltanto 59. Il servizio su Vogue uscirà il giorno dopo la morte dell'attrice.

CORRIERE DELLA SERA




martedì 27 giugno 2017

Gone Girl, solo la finzione unisce la coppia









Gone Girl, solo la finzione unisce la coppia

4 GENNAIO 2015 di 




Rosamund Pike/Amy (35 anni) in primo piano e il marito Ben Affleck/Nick (42) sullo sfondo in L'amore bugiardo - Gone Girl (2014) di David Fincher
Rosamund Pike/Amy (35 anni) in primo piano e il marito Ben Affleck/Nick (42) sullo sfondo in ...
Più che misogino, misantropo. Non è la donna ma l’essere umano l’oggetto del disincanto che muove questo film molto odiato e molto amato. Gone Girl-L’amore bugiardo di David Fincher (2014, guarda il trailer) è un gioco di ombre che risente della tentazione di mostrare tutto, anche la compenetrazione di realtà e finzione unica chiave per aprire lo scrigno proibito che appassiona il regista americano e intrappola i protagonisti, la mente umana. Tentazione residuo del ritmo disteso e dell’ambiguità della scrittura dalla quale trae origine l’opera, (dis)adattamento dell’omonimo romanzo di Gillian Flynn che firma la sceneggiatura.

È lo sforzo di tenere vivo il sottotesto a dare tensione a questo thriller con ambizioni hitchcockiane e dall’esito incerto. Amy e Nick (Rosamund Pike e Ben Affleck) si amano di un amore “unico, intrecciano le loro vite uniche, interpretano la loro felicità unica su una scena che si allarga con il procedere della storia. I genitori di Amy, raggelante coppia di psicologi-scrittori-imprenditori da anni impegnati a trasformare la loro figlia modello nell’eroina di libri per bambini di grande successo con il marchio “Mitica Amy”, sono gli artefici della prima “scomparsa”: quella di Amy come creatura di carne e sangue. Dopo il matrimonio sono amici e ammiratori a sostenere la disinvolta versione di una rispettabilità borghese apparentemente senza crepe che gli innamorati portano avanti tra interessi condivisi, reciproca e totale comprensione, sesso bollente e lenzuola mille fili. E il pubblico televisivo resta incollato agli schermi quando la bella-intelligente-sensuale Amy scompare davvero lasciando Nick a improvvisare la parte del marito affranto, il sospettato numero uno.
È un progressivo precipitare nell’ossessione che si annida in storie fin troppo banali. Lui si annoia e la tradisce, lei si annoia e trama una vendetta spettacolare come la persona che ha finto e creduto di essere sin dal primo incontro.
Grazie a lui Amy ha scoperto il suo lato leggero e brillante. Grazie a lei Nick è cresciuto in intelligenza e profondità. Nessun giudizio morale su una finzione perfidamente esaltata come il solo modo per stare insieme. L’unico linguaggio che renda possibili le relazioni in questo mondo di prati ben rasati e telecamere sempre accese dove la sola capace – forse – di esprimere sentimenti autentici, una vicinanza pur venata di gelosia, è Margo (Carrie Coon), la sorella gemella di Nick.
È lo sguardo esterno, l’invadenza del pubblico, il meccanismo stesso della rappresentazione cinematografica ad amplificare il potere straniante del duello tra i punti di vista e a tenere uniti i personaggi che dopo la violenza, l’inganno, la crudeltà, suggellano il loro patto, “siamo complici”.
Gelo dentro e fuori la sala…

Il cast di L’amore bugiardo – Gone Girl con il regista David Fincher (il secondo da destra)




lunedì 26 giugno 2017

Ida e Viviane, storie di donne in cammino


Ida e Viviane, 

storie di donne in cammino

16 DICEMBRE 2014 di Maria Serena Natale
Ida (2013)

Sono entrambe candidate al Golden Globe 2015 nella categoria Miglior Film Straniero. Due storie lontane nel tempo e nello spazio ma illuminate dallo stesso riverbero interiore, una volontà tenace. Ida (2013), la giovane novizia in cerca di se stessa e Viviane (2014), la moglie che sfida la legge per riprendersi la libertà.
Ida, orfana ebrea strappata all’Olocausto e cresciuta in un convento cattolico della Polonia comunista anni Sessanta, è un essere sradicato, senza identità né legami, grandi occhi scuri spalancati sul vuoto. Lo stesso nome che le è stato nascosto sarà per lei una conquista, un argine all’oblio, punto d’approdo e di partenza. Scoprirà un passato di dolore indicibile attraverso il viaggio con la zia ritrovata, Wanda – tra i personaggi femminili più intensi di questa stagione cinematografica -, incontrerà la sensualità, l’amore, il dubbio, la disperazione, la felicità. Un film morbido, compatto, disseminato di delicati bagliori.
In un tribunale rabbinico israeliano dei nostri giorni, Viviane trascina l’umiliante farsa del divorzio da Elijah, uomo inaccessibile sposato per volere della famiglia, il matrimonio una prigione di silenzio. Costretta a una surreale disamina delle incompatibilità che la separano dal marito, Viviane si dibatte tra le aspettative di una comunità votata all’equa ripartizione della sofferenza. Sfilano davanti agli esausti rabbini le comparse di un dramma privato reso pubblico dall’ostinazione della protagonista, continuamente richiamata a contenere un’energia erotica e vitale inammissibile. Da quell’aula non usciamo mai, le parole dei testimoni evocano una realtà esterna che è appena un sussurro, le persiane sempre chiuse, solo in una delle ultime scene Viviane, dando le spalle alla telecamera, guarda, con noi, fuori dalla finestra.


