giovedì 12 dicembre 2013

In Herbis Salus / Tra ambiente, natura e scienza

Farmacopea



In Herbis Salus

Tra ambiente, natura e scienza

12 DICEMBRE 2013, 

“Farmaci insigni possedea salubri e mortali,
ricavati dai succhi delle piante
che produceva la feconda terra dell'Egitto”
(Omero, Iliade)
Fin dai primordi, l'uomo ha guardato alle erbe con interesse, come guidato da un sapere implicito che ne intuiva il potere e il loro influsso sulla vita umana. Ha imparato, con l'esperienza e osservando come si curavano gli animali, a conoscerle, a fidarsene o diffidarsene, riconoscendo il loro il influsso benefico o malefico. La pratica curativa ha sempre fatto ricorso a questo bene della natura e il pensiero primitivo gli ha addirittura attribuito poteri magici, tanto che l'utilizzo di piante o erbe per la preparazione di filtri ed incantesimi si riscontra spesso nelle fiabe, che rappresentano il pensiero mitico dell'uomo.

Rimedi erboristici

La misteriosità della natura ha affascinato l'essere umano che, soprattutto alle origini, ne era in stretto contatto e se ne sentiva parte integrante, quindi, da un uso empirico delle erbe, si è passati ad un approccio scientifico che le classificasse e ne fissasse le proprietà. In questo passaggio da natura a cultura, s'inserisce, nel I secolo d.C., la figura di Dioscoride Pedanio, originario della Cilicia, con il suo De Materia Medica.
L'etimologia del nome Dioscoride ci rimanda ai Dioscuri, figli della libidine di Giove per la bella Leda e il nostro medico farmacologo pare proprio un semidio nel dono che ha fatto all'umanità della conoscenza delle proprietà salutari delle erbe. Una figura la cui storia potrebbe essere romanzata, perché, probabilmente arruolato o costretto ad arruolarsi nell'esercito romano come medico militare, in seguito, per le sue conoscenze e abilità terapeutiche, fu personaggio riconosciuto e apprezzato negli ambienti della Roma bene. E, fortunatamente, di lui non ci è nota solo la fama, ma anche una serie di trascrizioni e semplificazioni di quel De Materia Medica, che già nella Roma imperiale sostituì l'eclettica arte sanitaria del tempo, basata su una spuria sintesi di elementi di origine egizia, etiope, greca, gallica ed è rimasto fino al Settecento il testo fondativo di ogni ricerca e d'uso erboristici.

Antica bottega farmaceutica

L’opera ha una “cornice” cosmogonica che la porta a raggruppare le sostanze mediche secondo una successione storica e gerarchica: i profumi, legati agli dei, vengono per primi, mentre i minerali, legati all’età del ferro, si trovano in chiusura. Ma, oltre a questa visione legata alla cultura del tempo, il testo si connota, al di là della pura descrizione erudita, come una sorta di prontuario utile alle esigenze di medici e farmacisti. La modernità del De materia medica è d'altra parte confermata dalla costatazione che ne deriva buona parte della nomenclatura farmacologica attuale. È significativo inoltre notare che molte delle erbe medicinali studiate nell’opera, come l’achillea, l’aloe, la belladonna, la camomilla, lo zafferano, la malva, la menta, lo zenzero, ecc., sono contenute nell’elenco delle sostanze essenziali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

L'arte medica nell'Antica Grecia

Un esempio dell’utilità e della modernità delle sue proposte terapeutiche si ha nell’uso della radice della mandragora, di cui si consiglia l'impiego per “coloro che devono subire un taglio o una cauterizzazione in modo che non sentano dolore, sopraffatti da profondo sonno”, che è una sorta di precorrimento dell’anestesia chirurgica. Questa erba, sempre secondo il medico cilicio, ha anche spiccate qualità afrodisiache (e ce lo ricorda l'omonima commedia di Machiavelli), assieme alla cantaridina (e qui il riferimento letterario d'obbligo è al marchese De Sade), alla menta e al bulbo di orchidea. Al contrario, come antidoto ai bollenti spiriti erotici, Dioscoride consiglia il salice bianco, la cui essenza, l'acido salicilico, secondo lui, può essere anche utilizzata da antipiretico, come avviene ancora oggi con l'Aspirina.
Coloranti naturali

