giovedì 29 settembre 2016

Gerhart Hauptmann / Mignon, l'ultima opera pubblicata postuma nel 1947

Gerhart Hauptmann
Gerhart Hauptmann

Mignon, l'ultima opera pubblicata postuma nel 1947


20 MAG 2011
di
SALVATORE INCARDONA

Il tunnel che traversa il massiccio svizzero del San Gottardo io l’ho percorso in ferrovia, da tre decenni e più, diverse volte all’anno, ne sia lode al Cielo. E chi non avrebbe condiviso la mia gioia vedendo il treno, che era sprofondato nel buio a Göschenen, sbucare fuori ad Airolo?
La serpe delle carrozze uscì, d’in tratto silenziosa, quasi con tranquilla solennità, dal cuore della montagna alla luce del mondo nuovo, e mentre a Göschenen avevamo lasciato nuvole basse, buio, umidità e freddo, ci sentimmo avvolti lì da un’aria mite, mentre sopra di noi s’incarnava nel suo azzurro impeccabile il cielo del sud.
L’impulso verso il meridione, che aveva contribuito a determinare un viaggio in complesso, a dire il vero, senza scopo, parve felicemente giustificato. Un’esistenza faticosa e senza gioia si staccava dalla triste terra del nord – dove il giorno non riesce mai a liberarsi completamente dalla notte – per fare un’altra volta esperienza di un miracolo, la cui dovizia l’insufficiente medium del linguaggio non può esprimere.

(G. Hauptmann, Mignon, 1946)
Gerhart Johann Robert Hauptmann (1862 – 1946) è stato un poeta, drammaturgo e romanziere tedesco. Studente di belle arti a Breslau e a Roma, si affacciò al mondo della letteratura con opere che si ispirarono al movimento naturalista, del quale, ben presto, divenne il massimo esponente. Dimostrò tuttavia una personalità complessa e versatile che lo portò spesso a varcare i confini del naturalismo per esplorare, di volta in volta, e mai a scapito della genuina ispirazione, vaste zone intimistiche, neoromantiche, simboliste e perfino paraboliche. Nel 1912 venne insignito del premio Nobel per la letteratura.


WALL STREET INTERNATIONAL
Salvatore Incardona
Salvo Incardona è nato a Vittoria. Formatosi accademicamente presso l'Università di Pisa, dove ha conseguito la laurea in lettere moderne, si è successivamente specializzato in letteratura tedesca e filologia moderna presso l'Università di Augsburg, in Germania, e dottorato infine in letterature comparate. Ha iniziato la propria carriera collaborando con alcuni periodici di filosofia e critica letteraria (Studi Germanici, Ctonia), in qualità di consulente per numerose case editrici (fra cui ArteStampa e Carocci) e come pubblicista per la rivista Tratti. Ha firmato numerosi articoli per il Wall Street International Magazine, partecipando attivamente alla nascita della testata. Ha tradotto e curato, fra gli altri, il saggio «Antropologia delle immagini» di Hans Belting, alcuni testi di André Malraux e tutte le ultime pubblicazioni di Gianni Salvaterra. Nella città di Imola, dove ha trascorso gli ultimi anni, è stato attivo sia come insegnante di lingua tedesca che in qualità di docente di scrittura e scrittura creativa. Rientrato di recente in Sicilia, lavora in qualità di direttore artistico presso l'associazione culturale Démodé.

mercoledì 28 settembre 2016

Fuori dal mazzo / Un percorso insolito fra sincretismo e allegoria


Cavaliere di denari (Uno spacciatore part-time)

