sabato 30 settembre 2017

Francesca Bettoni / Una coniglietta bresciana in copertina su Playboy



Francesca Bettoni: una coniglietta
bresciana in copertina su Playboy

27 anni, misure 83-61-80. Segni particolari: è la prima bresciana della storia a essere sulla copertina del sexy mensile. «I miei genitori non vedranno le foto più spinte»

di Alessadra Troncana
22 luglio 2016 | 09:45 


Un gelido giorno di dicembre del 1953, a Chicago, 54 mila maschi sentirono improvvisamente caldo: sulle pagine del primo numero di Playboy, una Marilyn Monroe scandalosamente bionda sorrideva ai loro desideri pruriginosi. Sulla Treccani di sederi, cosce e altre cose al silicone del messia del sesso in vestaglia e pantofole, Hugh Hefner, è arrivata una nuova coniglietta: Francesca Bettoni, 27 anni, misure 83-61-80. Segni particolari: è la prima bresciana della storia a essere sulla copertina del sexy mensile.


Laureata in grafica pubblicitaria e modella 
per hobby

Ha spedito le sue foto al direttore, lui l’ha chiamata in ufficio e le ha proposto un servizio interno: «E io gli ho risposto che volevo la copertina». È uscita l’altro giorno (certe foto sono censuratissime, ma se non avete ancora comprato Playboy ne vedete alcune sulla sua pagina Facebook). «Abbiamo fatto lo shooting in una bellissima villa di Torino qualche mese fa, faceva freddissimo: volevano che entrassi in piscina ma ho detto no». Imbarazzo? «Un pochino, per questo ho portato una mia amica». Vuole diventare una diva? «Mi sono laureata in grafica pubblicitaria: faccio la modella per hobby, finché mi diverto. Ma mi hanno appena proposto un reality». I suoi genitori cos’hanno detto? «Ancora non lo sanno. Glielo dirò più avanti, ma vedranno solo la foto in copertina, non le altre: quelle sono più spinte». Post scriptum: non è fidanzata. 
 CORRIERE DELLA SERA






venerdì 29 settembre 2017

Playboy, l’altra faccia di Hugh Hefner / Suzanne Moore: «Era un magnaccia»


Hugh Hefner
Poster di T.A.


Playboy, l’altra faccia di Hugh Hefner
Suzanne Moore: «Era un magnaccia»


Per la commentatrice del Guardian, il miliardario che fondò l’impero delle conigliette ha abusato delle donne «rendendo la vendita di carne femminile rispettabile e alla moda». Sfruttò anche Marylin Monroe nuda su Playboy. E adesso sarà sepolto accanto a lei
di L. Angelini e L. Zanini
29 settembre 2017 (modifica il 29 settembre 2017 | 12:41)


C’è un controcanto nelle migliaia di articoli che, sui giornali di tutto il mondo, commemorano la morte del patron di Playboy. C’è una narrazione diversa che alla figura del visionario combattente per la libertà sessuale, esaltata da molti, contrapopne quella dell’uomo d’affari privo di scrupoli. E di morale. E a guidare questo controcanto c’è la giornalista Suzanne Moore, una delle più seguite commentatrici del britannico The Guardian, che oggi come anni fa, ne stronca l’immagine: benefattore? Macché, Hugh Hefner «era un magnaccia». Non bastasse, sul web — scrive la Bbc — divampa la polemica sul luogo di sepoltura scelto dal magnate del sesso: una tomba accanto a quella di Marilyn Monroe. Un’altra delle donne che secondo la Moore, Hefner avrebbe sfruttato senza ritegno.

giovedì 28 settembre 2017

È morto Hugh Hefner, fondatore di Playboy.




shad

È morto Hugh Hefner, fondatore di Playboy. Aveva 91 anni

La rivista debuttò nel 1953 e diventò un marchio che definì la cultura sessuale della seconda metà del XX secolo. Ebbe migliaia di donne, si è sposato tre volte

Hugh Hefner
Poster di T. A.
Di Redazione Online
28 settembre 2017 (modifica il 28 settembre 2017 | 09:38)

È morto Hugh Hefner, fondatore di «Playboy». Aveva 91 anni. La rivista ha pubblicato una dichiarazione dicendo che Hefner è morto mercoledì a casa sua, per cause naturali, circondato dalla famiglia.

