domenica 28 giugno 2020

Góngora / Finchè vano emulo dei tuoi capelli

Luis de Góngora


Luis de Góngora 

Mientras por competir con tu cabello
Oro bruñido al sol relumbra en vano,
Mientras con menosprecio en medio el llano
Mira tu blanca frente el lirio bello,

Mientras a cada labio por cogello,
Siguen más ojos que al clavel temprano
Y mientras triunfa con desdén lozano
Del luciente marfil, tu gentil cuello:

Goza, cuello, cabello, labio y frente,
Antes de los que fue en tu edad dorada,
Oro, lirio, clavel, cristal luciente,

No sólo en plata, o víola troncada
Se vuelva, mas tú, y ello juntamente,
En tierra, en humo, en polvo, en sombra, en nada.

Giuseppe Ungaretti

I. Versione del 1932

“A una ragazza, per invitarla a godersi la sua gioventù”

Finchè vano emulo dei tuoi capelli,
l’oro cupo nel sole sia splendore;
finchè sdegnosa la tua fronte bianca
veda fiorire i gigli alla pianura;

finchè bramoso attragga più gli sguardi
il tuo labbro che il precoce garofano,
finchè coll’orgogliosa sua gaiezza
vinca l’avorio, il tuo collo grazioso;

bocca ora, e chioma, collo, fronte godi,
prima che ciò che fu in età dorata
giglio, oro, fuoco e cristallo lucente

non solo in viola appassisca e in argento,
ma tu più non sia tu, a fondo mutata,
e tutto non sia più, confusamente,

Che terra, fumo, polvere, ombra, niente...

II. Versione del 1948

Finchè dei tuoi capelli emulo vano,
vada splendendo oro brunito al Sole,
finchè negletto la tua fronte bianca
in mezzo al piano ammiri il giglio bello,

finchè per coglierlo gli sguardi inseguano
più il labbro tuo che il primulo garofano,
finchè con la sdegnosa sua allegria
vinca l’avorio, il tuo gentile collo,

bocca ora, e chioma, collo, fronte godi,
prima che ciò che fu in età dorata,
oro, garofano, e cristallo lucido

non solo in una viola tronca o argento,
ma si volga, con essi tu confusa,
in terra, fumo, polvere, niente.

III. Versione del 1951

Finchè dei tuoi capelli emulo vano,
vada splendendo oro brunito al Sole;
finch, negletto, la tua fronte bianca
in mezzo al piano ammiri il giglio bello;

finchè, per coglierlo, gli sguardi inseguano
più il labbro tuo che il primulo garofano;
finchè più dell’avorio, in allegria
sdegnosa, luca il tuo gentile collo:

la bocca e chioma e collo e fronte godi,
prima che quanto fu in età dorata,
oro, garofano, cristallo e giglio

non solo in viola vizza od in argento,
ma si volga, con essi tu confusa,
in terra, fumo, polvere, ombra, niente.


sabato 27 giugno 2020

Ian Holm / 1931-2000

RIP Ian Holm, Ash in Alien. : fanart
Ian Holm como Ash
Alien, 1979


Ian Holm


1931 - 2000



Ian Holm nació el 12 septiembre de 1931 en Goodmayes, Essex. Ingresó a la Royal Shakespeare Company en 1960. En la foto, con otros jóvenes actores, Ian Richardson y David Warner, en  Stratford-upon-Avon, el 15 de diciembre de 1963

En la obra de Harold Pinters, con Vivien Merchant, en el  Aldwych theatre de Londres.
 Ian Holm obtuvo el premio Tony en 1967.


Con Ricardo III despegó la carrera de Ian Holm.

Ian Holm con  Estelle Kohler en  Stratford-upon-Avon.

lunedì 22 giugno 2020

Morto Carlos Ruiz Zafón / Libri e misteri, l’epopea aperta da «L’ombra del vento»

Morto Carlos Ruiz Zafón  Libri e misteri, l'epopea aperta da «L'ombra del vento»

Morto Carlos Ruiz Zafón
Libri e misteri, l’epopea aperta da «L’ombra del vento»

Lo scrittore spagnolo è scomparso il 19 giugno 2020. Qui l’articolo del 2012 sul terzo titolo della saga: «Il prigioniero del cielo», edito da Mondadori


di Elisabetta Rosaspina
19 giugno 2020 (modifica il 19 giugno 2020 | 13:44)

Carlos Ruiz Zafón è scomparso il 19 giugno 2020. Pubblichiamo l’articolo su «Il prigioniero del cielo» uscito sul «Corriere della Sera» il 24 febbraio 2012.