Fuori dal mazzo

Un percorso insolito fra sincretismo e allegoria


30 MAG 2016
di
SALVATORE INCARDONA



Il progetto Fuori dal mazzo, inaugurato a Ragusa il 30 aprile all'interno del laboratorio grafico Copystudio e coadiuvato dal Center of Contemporary Arts di Modica, nasce dall'incontro e dalla collaborazione fra il poeta Fernando Lena e gli artisti Carlo Scribano ed Enrico Gisana. L'esposizione raggruppa dodici tavole – quattro per ognuna delle tre categorie figurative tradizionalmente rappresentate nelle carte da gioco – e altrettanti brani poetici dedicati a «Donne, Cavalieri e Re».
A differenza di quanto potrebbe far credere questa presentazione, breve ma necessaria, non siamo di fronte a un consueto processo di accostamento fra arti visive e letteratura. I versi impressi a margine delle tavole nonpossiedono alcuna fine didascalico, non intendono spiegare o commentare l'immagine,  si prefiggono l'innesco di un qualsivoglia processo ermeneutico nell'osservatore. Dall'altro lato, analogamente, i dodici volti che compongono questa serie non rimandano in alcun modo al testo, non lo compendiano, non lo citano,  tanto meno lo revisionano o lo ricontestualizzano. Nessuno dei due gradi espressivi presi qui in esame, la parola e il segno grafico, può dirsi fonte o scaturigine dell'altro, così come non può emergere alcun rapporto che faccia dell'immagine un eventuale significante del testo o una sua possibile appendice iconologica.

Re di denari (Tra passato e presente)

Lontano dall'artificio retorico, questa insistenza apofatica ha il solo scopo di chiarire preliminarmente quanto possa risultare improduttivo o persino inattuabile un tentativo di reperimento del creato e del reperito. Testo e immagine sono in questo caso equidistanti, hanno valore in se stessi, traggono forza dalle proprie singole specificità, dalle loro particolari declinazioni semantiche, dalla propria cifra stilistica. Se da questa giustapposizione può risultare un incremento di leggibilità, esso va ricercato semmai nel contrasto, nella tensione dialettica. Nondimeno, il cortocircuito che se ne ricava – giova sottolinearlo – non crea inconciliabilità, poiché lo spazio che separa questi due poli non ammette lo stridore dell'antitesi o la discordanza dell'ossimoro. Lo scontro formale, invece, dona reciproca profondità ai due modi del ritrarre, il visuale di Carlo ed Enrico e il poetico di Fernando, ponendosi come autentica condicio sine qua non del loro progetto.

Re di coppe (Con la morte nel cruscotto)

Nei versi di quest'ultimo pare quasi di sentire un riverbero sartriano, un'eco implicita che prova a ricordarci che «corriamo verso noi stessi, e per questo siamo l'essere che non può mai raggiungersi» [1]. Da ognuno dei personaggi delle carte da gioco nasce un racconto in versi, una microstoria del disagio, dell'alterità, dell'inadeguatezza, al centro della quale troviamo sempre e comunque l'uomo, l'uomo post-moderno nella sua nudità esistenziale, l'uomo esaminato con spietata lucidità e con filantropica tenerezza. Ma non potrebbe essere diversamente: «La poesia in atto», avvertiva parecchi anni or sono uno scrittore scomparso di recente, «è una continua ricerca del mito del proprio tempo. Praticando la poesia, il poeta si conosce meglio e conoscendosi conosce meglio il proprio tempo. Il modo di fare poesia per un poeta è il suo solo modo di fare la rivoluzione: solo così la responsabilità di quanto scrive si traduce in impegno» [2].

Donna di coppe (Una ebbrezza di madre)

È quindi la dinamica antropocentrica a muovere questi testi, a proiettarli oltre le sponde dell'ideologia pur senza escluderli dalla partecipazione civile. Vengono a galla tematiche importanti, attualissime, ma depurate dal falso moralismo dei media o dal narcisismo viscido dei rotocalchi: «Ormai la sua è una vita un po’ febbrile: / da quando i suoi genitori hanno scoperto / che ama solo donne / è diventata un caso di contagio... / L’isola ahimè è inquieta alle maldicenze / e un bacio tra due rossetti / non lascia opzioni alla valigia» [3].

