giovedì 22 ottobre 2015

Italo Calvino / Leonia


Italo Calvino
LEONIA

La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra
lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall'involucro, indossa
vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora
intonsi (1), ascoltando le ultime filastrocche dall'ultimo modello d'apparecchio.
Sui marciapiedi, avviluppati in tersi (2) sacchi di plastica, i resti di Leonia d'ieri aspettano il
carro dello spazzaturaio. Non solo i tubi di dentifricio schiacciati, lampadine fulminate,
giornali, contenitori, materiali d'imballaggio, ma anche scaldabagni, enciclopedie,
pianoforti, servizi di porcellana: più che dalle cose che ogni giorno vengono fabbricate
vendute comprate, l'opulenza (3) di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono
buttate via per far posto alle nuove. Tanto che ci si chiede se la vera passione di Leonia
sia davvero come dicono il godere delle cose nuove e diverse, o non piuttosto l'espellere,
l'allontanare da sé, il mondarsi (5) d'una ricorrente impurità. Certo è che gli spazzaturai sono accolti come angeli, e il loro compito di rimuovere i resti dell'esistenza di ieri è circondato d'un rispetto silenzioso, come un rito che ispira devozione, o forse solo perché una volta buttata via la roba nessuno vuole più averci da pensare.
Dove portino ogni giorno il loro carico gli spazzaturai nessuno se lo chiede: fuori dalla città,
certo; ma ogni anno la città s'espande, e gli immondezzai devono arrestare più lontano;
l'imponenza del gettito (5) aumenta e le cataste s'innalzano, si stratificano, si dispiegano su un perimetro più vasto. Aggiungi che più l'arte di Leonia eccelle nel fabbricare nuovi
materiali, più la spazzatura migliora la sua sostanza, resiste al tempo, alle intemperie, a
fermentazioni e combustioni(6).  E' una fortezza di rimasugli indistruttibili che circonda Leonia, la sovrasta da ogni lato come un acrocoro (7) di montagne.
Il risultato è questo: che più Leonia espelle roba più ne accumula; le squame (8) del suo
passato si saldano in una corazza che non si può togliere; rinnovandosi ogni giorno la città
conserva tutta se stessa nella sola forma definitiva: quella delle spazzature d'ieri che
s'ammucchiano sulle spazzature dell'altro ieri e di tutti i suoi giorni e anni e lustri(9).
Il pattume di Leonia a poco a poco invaderebbe il mondo, se sullo sterminato
immondezzaio non stessero premendo, al di là dell'estremo crinale (10), immondezzai d'altre città, che anch'esse respingono lontano da sé le montagne di rifiuti. Forse il mondo intero, oltre i confini di Leonia, è ricoperto da crateri di spazzatura, ognuno con al centro una metropoli in eruzione ininterrotta. I confini tra le città estranee e nemiche sono bastioni
infetti in cui i detriti dell'una e dell'altra si puntellano a vicenda, si sovrastano, si
mescolano.
Più ne cresce l'altezza, più incombe il pericolo delle frane: basta che un barattolo, un
vecchio pneumatico, un fiasco spagliato rotoli dalla parte di Leonia e una valanga di
scarpe spaiate, calendari d'anni trascorsi, fiori secchi sommergerà la città nel proprio
passato che invano tentava di respingere, mescolato con quello delle altre città limitrofe,
finalmente monde (11): un cataclisma (12) spianerà la sordida (13) catena montuosa, cancellerà ogni traccia della metropoli sempre vestita a nuovo. Già dalle città vicine sono pronti coi rulli compressori per spianare il suolo, estendersi nel nuovo territorio, ingrandire se stesse, allontanare i nuovi immondezzai.

Lessico
 (1) intonsi: intatti
 (2) tersi: puliti
 (3) opulenza: ricchezza
 (4) mondarsi: ripulirsi, purificarsi
 (5) l’imponenza del gettito: la quantità enorme di ciò che viene gettato
 (6) fermentazione e combustione: metodi naturali di smaltimento dei rifiuti
 (7) acrocoro: altopiano
 (8) squame: resti, frammenti
 (9) lustri: il lustro è una misura di tempo di 5 anni
(10) crinale: linea immaginaria sui punti più alti di una catena montuosa, in questo caso della montagna di rifiuti
(11) monde: pulite
(12) cataclisma: catastrofe naturale

(13) sordida: sporca

Italo Calvino
“Le città invisibili”



martedì 20 ottobre 2015

Steve Schapiro / Retratti

Woody Allen
Steve Schapiro
RITRATTI


Robert De Niro
Robert De Niro during the filming of 1976 movie Taxi Driver


Muhammad Ali with a Monopoly board

sabato 17 ottobre 2015

Elena Ferrante firma la prefazione a un’edizione inglese di Jane Austen

Jane Austen
La Ferrante firma la prefazione
a un’edizione inglese di Jane Austen

La casa editrice The Folio Society sceglie l’autrice italiana, molto amata nei paesi anglofoni per scrivere la prefazione di «Sense and Sensibility», (Ragione e Sentimento)

di ALESSANDRA SANTANGELO
17 ottobre 2015 (modifica il 17 ottobre 2015 | 14:17)

L’italiana Elena Ferrante presenta agli inglesi la britannica Jane Austen. La casa editrice The Folio Society, nota per la cura nella pubblicazione di classici in versione elegante e cartonata, ha appena ristampato, con la prefazione della Ferrante, Sense and Sensibility(pp. 344, £ 34,95). La critica anglofona ama molto la scrittrice napoletana, non stupisce quindi che il suo nome appaia accanto a quello dell’intramontabile Austen. Se, d’altra parte, l’autrice inglese scelse l’anonimato per le prime edizioni dei suoi romanzi, la nostra mantiene tuttora il più assoluto riserbo sulla propria identità.