Viviane (2014)

Due sovversive, intimamente estranee a un mondo che non riconosce il loro diritto a decidere e darsi una direzione. Alle prese con l’enigma dell’essere donna, raccontato per scorci e inquadrature rétro nel raffinato bianco e nero del film del 2013 del polacco Pawel Pawlikowski (guarda il trailer in lingua originale)  e con il montaggio serrato dei primi piani che esaspera il dialogo muto dei volti in quello del 2014 scritto e diretto, con il fratello Shlomi, da Ronit Elkabetz che di Viviane è anche l’interprete (guarda il trailer in lingua originale).
In entrambi i casi, la fine della storia è l’inizio, un incosciente salto nel buio, primo passo di un percorso coraggioso e, soprattutto, solitario.
Ida in cammino sulla strada di campagna che la porta verso la vita che ha scelto. Di Viviane non ritroviamo più lo sguardo che ha dominato il racconto ma passi incerti su un pavimento bianco, i pochi metri tra quella stanza chiusa e il mondo.

CORRIERE DELLA SERA


domenica 25 giugno 2017

Perdersi nel labirinto a 18 anni / La contemporaneità del mito di Teseo e Arianna

Perdersi nel labirinto a 18 anni

La contemporaneità del mito di Teseo e Arianna


30 NOVEMBRE 2014,
LUISA MARIAN
I

"Una compagna di liceo si è gettata dalla finestra mentre stava litigando con i suoi genitori, era una bella ragazza, era stata promossa con buoni voti e aveva un fidanzato. Era felice e serena, a detta di tutti ... però si è uccisa. Sono sconvolta da questo fatto, non la conoscevo, ma mi sono profondamente identificata con lei e ho capito benissimo quello che ha provato. Anch'io sono stata sfiorata più volte dal pensiero di sparire quando il dolore del vivere era troppo forte da sopportare … ho provato paura quando l'ho saputo, paura che possa succedere anche a me …".
Federica, 18 anni appena compiuti, racconta sconvolta del suicidio della sua coetanea in una delle ultime sedute di psicoterapia, prima dell'interruzione per le vacanze estive. Fede, come la chiamano in famiglia, è una ragazza molto intelligente e sensibilissima, ed è entrata in terapia perché fa particolarmente fatica a vivere la sua età di passaggio: ha notevoli problemi di relazione coi genitori da cui non si sente capita e con cui ingaggia delle liti furenti; inoltre appare esteticamente incolore in un corpo goffo e ingessato che le impedisce di rapportarsi ai coetanei in maniera libera e spontanea, il risultato è che si sente imprigionata dalle sue paure e con un vissuto di estrema solitudine.
Dopo circa due anni di terapia, però, si è davvero trasformata: l'aria da intellettuale giudicante ha lasciato il posto a una modalità di approccio un po' più leggera e tenera, lo sguardo severo e diffidente si è addolcito; il corpo informe, grazie a una dieta adeguata e a costanti esercizi in palestra, si è delineato in una silhouette di apprezzabile flessuosità, l'abbigliamento di foggia “neutra” è stato sostituito da mises deliziose e di gusto raffinato. La femminilità adombrata in un aspetto asessuato, è riuscita finalmente a emergere e Federica ha potuto anche innamorarsi, purtroppo, per il momento, senza essere corrisposta. Grande è lo sconforto del dover soffocare una grande passionalità che ancora non può essere vissuta in una relazione d'amore “se Mario solo sapesse; se solo me lo permettesse, lo amerei in una maniera davvero incredibile, in un modo così totale e incondizionato ...”. E allora i sentimenti di disperazione per questo amore mancato, ma anche per non essere capita fino in fondo dalle amiche e dai genitori, la conducono a momenti di crisi esistenziale in cui si sente precipitare nel vuoto, sprofondata negli abissi delle fantasie più nere.