Donna di spade (Un amore di aborti)

Il linguaggio oscilla incessantemente fra il tenero e il corrosivo, è un gergo caustico e insieme lieve, in bilico tra la precisa asciuttezza dell'analisi e la policromia della metafora. Il sottotitolo che accompagna ognuna delle specifiche designazioni (Donna di denari. Un inverno da escort, Cavaliere di coppe. Morte annunciata di un barista, Re di bastoni. L'amore infetto di un padre, etc.) non fa che aumentare il tasso di realtà o credibilità delle situazioni tracciate e rin-tracciate dal verso. Sono istantanee che arrestano l'effimero nell'eternità della parola, nella persistenza dell'immagine che la parola sa evocare. E poco importa, da questo punto di vista, che le prime otto siano dedicate ad altrettanti personaggi, e le ultime quattro diventino invece le rifrazioni o le sfaccettature di un'unica figura, di un protagonista sul quale aleggia lo spettro poetico del «tu», di un referente paterno la cui epifania si rende subito palese: «La primavera è un passo / di quelli che mi spingevi a fare / affinché imparassi un po’ d’equilibrio: / ma io cado ancora adesso / e questo tu lo sai» [4]. La poesia, infatti, è sempre il grido individuale che sa farsi anche grido di un secolo; è intrecciata al proprio tempo ma contemporaneamente se ne allontana; è l'espressione di un determinato periodo storico e delle sue contraddizioni, ma riesce a superarlo per diventare testimonianza sia del singolo che del destino dell'uomo, per imporsi come legittimazione delle sue ansie, delle sue lotte, delle sue illusioni, dei suoi vincoli e dei suoi fraintendimenti.

Cavaliere di coppe (Morte annunciata di un barista)

Osservando le dodici tavole risulta poi evidente lo sforzo dei due artisti nel voler raggiungere per quanto possibile «un linguaggio non figurativo e privo di contatto con la rappresentazione della realtà» [5]. La maschera normografica impone essenzialità a ogni singolo tratto, amplificandone il potenziale icastico, mentre le particolari strategie cromatiche, evidenziate da tonalità che rimandano alla violenza del neon, riescono a imprimere ai volti un'immediatezza eidetica e polifunzionale.
Rispetto a cosa?, ci si potrebbe giustamente chiedere. La risposta sta tutta nella scelta iconica – ma potremmo anche definirla comunicativa – che ha il carattere e il sapore della sfida: da un lato la rinuncia al “beneficio” della fisiognomica e del simbolo espressivo comunemente inteso, vale a dire di quelle istanze grazie alle quali dovrebbe apparire un ritratto per fornire indicazioni esaurienti sui requisiti globali del soggetto rappresentato; dall'altro lato il riscatto dello stencil dalla fredda reiterazione urbana, il ritorno alla fucina dell'artista attraverso il fascino della matrice e delle sue finite o infinite varianti. Ed ecco che la dislocazione di una tecnica decorativa tanto consolidata nell'immaginario collettivo, unitamente a una sorta di riappropriazione dell'hic et nunc dell'opera d'arte (proprio nell'epoca che più di ogni altra sta abusando della sua riproducibilità tecnica [6]), diventa un gesto di ribellione, di contestazione, di insofferenza verso gli schemi e i modelli passivamente accettati.

Donna di bastoni (Il grido saffico dei manganelli)

La tattica è in pieno accordo con l'allusività del titolo e con il suo potenziale allegorico. È infatti scontato che dentro il mazzo debbano vigere delle norme, le cosiddette regole del gioco. Ma essere dentro al mazzo può significare anche la placida e passiva accettazione delle norme di comportamento fissate per consuetudine; oppure, scavando più a fondo, stare nel mazzo può diventare anche la spersonalizzazione, il rifugio nell'anonimato, il timore di pensare in proprio, la tendenza a convergere verso il sistema dominante delle grandi rappresentazioni collettive. Essere fuori dal mazzo, al contrario, può diventare allegoria del non riuscire a uniformarsi a queste regole, del sentirsi diversi, o dell'essere qualificati tali, come nel caso della saffica Donna di bastoni citata in precedenza. A questo punto, tuttavia, non possiamo escludere nessuna eventualità esegetica, nemmeno quella più romantica: l'allegoria del non aver ceduto alla seduzione dell'adeguamento, del non aver accettato di annullare la propria singolarità nella massa, dello svincolarsi dal mazzo, dell'esserne rimasti fuori a bella posta.
Note:
[1] Jean-Paul Sartre, L'Être et le Néant (1943), tr. it. L'Essere e il Nulla, Milano, 1968, cit. p. 262.
[2] Nelo Risi, Hai mai scritto un poema che duri?, in La Fiera Letteraria, n. 49, 7 dicembre 1967.
[3] Cfr. Donna di bastoni: Il grido saffico dei manganelli.
[4] Cfr. Re di bastoni: l'amore infetto di un padre.
[5] Francesco Lucifora, Prefazione (all'interno del volume che, sotto il medesimo titolo dell'esposizione, ne raccoglie il materiale grafico e testuale), Ragusa, 2016, cit. p. 7.
[ 6] Il riferimento, evidente, è a Walter Benjamin.