La fortuna e la fama dell'opera, che influenzò la cultura medica, sia cristiana che araba, la fece oggetto di copie, rifacimenti e riduzioni diventando nel Cinquecento e Seicento un vero “best seller”. La novità di questo testo, che seppe mettere in secondo piano gli elementi magico-superstiziosi, per approcciare uno studio scientifico e una sistematizzazione ancor oggi di grande validità, ha fatto sì che si sentisse la necessità di una sua riproposizione e divulgazione. E' nato così il “Progetto Dioscoride” partito dall' Università di Napoli, che custodisce il Codex Neapolitanus del VI secolo, una trascrizione e semplificazione dell'originale che ha lasciato integra la parte erboristica. Il progetto, che ha alle spalle una ricerca ventennale, ha coinvolto, oltre all'ateneo partenopeo, l'Orto Botanico di Napoli, lo Smithsonian Institute, l'Orto Botanico di Berlino, Aboca Museum di Sansepolcro, la Biblioteca Nazionale di Napoli Vittorio Emanuele II, avvalendosi di studiosi di botanica, farmacologia, medicina. Questa preziosa mole di lavoro e di studio ha poi trovato una realizzazione nell’edizione in facsimile del Codex Neapolitanus della Bibliotheca Antiqua di Aboca.
Malva

Nella ricerca di una medicina alternativa, ci affidiamo sempre più spesso all'"eden" delle terapie naturali, con fiduciose incursioni nell'erboristeria. Il patrimonio che ci ha trasmesso Dioscoride e che oggi, grazie a questi studi e a questa pubblicazione possiamo riscoprire, può diventare una volta di più uno strumento che viene proprio incontro all’esigenza, sempre più sentita, di affidarsi a una medicina e a una farmacologia che riscoprano la stretta connessione tra uomo e il suo ambiente originario, per una cura del corpo che integri ambiente, natura e scienza.