martedì 26 settembre 2017

La letteratura inglese alla maniera di Silvio D'Arzo

Silvio D'Arzo

La letteratura inglese alla maniera di Silvio D'Arzo

Davide Brullo
13/04/2017
Partiamo da un quadro. Si intitola Il sogno di Dickens, lo ha dipinto Robert William Buss, nel 1870. Il quadro lo trovate al 48 di Daughty Street, Londra, nella sede del «Charles Dickens Museum». Lo scrittore Dickens è ritratto nel suo studio, mentre sonnecchia sulla sedia, assediato dalla rutilante teoria dei protagonisti dei suoi romanzi. La stessa cosa accade a Teddy Ted, «un uomo pieno di espedienti», nel pieno di un «esaurimento nervoso», che «covava in cuore da anni l'idea di scrivere un grosso romanzo, per comprarsi un vestito decente». Ogni sera Teddy Ted, che di mestiere fa il «maestro supplente», torna a casa, si siede nel suo studio e una falange di personaggi gli gira in torno. «Il primo a sbucar fuori era Tarzan», poi Mowgli comincia a concionare «mettendosi a saltare qua e là», allora Alice con «il suo Coniglietto» si arrabbia, ma interviene, piccato, «il piccolo Lord Fauntleroy» e poco dopo fa capolino «il vecchissimo Robinson Crusoe tenendo per mano Pinocchio» e con lui arrivano David Copperfield, Topolino, John Silver...
La figura fittizia di Teddy Ted adombra quella di Ezio Comparoni, che è noto alla letteratura come Silvio D'Arzo (1920-1952), talento eccentrico e precocissimo (a vent'anni griffa per Vallecchi All'insegna del buon corsiero), autore di Casa d'altri, «un racconto perfetto», secondo il giudizio di Eugenio Montale. Teddy Ted è il docile eroe di Una storia così, spassoso racconto incompiuto di D'Arzo che è la radiografia delle sue letture preferite. Nel 1946 D'Arzo si rivolse a Vallecchi: voleva allineare i suoi «saggi su autori inglesi» in un tomo intitolato Contea inglese. Il libro non vide luce, ma viene ricostruito, ora, con lo stesso titolo, per Corsiero Editore (pagg. 212, euro 18,50) allineando gli articoli e alcuni brandelli narrativi che Comparoni/D'Arzo ha scritto adottando svariati pseudonimi per quotidiani (Il Giornale dell'Emilia) e riviste (Il Contemporaneo e Paragone). Nel canone di D'Arzo c'è spazio per Stevenson, per Daniel Defoe, per T. E. Lawrence, per Joseph Conrad, per Hemingway e ovviamente per Kipling. Grazie a D'Arzo la furia fantastica vince sul realismo becero. Per una letteratura fatta di vento, corse e sciabolate.


lunedì 25 settembre 2017

Alissa Walser / La musica della notte


Alissa Walser

La musica della notte

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Titolo:La musica della notte (originale: Am Anfang war die Nacht Musik) 
Autore:Alissa Walser
Anno:2009
Editore:Neri Pozza Editore

Traduzione:Riccardo Cravero
Pagine:224
Trama:Franz Anton Mesmer è un medico nella Vienna del 1777, alla ricerca dell’approvazione da parte dei suoi colleghi. Il suo metodo è da molti considerato una ciarlataneria; il magnetismo animale e la teoria del fluidum sollevano più di un’obiezione. Così, quando viene affidata alle sue cure Maria Theresia Von Paradis, pupilla dell’Imperatrice, Mesmer attingerà a tutte le sue conoscenze per guarirla e ottenere il riconoscimento che cerca.

Prima di leggere questo romanzo non avevo mai sentito parlare di mesmerismo e di magnetismo animale: trattasi di teorie mai accettate dalle scienze mediche, che si basano sull’esistenza di un “fluido” (identificato con la forza magnetica) atto a regolare il corretto funzionamento del corpo umano, in armonia con quello universale.

In questo libro, tuttavia, non si segue tutto lo sviluppo di questi studi: quella che viene narrata è solo una parentesi della vita di Mesmer. Il passato e il futuro dell’uomo, così come di Maria Theresia, sono lasciati alla curiosità del lettore.
Un vero peccato, perché onestamente la storia è l’unica cosa che rende piacevole la lettura di questo romanzo.