Salvatore Incardona
Salvo Incardona è nato a Vittoria. Formatosi accademicamente presso l'Università di Pisa, dove ha conseguito la laurea in lettere moderne, si è successivamente specializzato in letteratura tedesca e filologia moderna presso l'Università di Augsburg, in Germania, e dottorato infine in letterature comparate. Ha iniziato la propria carriera collaborando con alcuni periodici di filosofia e critica letteraria (Studi Germanici, Ctonia), in qualità di consulente per numerose case editrici (fra cui ArteStampa e Carocci) e come pubblicista per la rivista Tratti. Ha firmato numerosi articoli per il Wall Street International Magazine, partecipando attivamente alla nascita della testata. Ha tradotto e curato, fra gli altri, il saggio «Antropologia delle immagini» di Hans Belting, alcuni testi di André Malraux e tutte le ultime pubblicazioni di Gianni Salvaterra. Nella città di Imola, dove ha trascorso gli ultimi anni, è stato attivo sia come insegnante di lingua tedesca che in qualità di docente di scrittura e scrittura creativa. Rientrato di recente in Sicilia, lavora in qualità di direttore artistico presso l'associazione culturale Démodé.

lunedì 26 settembre 2016

Hermann Keyserling / Un filosofo viaggiante

Hermann Keyserling


Hermann Keyserling, un filosofo viaggiante

Dal viaggio mentale al viaggio intorno al mondo



14 NOV 2011
di
SALVATORE INCARDONA



Nella sterminata e secolare raccolta di opere letterarie dedicate al viaggio – al viaggio inteso come cronaca diretta e immediata, certamente, ma anche al viaggio soltanto immaginato, sia nel rispetto dei canoni della verosimiglianza che nello scardinamento di queste norme – i filosofi sembrerebbero avere una parte esigua, se non addirittura quasi ininfluente. Le vicende biografiche di Kant, ad esempio, assumono in quest’ottica un valore paradigmatico del rapporto controverso e talvolta apertamente negativo che i filosofi hanno avuto con la pratica del viaggio. Si racconta infatti che il celebre pensatore tedesco non uscì mai dalla provincia di Königsberg, e che nell’unico dei suoi viaggi «non vedeva l’ora di tornare a casa» [1]. D’altronde, che l’unico vero viaggio comunemente accettato dai filosofi sia quello mentale – il viaggio en esprit, per così dire – ce lo conferma un importante testo di Xavier De Maistre, quel Voyage autour de ma chambre che ironizza sui viaggiatori impegnati a percorrere in lungo e in largo la superficie terrestre ignorando le scoperte sensazionali che potrebbero invece compiere circumnavigando semplicemente la propria stanza [2].
A questa regola non scritta ma tradizionalmente consolidata si sottrae tuttavia Hermann Keyserling, non a caso un filosofo lontano da qualsiasi convenzionalismo, un pensatore sui generis che nel 1920 arriverà persino a fondare una scuola di yoga e meditazione con lo scopo di riconciliare l’Oriente e l’Occidente. Qualche tempo prima, esattamente nel 1911, Keyserling si era imbarcato a Genova con l’intento di compiere un viaggio di due anni intorno al mondo, esperienza dalla quale nel 1918 trasse un Diario di viaggio che nel volgere di pochi anni divenne una sorta di best seller (dal 1919 a 1923 si contano nientemeno che sette edizioni). Ma già dalle primissime pagine dell’opera emergono i caratteri peculiari del viaggio di questo filosofo. In primo luogo, non c’è un intento conoscitivo propriamente detto. Il suo itinerario – Genova, Suez, Mar