Arianna a Nasso
Kauffmann

Ecco alcuni dei pensieri che affiderà al suo diario dopo il suicidio della compagna e che mi leggerà con trepidazione in un incontro successivo: “dove lo trovi il coraggio per andare avanti, per affrontare le situazioni e le persone, per essere sicuri di sé? Dove, quando tutto attorno a te sembra guardarti con un ghigno maligno? ... Non ho un buon carattere, sono un tipo difficile … forse la cosa di cui ho più bisogno è trovare qualcuno che mi capisca sul serio … e poi questa solitudine, questo silenzio ... Mi guardo attorno e vedo questo deserto, un vuoto, il vuoto. Cosa posso fare? Quanto sono spaventata!!! … so che tutto questo è nella mia testa ed è questa la cosa terrorizzante. Mi sono letteralmente smarrita nel labirinto della mia testa e non so come uscirne ...”.
Mi colpisce l'immagine del labirinto e le chiedo cosa le faccia venire in mente: “beh, naturalmente mi ricorda il mito di Teseo e Arianna. Il labirinto era stato costruito dal re Minosse per il figlio Minotauro, creatura col corpo umano e con la testa di toro, a cui periodicamente dava in pasto fanciulli e fanciulle. Teseo si era voluto ribellare a questa carneficina ed era penetrato nel labirinto per uccidere il mostro. Arianna, figlia di Minosse, innamorata del giovane, gli aveva consegnato un gomitolo perché svolgendo il filo potesse ritrovare la via per uscire dal labirinto e salvarsi. … Così è stato, ma alla fine lui l'ha abbandonata … c'è sempre da soffrire per amore ...”.
La invito a lavorare su questa fantasia del labirinto, immaginando che la sua mente sia abitata dai personaggi del mito; Federica ci sta a entrare in questo sogno e: “Il labirinto rappresenta ciò da cui non si può uscire, è l'impossibilità di districare i propri pensieri e di trovare una via di fuga al dolore. Nel labirinto ci perdiamo, immagino alte mura, minacciose e solitarie che angosciano. Arianna potrebbe essere la persona che aspetto, spero di incontrare qualcuno che mi ascolti e mi capisca, può essere un amore, un'amica, comunque qualcuno che mi possa capire e aiutare. Arianna è la speranza di un aiuto, dà il filo a Teseo perché non si disorienti, è una persona fondamentale per la sua vita. Teseo credo che mi rappresenti, è l'eroe della storia, si mette in gioco, si ribella a Minosse e alle prevaricazioni, è animato da un ideale di libertà, credo di essere Teseo che va ad ammazzare il mostro. E anche il mostro sono io, con le mie paure, le mie ansie, il non essere capace di comunicare con gli altri ed essere imprigionata nel labirinto della solitudine. Il Minotauro è la paura. E come le paure più profonde, possiede qualcosa di irrazionale che fa agire per istinto e però è talmente radicato nella coscienza che si scorgono in lui tratti così familiarmente e terribilmente umani … è per quello che lo sento così vicino, rappresenta il lato selvatico di me”.
Bacco e Ariann
Guido Reni_

Sollecitata dalle libere associazioni di Federica, mi vengono in mente altri pensieri sul mito e glieli comunico, le dico che la storia del labirinto mi sembra essere la metafora dell'adolescenza: Teseo mi pare, infatti, l'adolescente ribelle, idealista, che parte in quarta per porre rimedio alle ingiustizie della società e non teme di sfidare il re/genitori, pur di far vivere i suoi ideali/valori. Però è anche confuso, disorientato da un'altra parte di sé che è rappresentata dal labirinto e in lotta contro il Minotauro, che con la sua testa di toro è simbolo degli istinti irrefrenabili. Quest'ultima è una parte relativamente nuova, senz'altro mai sentita così prorompente e incontenibile; è la parte relativa al corpo che in adolescenza cambia, all'aggressività e alla sessualità che hanno una diversa valenza rispetto a quando si è bambini, ed è forse percepita un po' bestiale e difficile da gestire.
È una parte che può spaventare, allora forte è il bisogno di un sostegno, di un personaggio amico che aiuti ad attraversare il labirinto della confusione, e il traghettatore, nel “nostro” mito, è Arianna che con una vicinanza affettuosa e costante, riuscirà a dare al principe il supporto necessario per riuscire nella sua impresa. Si capisce anche perché ci sia una separazione alla fine del mito, Teseo adesso è in grado di proseguire da solo, di percorrere in autonomia la strada della vita senza il filo di Arianna. Il labirinto è il luogo dove ci si perde e ci si ritrova: ci si perde come bambini e ci si ritrova come adulti. Aggiungo che questo mito sembra adombrare anche la storia del nostro lavoro terapeutico, anche noi a fine terapia ci separeremo, con un po' di dispiacere sì, ma anche con la consapevolezza di aver maturato la capacità di affrontare la vita con maggior fiducia e sicurezza.
Federica è colpita da come stanno andando i nostri discorsi e non può fare a meno di commentare: “avevo sempre snobbato questo mito, mi sembrava una storiella di poco spessore, adesso, però, ripensato assieme, capisco che non lo avevo considerato bene, in realtà è pieno di spunti di riflessione, e di speranza rispetto al futuro ....”. Ecco: un altro passo significativo è stato fatto nel nostro percorso, nuovi pensieri sono germinati all'interno della nostra relazione, tutte e due ne sentiamo con emozione l'importanza e, a fine seduta, ci salutiamo con l'intensa e rassicurante sensazione di aver consolidato il nostro legame in maniera più profonda, in una complicità emotiva che tocca e trasforma.

I libri, la mia vita / Intervista a Laura Bosio