Chissà se è vero che erano in quattro fin dal concepimento. Quattro tomi per un luogo divenuto inaspettatamente leggendario, a furor di pubblico, con la pubblicazione del primogenito: il Cimitero dei libri dimenticati. Quell’antro del quale i turisti bibliofili si ostinano a cercare le tracce, sulla mappa di Barcellona, e le vestigia, da qualche parte tra i vicoli del Raval. Troppo bello per non essere mai esistito.

Chissà se questo terzo e penultimo embrione, venuto alla luce forte di oltre 350 pagine, a dieci anni di distanza dal fratello maggiore, non sia stato invece l’ ampliamento di una trovata letteraria vincente. Può dirlo soltanto Carlos Ruiz Zafón, il 47enne autore catalano, che vive da quasi vent’ anni a Los Angeles, ma in patria amano definire il «re Mida del bestseller made in Spain» e che nelle interviste assicura di aver avuto in mente dapprincipio un ciclo di «quattro romanzi indipendenti, ma collegati». Tanto indipendenti che si possono leggere in sequenza libera, almeno i primi tre già venuti alla luce, L’ ombra del vento nel 2002, Il gioco dell’ Angelo nel 2008 e, da oggi anche in Italia, Il prigioniero del cielo : cambiando l’ordine dei fattori, il risultato non cambia. È un andirivieni tra gli anni Venti e Quaranta della Barcellona di cui Zafón, troppo giovane per averla conosciuta, conserva e tramanda un atavico ricordo. Convenientemente in bianco e nero. E sapientemente condiviso. In una Barcellona «stregata», suggestiva e convincente anche per gli spagnoli e gli stessi catalani, si muovono i personaggi famigliari dei librai Sempere, padre e figlio, i fantasmi di chi li ha generati, lo scrittore David Martin, editori, avvocati, poliziotti, sacerdoti, carcerieri e aguzzini, le anime nere di quanti tessono perfide trame o esercitano la crudeltà per mestiere e opportunità politica.

Ma il vero protagonista de Il prigioniero del cielo è Fermín Romero de Torres, introdotto con semplicità da Zafón ne L’ombra del vento attraverso il suo incontro con il giovane Sempere, Daniel, in una piazza di Barcellona: «Fermín Romero de Torres, attualmente disoccupato, molto piacere». Ingaggiato in qualità di «assistente» nella libreria, apprezzato come Casanova e come collaboratore, pratico, intuitivo e poco incline alle confidenze, ha lasciato i lettori aspettare finora, anche se nel libro è la vigilia del Natale del 1957, per svelare il suo passato tra le mura del disumano carcere di Montjuic, sulla collina della città, dove incontra lo scrittore David Martin, i segreti della sua identità e la geografia delle sue ustioni, fisiche e morali. La storia oscilla tra il 1939, anno della plumbea conclusione della guerra civile spagnola, e il mesto inverno di fine anni Cinquanta nella Spagna franchista. Risponde a domande in sospeso, aggiunge tasselli, ne sposta a sorpresa altri che parevano già ben sistemati nelle loro caselle, sviluppa l’ indagine su Mauricio Valls, il cattivo, anzi il peggiore personaggio di questa puntata della saga, che Zafón rifiuta di trasformare in pellicola.

Il finale prepara strategicamente altri interrogativi e la sola certezza che ci vorrà altro tempo per completare il grande affresco del Cimitero dei libri dimenticati. «Due o tre anni», ha previsto l’ autore, spiegando che, dopo aver superato il passaggio più complicato, tra il primo e il secondo romanzo (con un ponte lungo sei anni), ora le vicende dei suoi protagonisti sembrano magicamente incastrarsi fra loro. E, se c’ è qualche lacuna, è voluta. Per tenere aperta la porta alla ormai prossima conclusione della quadrilogia. Dove nulla è mai accaduto per caso.