Rosso, Oceano Indiano, India, Cina, Giappone, infine America – è solo un pretesto, poiché non è tanto curioso dell’altrove in quanto altrove, ma il mondo per lui è piuttosto un mezzo per raggiungere l’autorealizzazione: «per l’uomo un giro intorno al mondo rappresenta in ogni senso la via più breve pensabile per giungere alla propria essenza» [p. 374]. Un secondo aspetto che emerge dalla lettura del suo diario è la geografia dello spirito, una concezione nella quale, alle varie parti del mondo, corrispondono momenti o stadi della storia universale, di modo che i luoghi incarnano di volta in volta particolari figure o atteggiamenti spirituali. In quest’ottica, il viaggio di Keyserling è soprattutto un «anelito all’autorealizzazione». Mentre il viaggiatore banale, come egli stesso lo definisce, «vede, vive, esperisce, tanto più diviene superficiale», Keyserling può affermare programmaticamente «niente come un giro intorno al mondo potrà condurmi a me stesso» [p. 37].
La profonda spiritualità di Keyserling pervade il Diario di viaggio di un filosofo, ed è quanto mai evidente nelle approfondite descrizioni degli aspetti e delle pratiche religiose delle popolazioni che vivono nelle località visitate, ma al contempo mostra anche alcune curiose e inaspettate affinità col determinismo geografico positivistico. Quando si tratta infatti di dar ragione del rapporto tra gli uomini e la natura, l’origine delle differenziazioni geografico-culturali viene individuata nei soli fattori ambientali. La differenza tra Buddismo e naturalismo, ad esempio, è ricondotta a quella tra fascia tropicale e paesi nordici, vale a dire alle differenze climatiche; il pensiero indiano alla flora lussureggiante e all’intrico di forme e piante; si dichiara la zona temperata, e non quella tropicale, la «scena di tutte le grandi gesta dello spirito» [p. 63]. Ai Tropici la vita è vegetazione, un modo come un altro per negare all’abitante di quei luoghi una qualche forma di vita interiore. Con diverso accento si parla invece della Cina. A proposito del paesaggio, se ne delinea con ammirazione il suo carattere agrario e con ciò si sottolinea il ruolo dell’uomo che imprime il suo sigillo sulla natura: «Ogni tratto di terreno è coltivato, accuratamente concimato, arato con precisione e competenza, su su fino alle sommità delle colline tondeggianti che, simili a piramidi egizie, scendono verso il basso in artistiche terrazze» [p. 72]. Tuttavia, nonostante le attestazioni di stima, per Keyserling il cinese è «meno individualizzato» rispetto all’uomo europeo, e pertanto «occupa uno stadio naturale inferiore al nostro». Superiorità sul piano spirituale dell’europeo cui si contrappone la superiorità del cinese sul piano della cultura materiale e delle tecniche di produzione e di organizzazione: le manifestazioni della civiltà cinese «sono anch’esse “natura” e non “spirito”» [p. 143].
In America, invece, Keyserling respira finalmente aria di casa. Qui può riappropriarsi della propria identità culturale, del proprio «vissuto di occidentale» [p. 285]. Una riacquisizione di sé che nasce anche dal contrasto con i paesaggi e le pratiche culturali “altre” con le quali Keyserling si è confrontato nel suo viaggio. Il clima della California, a differenza di quello dei tropici, spinge «alla formazione di individualità» [p. 287], sia che si tratti di alberi (contrapposizione con l’intrico della vegetazione della