Mi spiace ammettere, infatti, che per il resto il libro è privo di qualità degne di nota: lo stile di questo autrice non è proprio nelle mie corde. Nonostante alcuni punti lirici e piacevoli da leggere, il testo avanza in modo confusionario, “saltellante”; l’argomento, già piuttosto intricato di suo, ne risulta danneggiato. Persino la successione cronologica degli eventi va a singhiozzo e dubito che la confusione fosse un effetto voluto dall’autrice, visto che viene specificata la data all’inizio di ogni capitolo.
La descrizione delle terapie e della passione del dottore per la glassarmonica (uno strumento molto particolare, azionato dal movimento di componenti di vetro) sono un poco più chiare, ma non approfondite quanto avrei voluto. E’ stato interessante vedere come Mesmer tentava di utilizzare i magneti e la musica, ma non essendo il romanzo focalizzato su questo aspetto, non ho ottenuto tutte le risposte che cercavo.
Anche le polemiche contro le sue cure, per quanto presenti, non sono state affrontate in modo tale da rendere abbastanza importante, emotivamente parlando, il conflitto tra  il protagonista e i suoi detrattori. Sono accuse che leggiamo, ma di cui non sentiamo il peso.

Il centro del libro sembrerebbe essere la psiche del dottore e della giovane paziente. Anche questo punto, però, non mi è sembrato sviluppato del tutto. L’introspezione è praticamente assente, come se l’autrice si fosse limitata a scalfire la superficie dei suoi personaggi: l’unico di cui si può immaginare la vita interiore, in effetti, è il dottor Mesmer. E’ un vero peccato, perché questo svolgimento (che definirei sulla soglia della sufficienza) presagisce un carattere dalle molte facce. Anche Maria Theresia, con il terrore e il desiderio di riacquistare la vista, la paura del mondo e la sua passione per la musica, si sarebbe potuta distinguere e amare. Invece di lei cogliamo la fragilità, l’inconsistenza, per cui non possiamo fare a meno di compatirla, ma non riusciamo a darle un’anima tutta sua.
Credo che questa mancanza sia dovuta, in particolar modo, alla gestione piuttosto strana dei dialoghi e del punto di vista della narrazione. I primi sono, per la maggior parte, riferiti col discorso indiretto: così non solo la Walser esclude il lettore – scelta che potrebbe essere stilistica e che potrei comprendere – ma appiattisce molto i suoi personaggi, rendendo poco approfondita la caratterizzazione, come ho già detto.
I secondi sono troppo variabili e lasciano una sensazione di disorientamento.
Insomma, la prima parola che mi viene in mente pensando a questo libro è “confusionario”. Penso che l’autrice si sia lasciata prendere dal furor e non sia riuscita a rendere fruibile una storia che, di per sé, è incredibilmente interessante. Per lo meno, si percepisce la documentazione notevole e approfondita che la Walser ha raccolto per scrivere questo libro – avrei solo voluto che riuscisse a renderla in maniera più piacevole.
Come nota finale, mi preme segnalare che l’edizione Neri Pozza è davvero gioiellino. Mi piace molto questo casa editrice, trovo che sappia curare l’oggetto-libro in maniera magnifica. Oltretutto, dev’essere stato un libro complesso da tradurre (per i discorsi indiretti improvvisi e i campi repentini dei punti di vista di cui ho detto), quindi ci tengo a fare i complimenti al traduttore, Riccardo Cravero.
Sommando pro e contro, gli assegno una sufficienza, anche se un po’ stiracchiata. Penso proverò a cercare qualche saggio sulla Vienna dell’epoca e sul mesmerismo, mentre credo che io e questa autrice difficilmente ci incontreremo di nuovo.





domenica 24 settembre 2017

Uwe Tellkamp / La torre / C'era una volta la DDR, senza Ostalgie



La torre di Uwe Tellkamp: c'era una volta la DDR, senza Ostalgie




C'era una volta la DDR (Deutsche Demokratische Republik ) un posto dove si viveva abbastanza male, come ci racconta il monumentale La Torre di Uwe Tellkamp, un romanzo di oltre 1.300 pagine (però scritto in grande e con spazi larghi).



Der Turm, La Torre, era il quartiere di Dresda dove risiedeva la 'borghesia' intellettuale al tempo della DDR. Qui vivono tre protagonisti di questo romanzo, lo studente Christian, suo padre Richard, chirurgo, e lo zio Meno, redattore di una casa editrice legata al regime. La narrazione si snoda seguendo le tre direttrici date dalle vite dei protagonisti, che spesso si intersecano e sovrappongono disegnando un dettagliato e credibile spaccato della Repubblica Democratica Tedesca durante gli anni '80 fino alla caduta del regime.