CORRIERE DELLA SERA


sabato 20 giugno 2020

Morto lo scrittore Carlos Ruiz Zafón / «L’ombra del vento» lo rese celebre

Morto lo scrittore Carlos Ruiz Zafón. «L'ombra del vento» lo rese celebre
Lo scrittore spagnolo Carlos Ruiz Zafón

Morto lo scrittore Carlos Ruiz Zafón. «L’ombra del vento» lo rese celebre


L’autore bestseller è scomparso a 55 anni a Los Angeles, dove viveva dal 1993. Il successo letterario internazionale, i fan, la passione per i draghi


di ELISABETTA ROSASPINA
19 giugno 2020 (modifica il 20 giugno 2020 | 21:04)





Ora davvero appartiene al pantheon dei classici del XXI secolo. Era entrato a far parte della storia della letteratura internazionale con L’ombra del vento, pubblicato in Italia da Mondadori nel 2004 e tre anni prima in Spagna, quando conquistò in tutto il mondo milioni di lettori che non l’avrebbero abbandonato più. È stato lui, Carlos Ruiz Zafón, a lasciarli senza preavviso, nel modo un po’ ruvido e introverso che non l’aveva aiutato a entrare nelle simpatie dei critici e dei giornalisti. La sua morte ad appena 55 anni è il colpo di scena che non ha potuto risparmiare a sé stesso e al suo pubblico. Pochi sapevano che era malato. Ancora meno persone, che la fine fosse così prossima.


Carlos Ruiz Zafón


In Italia l’ultimo libro, «Il labirinto degli spiriti», era uscito nel 2016 a conclusione della quadrilogia del Cimitero dei libri dimenticati, composta nell’arco di vent’anni; e un silenzio di quattro anni non pareva allarmante né insolito, considerati i lunghi tempi di gestazione dell’autore di pagine tanto meditate quanto indimenticabili.

Invece, da due anni, il tempo dello scrittore, appassionato collezionista di draghi, draghetti e dragoni, il suo «alter ego animale», veniva divorato da un tumore che si è manifestato all’inizio del 2018, durante un viaggio a Londra, e che lo ha costretto a estenuanti andirivieni in ospedale, a un’altalena di speranze e delusioni condivise con un ristrettissimo circolo di amici, tra i quali Sergio Vila-Sanjuán, giornalista de «La Vanguardia» di Barcellona. Da giovane esordiente, Zafón aveva visitato in calle Pelai la vecchia redazione del giornale e, a quel tempo, la primavera del 2001, i padroni di casa non immaginarono che il luogo e loro stessi sarebbero diventati poi, con qualche ritocco anagrafico, personaggi dell’ultimo romanzo. Un omaggio riservato a pochi, degni eletti. «Le mie riserve di forza sono come paludi negli anni della siccità, quando spuntano torri campanarie e altri ruderi», ha scritto nella sua ultima email a Vila-Sanjuán. Un’immagine allegorica più reale e definitiva di una sentenza.


Carlos Ruiz Zafón


È morto il 19 giugno a Los Angeles, dove aveva scelto di abitare dal 1993, soprattutto per sviscerato amore del cinema, che lo ha ricambiato dandogli lavoro come sceneggiatore. Ma non importa quanto fosse andato a vivere lontano. L’Oceano Atlantico e l’intero continente nordamericano non sono bastati a separare lo scrittore dalla sua musa: Barcellona. Non era l’unica città in cui ha ambientato le sue storie o avrebbe forse ambientato le prossime, ma è quella che gli si è dimostrata più grata. Nelle guide turistiche e nei tour letterari c’è una Barcellona di Carlos Ruiz Zafón, come una Parigi di Simenon, una Praga di Kafka o un’Avana di Hemingway.

Da quasi un ventennio i pellegrini avanzano nei vicoli del Raval e del Barrio Gotico, nella città vecchia, ostinandosi a cercare le tracce della libreria dei Sempere e la magia del cimitero dei libri dimenticati. E le trovano davvero, se guardano bene, con gli occhi di Zafón, architetto di labirinti e passaggi segreti. Ma anche di una costruzione a doppie entrate e uscite come la sua tetralogia che, ignorando l’ordine cronologico nella narrazione, si prestava così a essere abbordata da uno qualunque dei suoi titoli, perché ogni elemento è stato confezionato come un romanzo indipendente. Pur creando dipendenza in chi lo legge. L’ombra del ventoIl gioco dell’angeloIl prigioniero del cielo: tremila pagine di suspense e misteri hanno reso l’autore secondo solamente a Miguel de Cervantes quanto a diffusione di opere spagnole al mondo.