giungla tropicale) che di individui (individualità come sinonimo di tensione interiore). Ma in America l’umanità è dipendente dal contesto fisico. Anche per Keyserling, come lo era già cento anni prima per Hegel, l’America è insieme un mondo ancora giovane e il paese del futuro. La descrizione del paesaggio americano offre lo spunto per enunciare la differenza tra la via occidentale e quella orientale nel rapportarsi con la natura. La civiltà orientale si inserisce in essa, laddove quella occidentale preferisce trasformarla: «Mentre il treno mi trasporta attraverso i frutteti della California, non posso fare a meno di pensare alle parole di Meng-tzu: anziché procurarsi buoni attrezzi agricoli è meglio attendere il tempo favorevole. Se gli americani avessero pensato in questo modo, la California, che è oggi il giardino della terra, sarebbe rimasta un deserto, poiché a ciò l’aveva destinata la natura» [p. 299]. Ma di questa trasformazione della natura Keyserling non nasconde però gli aspetti più devastanti e deturpanti: l’impoverimento degli ecosistemi e delle specie, il livellamento e l’omologazione delle pratiche umane e dei paesaggi. E tutte queste dinamiche sono tanto più evidenti in America, perché qui le caratteristiche (e le contraddizioni) distintive dell’Occidente trovano la loro espressione più compiuta, estrema ed evidente [p. 300].
Da questi pochi esempi risulta palese che per Keyserling il discorso geografico, apparentemente semplice e lineare, è in realtà un percorso difficile, tutto in salita, pieno di deviazioni e di ostacoli. E questo vale anche per il filosofo che confidi eccessivamente nella purezza del proprio sguardo: al termine del proprio giro del mondo, Keyserling deve ammettere che, nonostante l’obiettivo del suo viaggio fosse non la cognizione esteriore del mondo ma la propria metamorfosi interiore, ognuno di noi è legato al mondo in maniera tale che nessuno può staccarsi del tutto da esso. E, pertanto, chi giunge alla propria meta senza apparenti giri viziosi, l’ha raggiunta solo in apparenza. Come a dire che non è mai una linea retta quella che unisce due punti, proprio perché ogni viaggio che non si svolga sulla carta deve fare i conti con la superficie della terra.
Hermann Graf Keyserling (1880 – 1946) è stato un filosofo e naturalista estone naturalizzato tedesco. Nacuqe a Kõnnu, un villaggio del comune di Kaisma nella contea di Pärnumaa. Dopo aver concluso gli studi alle università di Dorpat, Heidelberg e Vienna, intraprese un lunghissimo viaggio intorno al mondo. I suoi interessi furono indirizzati verso le scienze naturali e la filosofia e prima della Grande Guerra era conosciuto come studioso di geologia e come popolare saggista. Dopo la Rivoluzione Russa, nel 1920 fondò a Darmstadt la Gesellschaft für Freie Philosophie (Società per la libera filosofia). Tra le sue opere, oltre al Diario di viaggio di un filosofo: Cina, Giappone, America (1918), si ricordano Conoscenza creatrice (1921), Immortalità (1920), Filosofia come arte(1920) e Presagi di un mondo nuovo (1926).
Note:
[1] BOROWSKI L.E, Descrizione della vita e del carattere di Immanuel Kant, in BOROWSKI L.E., JACHMANN R.B., WASIANSKI E.A.C., La vita di Immanuel Kant narrata da tre contemporanei, Bari, 1969, p. 53.
[2] Cfr. DE MAISTRE X., Voyage autour de ma chambre, Lausanne, 1795.
[3] KEYSERLING H., Diario di viaggio di un filosofo. Cina, Giappone, America, Vicenza, 1998.