L'inizio del libro è un po' faticoso, il lettore caracolla attraverso dettagliate descrizioni, perché La Torreintende essere una ricostruzione pressoché totale – e senza Ostalgie – di un mondo perduto, ma anche di una cultura specificamente tedesca: numerosi, ad esempio, i riferimenti a Goethe e alla musica classica, evocata in quanto arte eminentemente tedesca.

Le parti del libro riguardanti Christian e Richard sono le più riuscite. Le loro vite private sono fortemente influenzate dalle costrizioni e dalle violenza della dittatura, ma dal particolare delle loro vicende Tellkamp riesce a risalire a un universale che riguarda tutti sia in senso politico (come affrontare i soprusi del socialismo reale) sia in senso intimo e umano (come affrontare con coraggio o pusillanimità gli urti della vita).
I capitoli dedicati a Meno tendono talvolta a una sorta di magniloquenza visionaria con spezzoni di flusso di coscienza, con figure di intellettuali di regime cinici, artificiosi, di taglio decisamente troppo allegorico. Insomma, a tratti Uwe Tellkamp pare voler dimostrare di saper fare bene i compiti, anche quando non serve, creando qualche pagina rigonfia di parole, ridondante. Questo però, va detto, solo in brani isolati del poderoso romanzo.

La Torre nel complesso è una lettura quasi sempre piacevole benché impegnativa, sicuramente di grande valore e di grandi ambizioni. Un'opera d'altronde che contiene un mondo, talvolta imperfetta, eppure decisamente ammirevole.


Occhi Chiusi Aperti


sabato 23 settembre 2017

Hilary Mantel / Una cartografa traccia la mappa dell'oscurantismo musulmano

Una cartografa traccia la mappa dell'oscurantismo musulmano


Circa un anno e mezzo fa Hilary Mantel ci aveva raccontato di quando aveva vissuto per un periodo in Arabia Saudita.
Le avevamo chiesto che esperienza fosse per una donna, anche alla luce di quello che succede oggi. «L'ho raccontato nel mio romanzo Otto mesi a Ghazzah Street. È stato pubblicato negli anni Ottanta, ma molti aspetti della vita sono gli stessi di oggi, così come è la stessa l'incomunicabilità strisciante fra le culture - aveva risposto, via mail -. È stato tutt'altro che comodo, una sfida; ma, per uno scrittore, questo è sempre un vantaggio. Sono stata fortunata ad avere l'opportunità di vivere lì. Un giornalista va e viene, invece io ho potuto fare esperienza di un po' del tessuto della vita quotidiana e conoscere donne che vivono secondo standard molto diversi dai miei. E così mano a mano ho capito e rispettato, o rifiutato. Ma almeno ho vissuto un po' di storia dall'interno».
Ora quel libro, scritto nel 1988, esce in Italia: Otto mesi a Ghazzah Street, pubblicato da Fazi come gli altri romanzi della Mantel, dalla trilogia sulla rivoluzione francese (La storia segreta della Rivoluzione) a quella sui Tudor, Wolf Hall e Anna Bolena, una questione di famiglia (all'ultimo volume l'autrice lavora da tempo). Non è un romanzo storico: è la storia di Frances Shore, inglese, cartografa che ha lavorato a lungo in vari Paesi africani, che si trasferisce a Gedda per seguire il lavoro del marito. Nello stralcio che pubblichiamo in questa pagina (per gentile concessione dell'editore Fazi) Frances sta per atterrare in Arabia Saudita. Una volta a Gedda non vuole cedere ai pregiudizi, non vuole finire nel coro dei tanti anglosassoni espatriati che considera dei «razzisti»; ma non vuole certo arretrare per quanto riguarda l'indipendenza e la libertà delle donne, per esempio quando chiacchiera con le vicine di appartamento. Ma presto anche Frances scopre che, nel Regno, nulla è come sembra o come si racconta, e che di quello che succede poco si può sapere... Così un «normale» soggiorno di lavoro diventa prima una prigione, e poi la ricerca ossessionante per scoprire chi utilizzi l'appartamento del piano di sopra, in teoria disabitato. E la verità (che costa sangue) è molto più attuale di quanto si immagini.



giovedì 21 settembre 2017

Hilary Mantel alza il velo sulle donne arabe

Hilary Mantel

La Mantel alza il velo 

sulle donne arabe

Come può cavarsela una occidentale a Gedda? Con molta prudenza. E tanto coraggio...