giovedì 5 dicembre 2013

Un "Angelo" tra Verdi e Wagner / La passione aldilà della rivalità

Richard Wagner


Un "Angelo" tra Verdi e Wagner

La passione aldilà della rivalità



5 DIC 2013
di
GIOVANNI ZACCHERINI


Anche se l'opera lirica non riscontra più la popolarità di un tempo, è ancora capace di offrire spunti polemici che, a volte, vanno al di là dell'aspetto puramente musicale.
E' stato il caso, in occasione dell'apertura dell'ultima stagione scaligera, della scelta del Lohengrin come prima opera in cartellone, che ha suscitato le risentite proteste dei verdiani. A poco è valsa la risposta del sovrintendente Lissner secondo cui l'omaggio per la ricorrenza della comune nascita dei due grandi musicisti nel 1813 era stato equamente distribuito, basandosi più sulla qualità che sulla quantità, e che, comunque, il compositore emiliano era stato “onorato” con un nutrito numero di rappresentazioni: per i contestatori, i dirigenti del teatro milanese si erano comunque resi responsabili del delitto di leso italico orgoglio musicale…
Ma c'è un personaggio che già due secoli fa aveva incarnato questa rivalità e che la sofferse sulla sua pelle: si tratta del ravennate Angelo Mariani, il primo direttore moderno in Italia. Le orchestre italiane, infatti, compresa quella della celebre Scala, fino alla metà dell'Ottocento erano di livello men che mediocre, colpa dell'infatuazione per il “bel canto” e per la “bella melodia” che avevano fatto trascurare una seria ricerca sulla concertazione e sulle tecniche esecutive. Con Mariani, per la prima volta il direttore-concertatore prendeva in mano la situazione e si curava di ogni orchestrale e di ogni gruppo strumentale, impartendo lezioni di tecnica e di interpretazione con la finalità di creare un amalgama perfetto in cui le voci soliste potessero integrarsi.
Intuibile, quindi, che il compositore emergente in quegli stessi anni, Giuseppe Verdi, vedesse nel ravennate il direttore ideale per la sua musica. Si creò così un'intesa reciproca, anzi, un rapporto padre (Verdi) e figlio (Mariani), che durò fin quando “Anzulet” - così amichevolmente chiamato - fu abbagliato da una donna, la cantante Teresa Stolz, e da un uomo, Richard Wagner. Certo la Stolz, per le sue doti canore e per quelle fisiche “alta, col seno glorioso ed una treccia bionda che le scendeva sulle spalle forti ...” non poteva passare inosservata nemmeno all'autore della Traviata, che la fece immediatamente interprete della sua Aida, ma non solo, a poco a poco Verdi si sostituì negli affetti e nella stima della donna al buon Mariani.
Così il “padre” castigava il “figlio”: perché? Era forse al corrente che Angelo si stava interessando sempre più al suo grande rivale tedesco, a quel Wagner che l'avrebbe ridimensionato aprendo nuovi, rivoluzionari orizzonti alla musica? Il risultato fu un atteggiamento di crescente critica e disprezzo da parte dell'autore dell'Aida verso quel Mariani che in passato aveva giudicato un genio della direzione orchestrale, che però si riscattò con la “prima” italiana del Lohengrin, tenuta a Bologna nel 1871. Nonostante qualche clamore dal loggione di verdiani irriducibili, la rappresentazione fu un trionfo e lo stesso Wagner recapitò un suo ritratto coll'autografo: “Evviva, evviva Mariani!!!”, mentre Verdi, presente ad una replica, si espresse così: “Esecuzione mediocre: molta verve senza poesia e finezza. Nei punti difficili cattiva sempre”.
La rivalità Verdi-Wagner non è stata comunque solo un fatto personale o la contrapposizione di tifoserie locali, ma presenta ancora oggi una stimolante occasione per approfondire anche la differenza tra pubblico wagneriano e verdiano; l'indubbia rivoluzione musicale operata dall'autore del Lohengrin era comprensibile soprattutto a coloro che di musica s'intendevano e che avevano alle spalle una preparazione culturale di una certa raffinatezza, come erano i cultori wagneriani, mentre il grosso della platea verdiana era più popolare e più attratto dalla bella melodia e dall'intreccio drammatico o sentimentale.
Lo stesso Carducci, wagneriano convinto, ma che pure avrebbe voluto con i suoi versi storici e politici infiammare gli italiani, invidiava a Verdi il vasto consenso popolare. D'altronde, mentre in Germania, oltre all'opera lirica si era mantenuta viva la tradizione strumentale in tutto l'800 con compositori del calibro di Mendelssohn, Schumann e Brahms, in Italia, finita la fervida stagione del '700, il pubblico e il gusto musicale si erano ristretti quasi esclusivamente al melodramma. In definitiva, con Verdi si chiudeva il ciclo dell’opera lirica ottocentesca, con Wagner si apriva quella strada, che, tramite Mahler, avrebbe poi portato alla rivoluzione dodecafonica.
Giovanni Zaccherini
Laureato in Lettere Moderne all'Università degli Studi di Milano, ha insegnato materie letterarie, storia, filosofia e storia dell’arte negli istituti superiori. Ha collaborato e collabora con il Comune e il Circolo Filologico milanesi alla selezione e divulgazione di autori e testi inediti e all'organizzazione di eventi culturali.
Giornalista pubblicista, “Premio Guidarello per il giornalismo d'autore” 2010 per la sezione cultura, ha pubblicato e pubblica sulle terze pagine dei quotidiani “Avvenire”, “il Corriere di Romagna”, “il Resto del Carlino”, “La Voce di Romagna”, “Prealpina”, “Varese News” e sui periodici “la Ludla”, “la Piê”, “Libro Aperto”, “Stanza Letteraria” con rubriche di critica d'arte, musica, storia e letteratura. Ha compilato le voci “Dialetto”, “Folclore” e “Proverbi” per l'enciclopedia “Sguardi sulla Romagna” e ha collaborato all’ “Antologia della letteratura romagnola” di prossima uscita.
Ma, al di là di questi sintetici dati, nella mia vita e nella mia professione c’è soprattutto il desiderio di vivere con gli altri quella cultura che ci rende più “umani” e vicini in una comune condivisione. Ricordo le mie prime esperienze, come animatore del Comune di Milano, quando mi aggiravo nelle nebbie delle periferie per ricercare, raccogliere e insegnare a leggere e scrivere agli ultimi analfabeti che venivano dal sud. Poi, gli anni di insegnamento nei licei della Milano “bene”, anzi della Milano “da bere” … situazioni ed ambienti diversissimi, che mi hanno messo in grado di saper apprezzare e godere di culture e persone tanto lontane.
Per questo, anche nella mia attività giornalistica ho sempre rifuggito dallo specialismo e mi è piaciuto scrivere, mettendomi in sintonia con generi e periodi diversi: dall’ultima edizione di “Kind of blue” di Miles Davis, ai concerti grossi di Corelli, ai cori delle mondine. Oppure, cambiando campo, dalle eroine di Crepax, ai tesori della grafica rinascimentale, all’architettura liberty. Ecco, lo scrivere è come un dono, il dono di un piacere condivisibile e condiviso, un essere per sé e per gli altri.