WALL STREET INTERNATIONAL
Salvatore Incardona
Salvo Incardona è nato a Vittoria. Formatosi accademicamente presso l'Università di Pisa, dove ha conseguito la laurea in lettere moderne, si è successivamente specializzato in letteratura tedesca e filologia moderna presso l'Università di Augsburg, in Germania, e dottorato infine in letterature comparate. Ha iniziato la propria carriera collaborando con alcuni periodici di filosofia e critica letteraria (Studi Germanici, Ctonia), in qualità di consulente per numerose case editrici (fra cui ArteStampa e Carocci) e come pubblicista per la rivista Tratti. Ha firmato numerosi articoli per il Wall Street International Magazine, partecipando attivamente alla nascita della testata. Ha tradotto e curato, fra gli altri, il saggio «Antropologia delle immagini» di Hans Belting, alcuni testi di André Malraux e tutte le ultime pubblicazioni di Gianni Salvaterra. Nella città di Imola, dove ha trascorso gli ultimi anni, è stato attivo sia come insegnante di lingua tedesca che in qualità di docente di scrittura e scrittura creativa. Rientrato di recente in Sicilia, lavora in qualità di direttore artistico presso l'associazione culturale Démodé.

giovedì 22 settembre 2016

Marion Cotillard / «Sono incinta, amo il mio compagno Guillaume Canet»

Marion Cotillard
Marion Cotillard: «Sono incinta, amo il mio compagno Guillaume Canet»

L’attrice si sfoga su Instagram e per la prima volta nega pubblicamente il gossip che la vorrebbe legata a Brad Pitt e forse causa del divorzio dell’attore da Angelina Jolie

di Laura De Feudis
22 settembre 2016

Marion Cotillard è incinta. Per chi, da mesi, indica l’attrice francese all’origine della crisi tra Angelina Jolie e Brad Pitt, la notizia arriva a conferma di un gossip che circola da aprile. Da quando i due attori hanno recitato nel film di Robert Zemeckis «Allied». Ora che la crisi è diventata divorzio, la verità prova a raccontarla la stessa attrice francese, infastidita da tutto il clamore attorno al suo nome.

Marion Cotillard







Lo sfogo e l’annuncio su Instagram: «Aspetto un figlio da Guillame»

«Questa è la prima e sarà l’unica reazione al vortice che mi ha travolto: non sono abituata a commentare cose come questa, ma in questa situazione sono coinvolte persone che amo» scrive l’attrice francese su Instagram. Cotillard cerca di fermare le voci su una presunta relazione con Brad Pitt e lo fa, sempre via social, annunciando la sua seconda gravidanza. «Molti anni fa ho incontrato l’uomo della mia vita, padre di nostro figlio e del bambino che stiamo aspettando. È lui (Guillaume Canet, ndr) il mio amore, il mio migliore amico e l’unico di cui ho bisogno» continua Marion. Ma non è tutto. «A chi mi ha descritto “distrutta” da questa situazione, voglio solo dire che sto bene. Ai media e alle malelingue, invece, auguro una pronta guarigione. Infine auguro a Angelina e Brad, che io rispetto profondamente, di trovare la pace in questo momento tumultuoso».



Cotillard già mamma di Marcel
L’attrice prova dunque a mettere la parole fine alle illazioni che circolano da mesi. E lo fa con una dichiarazione pubblica di amore per il suo compagno storico, l’attore e regista francese Guillaume Canet. I due, che si conosciuti nel 1997 , hanno iniziato una relazione nel 2007. Quattro anni dopo, la nascita del loro primogenito Marcel. Ora la notizia della nuova gravidanza che, spera la coppia, metterà a tacere i pettegolezzi.

CORRIERE DELLA SERA




mercoledì 21 settembre 2016

Angelina Jolie divorzia da Brad Pitt / Conflitti sui figli e abuso di sostanze



Brad Pitt & Angelina Jolie

Angelina Jolie divorzia da Brad Pitt: 

conflitti sui figli e abuso di sostanze

Il sito «Tmz» rivela la volontà dell’attrice che parla di «differenze inconciliabili», ma dietro ci sarebbe altro. Insieme dal 2004, hanno sei figli. L’attore: «Sono molto triste»

di Renato Franco
20 settembre 2016




Angelina Jolie e Brad Pitt (Afp/Eisele)Angelina Jolie e Brad Pitt (Afp/Eisele)
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Anche nella loro vita da film irrompe la realtà. Arriva al capolinea la storia d’amore e di cinema di Angelina Jolie (41 anni) e Brad Pitt (52), talmente uniti da diventare un nome e un marchio solo, i Brangelina. Che a quanto pare ora è andato in frantumi. Angelina Jolie infatti ha chiesto il divorzio: lo rivela il sito di gossip Tmz, secondo il quale l’attrice ha citato come causa «differenze inconciliabili». La diva, sempre stando alle carte ottenute dal sito, avrebbe chiesto la custodia dei sei figli volendo assegnare a Brad Pitt solo la possibilità di visita. Ma Tmz non si è fermato sulla superficie delle «differenze inconciliabili» e andando a scavare in profondità nel cerchio degli amici ha scoperto che le ragioni per cui l’attrice ha deciso di porre fine al vissero per sempre felici e contenti sarebbero «conflitti sulla crescita dei figli, rabbia e abuso di sostanze», ossia alcol e marijuana. Storie da famiglia del Mulino Infranto.