Frances chiuse di nuovo gli occhi. Mentre si assopiva, coglieva qua e là dei brani di conversazione: le espressioni gergali, le frasi fatte. A casa di sua madre vedova, a York, aveva letto dei libri sul posto dove era destinata.
Nonostante il suo scetticismo, e la sua esperienza, in mente continuavano a girarle delle immagini artificiose: le tende nere al tramonto, il richiamo del muezzin nell'aria tersa del deserto, il sapore del cardamomo, la brunitura dei bricchi puntuti del caffè, il bollore della sabbia. «Costruiamo infra-strutture», diceva l'uomo che disprezzava Fairfax. Infrastrutture era una parola che aveva sentito sulla bocca di Andrew; se ne era innamorato. A quanto pareva, appena scoperto il petrolio nella Provincia orientale, l'Arabia Saudita non possedeva infrastrutture, ma adesso sì: strade, scuole, ospedali, fabbriche, miniere, coltivazioni e allevamenti di polli, aeroporti e campi di squash, telefoni e distributori di benzina, magazzini refrigerati e commissariati di polizia, ristorantini d'asporto e piste da bowling all'Albilad Hotel. Lo sapeva dalle sue letture, perché dopo i romantici racconti di viaggio era venuto Gedda. Una guida per operatori economici. Le tende nere dei beduini erano state scalzate dalle baracche di bandoni. L'aria condizionata è universale. Le gazzelle vengono cacciate dal cassone dei fuoristrada.
Deve piacermi, pensò. Tenterò di farmela piacere. Quando tutti hanno un'opinione negativa di un posto, viene il sospetto che alla fin fine qualche pregio quel posto lo debba avere. «Niente alcolici!», esclama la gente come se senza si morisse. «E alle donne è vietato guidare? Orrore». Ci sono tante cose che fanno più orrore, pensò, e ne ho vista qualcuna anch'io. Si appisolò.
La svegliò una mano sul braccio. Era lo steward. «Cominceremo la discesa fra mezz'ora. Passo col carrello per l'ultima volta: un altro cognac?».
«Non faccia esagerare la signora», gli consigliò l'uomo d'affari. «Deve vedersela con la dogana ed è la prima volta. Controllano tutto», le disse. «Spero che nella valigia non abbia niente che non dovrebbe».
«Non ho né bottiglie di whisky né carne di suino. Che altro cercano?».
«Dove compra la biancheria?».
«Cosa?».
«Vede, Marks & Spencer per loro sono dei sionisti. Deve tagliare le etichette, non gliel'ha detto nessuno? E guardano i libri. C'è stato un mio collega che, l'ultima volta che è stato nel Regno, si è visto confiscare un libro di limerick. Sulla copertina, sa, c'era un disegno, una donna». Gesticolò nell'aria descrivendo dei semicerchi. «Nuda, tratteggiata con una linea. Il tipo ha detto che non se ne era accorto».
«Mi pare poco plausibile», disse lei. E rivolta a se stessa aggiunse: «Uno dei suoi amici».
«È tutto poco plausibile. Anche se sono anni che uno va avanti e indietro, non sa mai cosa cercano. Il nostro rappresentante a Riad dovrebbe saperlo, ci vive. Ma l'anno scorso, quando è tornato dalle ferie estive, gli hanno preso i video di rugby, tutte le sintesi che aveva registrato. Hanno detto che li poteva riavere dopo che la dogana li aveva visionati. Non è mai andato a richiederli, però, per non sobbarcarsi quella bega».
«Poveretto».
«Ha dei libri d'arte, per caso? Rubens o varie? Sanno essere molto strani al riguardo».
«Il culto della figura umana è antislamico», disse Frances, «è considerato idolatria». L'uomo la fissò.
«Allora non riesco a tentarla?», chiese lo steward. Sbirciò nel secchiello quasi vuoto del ghiaccio. «Signori, vi prego di non lasciare le mignonettes nella tasca posteriore del sedile, non vogliamo che il nostro personale di terra sia frustato». Abbassò lo sguardo su Frances. «Il prossimo anno rinunciamo a questa rotta», disse. «Che la diano alla British Caledonian e buon pro le faccia. Allora, da bere nient'altro?». Si preparò a lasciarla, ad abbandonarla. I dirigenti che dormivano si riscossero con un filo di bava che colava sulla coperta della linea aerea. Si sentì una risata soffocata; le ventiquattrore ingombrarono i corridoi; impietosito, lo steward si chinò sul sedile di Frances. «Senta, se qualcosa non va, se per un imprevisto il maritino non si presenta, non si fermi ad aspettare, non parli con nessuno, vada dritta alla navetta della nostra compagnia aerea e venga con noi all'Hyatt Regency. Prenda una camera e mi occuperò io di lei. Lui potrà incontrarla domattina».
«Sono sicura che ci sarà», ribatté Frances. O ci sarà qualcun altro. Jeff Pollard. Perlomeno sarebbe una faccia conosciuta. «In caso qualcosa non vada ho dei numeri di telefono, e posso sempre prendere un taxi».
«Non lo può prendere, non la farebbero salire».
Le venne in mente quel formaggio che si dice i tassisti francesi non accettino sul loro taxi. «Parla sul serio?».
«È pericoloso per un uomo far salire in macchina una donna che non conosce. Possono sbatterlo in galera».
«Ma è un tassista, il suo lavoro è far salire le persone che non conosce».
«Ma lei è una donna», disse lo steward. «È una donna, giusto? Non è più una persona». Ostinato e cortese, come se non avessero scambiato neanche una parola, prese un bicchiere dal carrello: «Desidera dello champagne?».
Dopo un po' gli altoparlanti si misero a crepitare: Signori e signore abbiamo cominciato la nostra discesa sull'Aeroporto Internazionale di King Abdulaziz. Chi siede sul lato sinistro può vedere le luci di Gedda. I viaggiatori sono pregati di allacciare... sono pregati di spegnere... (E sulla destra, l'oscurità che si inclina e un bagliore rosso, i fuochi lenti che di notte sembrano circondare le città). Ci auguriamo che abbiate gradito... ci auguriamo di riavervi... ci auguriamo... ci auguriamo... e vi preghiamo di rimare seduti al vostro posto fino al completo arresto...
Dopo mezz'ora Frances è nel terminal. Secondo il calendario islamico è il 2 Muharram e la temperatura della sera è di 31 gradi; l'anno è il 1405.
da Hilary Mantel, Otto mesi a Ghazzah Street, Fazi Editore (traduzione di Giuseppina Oneto, pagg. 334, euro 19, in uscita oggi)