Carlos Ruiz Zafón
Quando, nell’aprile 2008, dopo aver venduto dieci milioni di copie del primo volume della serie, presentò in Spagna il secondo, lo scrittore stette anche al gioco dei suoi fan, ambientando l’evento al Gran Teatro del Liceu, sulla Rambla, dove la casa editrice Planeta fece allestire sul palco una scenografia ad hoc: una straordinaria biblioteca di tomi antichi e polverosi, tra soffitti a volta e salottini gotici. Doveva essere innanzitutto la festa dei lettori, quelli che con il passaparola lo avevano consacrato tra gli autori più richiesti al mondo, e rifiutò di anticipare copie ai critici letterari fino a poche ore prima che il libro fosse disponibile per tutti.

Il tocco personale fu senz’altro la piccola spilla a forma di drago distribuita ai partecipanti, come inatteso amuleto ricordo di un raro incontro live con l’ombroso Virgilio dei bassifondi barcellonesi. Il suo epitaffio su Twitter è il più sincero: «Ogni libro, ogni tomo che vedi ha un’anima. L’anima di chi l’ha scritto e l’anima di chi l’ha letto, vissuto e sognato».

Non amava le interviste, probabilmente detestava raccontarsi e, peggio ancora, essere interpellato su argomenti extra letterari, come la politica. Ma non mascherò la sua delusione per l’elezione di Donald Trump. Sapeva essere sorprendentemente generoso e alla richiesta di firmare le bozze de Il labirinto degli spiriti — nemmeno il libro, il semplice pdf — per dedicarlo a un’amica libraia, impugnò la penna con un sorriso: come avrebbe potuto rifiutare un pensiero a una collega di Juan Sempere?



Ma guai a tentare intrusioni nella sua vita personale. La divideva dai tempi dell’università con Mari Carmen Bellver, conosciuta studiando Scienza dell’informazione. Assieme avevano iniziato una promettente carriera nel campo della pubblicità. Insieme avevano deciso di lasciare tutto per volare a Los Angeles, alla conquista di Hollywood. Negli Stati Uniti lo aspettava, imprevedibilmente, il cimitero dei libri dimenticati: un vecchio magazzino, un grande hangar di libri vecchi, Acres Books, nel centro di Long Island. Gli parve «una catacomba, una caverna di tesori» e con la forza dell’immaginazione la trasferì a Barcellona.


Diceva che il libro cui era più affezionato era «Marina», l’ultimo della sua attività di narratore per ragazzi. E sfuggiva a domande sulla tecnica della scrittura: «Questo è il mio lavoro, non c’è bisogno che il lettore veda i cavi o sappia per quale calcolo matematico non crolli tutto. L’importante è che ne riceva l’impatto, come per la musica. Che provi la stessa emozione che volevano infondere i costruttori di cattedrali, e dica: wow!».


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RIMBAUD






giovedì 11 giugno 2020

Gemma Bovery / Se un panettiere romantico insegue Flaubert

Gemma Bovery (2014) - Filmaffinity

GEMMA BOVERY

Se un panettiere romantico insegue Flaubert

2 febbraio 2015



Più francese di così si muore: la regista Anne Fontaine, che migliora con ironia le sue postazioni sentimentali (dopo Two mothers), ci racconta del buffo Fabrice Luchini, intellettuale riciclato panettiere in Normandia, che crede di ravvisare nella coppia vicina di casa la riedizione di Madame Bovary nei luoghi dove l’aveva pensata Flaubert.
La patologia letteraria tiene per mano la commedia divertente sul tema wildiano del vizio dell’arte che forse imita la vita e forse no, arrivando alla promessa finale di una Karenina. Destini falliti che si specchiano in mediocrità vitali, con uno spicchio di giallo nel finale.

Tutto viene dalla graphic novel di Posy Simmonds e s’avvale della prorompente bellezza di Gemma Arterton, prodigio di leggerezza in un gioco di squadra in cui è la sceneggiatura che fa gol.

CORRIERE DELLA SERA