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Angelina Jolie chiede il divorzio da Brad Pitt: amore finito dopo 12 anni

Galeotto il set di «Mr. & Mrs. Smith»

Tra Brad e Angelina tutto era incominciato come una passione clandestina. Lui ai tempi era sposato con Jennifer Aniston («Lo amerò per il resto della mia vita, è un uomo fantastico», avrebbe confessato, inconsolabile, tempo dopo), ma il set del film Mr. & Mrs. Smith — dove interpretavano una coppia di coniugi killer a pagamento — li avvicinò anche fuori dalla riprese. Era il 2004. E le chiacchiere hollywoodiane circolarono velocemente: l’attrice fu accusata di aver rovinato il matrimonio di Pitt con Aniston, senza nemmeno arrivare alla crisi del settimo anno (erano solo al quarto). Genitori di sei figli, tre naturali e tre adottati, nel 2012 annunciarono il loro fidanzamento ufficiale che li portò all’altare due anni più tardi con una cerimonia privata nel loro castello a Miraval in Francia. L’abito di Angelina nella parte posteriore e nel velo era stato decorato con i disegni fatti dai figli e le foto esclusive delle nozze furono vendute alle riviste Hello e People per 5 milioni di dollari, somma donata in beneficenza alla loro stessa fondazione.

Marion Cotillard





La presunta relazione di Brad Pitt con Marion Cotillard

La richiesta di divorzio — riferisce ancora Tmz — è stata presentata il 15 settembre. E il legale di lei, Robert Offer, nel confermare la notizia ha aggiunto che la decisione è stata presa «per la salute della famiglia». Se per ora Angelina non dice nulla, Brad Pitt si è limitato a una breve dichiarazione: «Sono molto triste, ma ciò che più conta ora è il benessere dei nostri figli. Chiedo gentilmente alla stampa di lasciarli fuori da ogni speculazione in questo momento difficile». Nei mesi scorsi si era invece parlato di una crisi per la coppia più glamour del mondo dello spettacolo, complice l’aspetto emaciato di Angelina che era stata vista magrissima e sciupata in occasione di alcuni eventi ufficiali, mentre i giornali di gossip cavalcarono l’onda di una presunta relazione tra Brad e l’attrice francese Marion Cotillard.


Brad Pitt & Angelina Jolie

L’ultimo film insieme parlava di una coppia in crisi

Sembra ormai avviata per i due la carriera di divorzisti seriali — categoria molto nutrita dalle parti di Hollywood — perché in coppia a questo punto arriverebbero a cinque separazioni: lei infatti era già stata sposata con altri due attori, Jonny Lee Miller e Billy Bob Thornton. Sa invece quasi di anticipatore l’ultimo film in cui Pitt e Jolie l’anno scorso hanno recitato insieme, By the Sea: lei regista e attrice, lui protagonista al suo fianco. La pellicola, ambientata nel Sud della Francia nel 1973, racconta di una coppia in crisi. Ovvero — con gli occhi di oggi — la realtà che irrompe nel film. Brad Pitt spiegava: «Lo scrittore che interpreto a un certo punto prende a schiaffi e pugni la moglie, un’ex ballerina depressa. Poi ci fa l’amore. Io e Angelina stiamo insieme da 10 anni e possiamo permetterci di esplorare alcuni lati oscuri che riguardano l’amore e la passione, almeno al cinema. Nella quotidianità, però, la nostra è una coppia stabile, ti assicuro». A questo punto andrà riscritta pure la legge di stabilità.

CORRIERE DELLA SERA