martedì 19 settembre 2017

Harry Dean Stanton / Leggendario attore

Harry Dean Stanton

Harry Dean Stanton
Leggendario attore


DATA DI NASCITA: 14/07/1926
LUOGO DI NASCITA: West Irvine, Kentucky, USA
DATA DI MORTE: Los Angeles, 15/09/2017

BIOGRAFIA


Nato nel West Irvine, Kentucky, Stanton debutta come attore nel 1957 in Tomahawk Trail e in alcuni episodi di Suspicion e U.S. Marshal. Successivamente ha continuato ad apparire in molte serie tv diventando una star del piccolo schermo. Negli anni Settanta interpreta i film Nick mano fredda (1967), Kelly's Heroes (1970), Dillinger (1973), Missouri (1976), Wise Blood (1979) ed Alien (1979). Nel 1984 è la volta di Paris, Texas, che gli regala fama a livello internazionale, cui seguono Mr. North (1988), Fuoco cammina con me! (1992), Il Miglio Verde (1999), La Promessa (2001) e Terapia d'Urto (2003).
FILMOGRAFIA





Paris, Texas

VALUTAZIONE FILM.IT
TITOLO ORIGINALE
Paris, texas
GENERE
NAZIONE
Germania
REGIA
CAST
DURATA
137 min.
USCITA CINEMA
ANNO DI DISTRIBUZIONE
1984





































































































Scomparso nel nulla per 4 anni, Travis ricompare nel deserto della California. Non parla e le uniche parole che pronuncia sono "Paris, Texas", enigmatica e sperduta località del paesaggio americano. Travis in realtà è tornato dal passato, un passato doloroso, per riparare al dolore e alla separazione tra suo figlio Hunter e la bella moglie Jane.