Semina indizi, come in questo particolare debutto editoriale, raccontando poco di sé — da adolescente era più attratta dai racconti d’avventura prettamente maschili — e molto attraverso l’analisi critica di Ragione e Sentimento, che si focalizza sulle figure forti di entrambe le sorelle Dashwood, Elinor e Marianne. Ma soprattutto sulla loro sorprendente capacità di andare d’accordo, fino alla fine, nonostante siano, appunto, sorelle. Relazione familiare che, scrive la Ferrante, spesso può essere «piena di insidie e di pericoli». Un cenno autobiografico?





A Svetlana Aleksievic il Nobel per la Letteratura

Svetlana Aleksievic


A Svetlana Aleksievic il Nobel per la Letteratura


La scrittrice bielorussa premiata per aver raccontato la sofferenza e il coraggio dei nostri tempi

Era uno dei nomi che più si rincorrevano alla vigilia e questa volta i bookmakers non hanno sbagliato. E' Svetlana Aleksievic la vincitrice del Nobel per la Letteratura 2015. L'Accademia di Svezia ha premiato la giornalista-scrittrice bielorussa per la "sua polifonica scrittura nel raccontare un monumento alla sofferenza e al coraggio dei nostri tempi".






martedì 13 ottobre 2015

Pippa Bacca / Quando la performance diventa missione


Pippa Bacca, Lavanda dei piedi


Pippa Bacca

Quando la performance diventa missione


GIOVANNA LACEDRA
13 OTTOBRE 2015


Ricorderete tutti, o quasi – spero, in ogni caso, che ricordiate in molti – la terribile vicenda in cui perse la vita una delle più giovani e pure artiste italiane contemporanee.
Era il 12 aprile 2008. Più di sette anni fa. E lei non aveva che trentaquattro anni. Si chiamava Pippa Bacca. La trovarono morta durante una sua performance. Morì viaggiando, morì agendo. Morì durante l’esibizione del reale. Spose in viaggio era una performance itinerante, una sorta di missione per lei. Iniziata da più di un mese, sarebbe andata avanti ancora per molto, perché Pippa – così idealista e innamorata della vita, così ferita nell’intimo dal dolore del mondo, così fiduciosa nel genere umano – aveva deciso di spostarsi proprio nei territori del terrore, dove la violenza sterminava vite e dove la guerra dilatava la miseria, per portare un messaggio di pace. Bianco come la purezza d’animo di chi ha una sua fede. Bianco come l’abito che aveva deciso di indossare. Bianco come la luce di ogni alba che la vedeva svegliarsi energica, vestirsi da sposa con un abito a “cipolla” e piazzarsi poi sul ciglio di una strada, con un cartello in mano e aspettare. Aspettare con fiducia che qualcuno si fermasse per darle un passaggio e consegnarla alla prossima città, in una sorta di performance-pellegrinaggio verso i luoghi del dolore.

Pippa Bacca, performance Autostop per Tuzla

La performance si svolse in autostop. Ogni mattina Pippa correva il rischio di affidare la propria vita a un perfetto sconosciuto, ma la sua stima nei confronti del prossimo era sempre stata un ottimo carburante per le sue scelte. Come lei stessa volle precisare: “La scelta del viaggio in autostop è una scelta di fiducia negli altri esseri umani, e l’uomo, come un piccolo dio, premia chi ha fede in lui!”.
Era partita insieme all’artista Silvia Moro l’8 marzo del 2008, proprio in occasione della giornata che ogni anno festeggia le donne per la loro forza di volontà, per il loro coraggio, per le loro conquiste sociali e politiche, per i loro diritti e per la loro incessante lotta contro le discriminazioni d’ogni sorta. La performance era stata sostenuta dall’associazione Culturale Erodoto. Le due donne partirono vestendo entrambe abiti da sposa disegnati da Byblos, altro nobile sostenitore del progetto. La destinazione scelta fu Gerusalemme e per raggiungerla passarono attraverso la Slovenia, la Croazia, la Bosnia, la Bulgaria. Avevano ancora un bel po’di strada da fare: sarebbero dovute arrivare in Siria, attraversare poi il Libano, la Giordania, Israele e la Palestina. Giunte in Turchia, però, qualcosa si ruppe.
L’ultima notizia di Pippa risaliva al 31 marzo, giorno in cui era arrivata finalmente a Istanbul. Come di consueto lei e Silvia si erano separate, per poi ritrovarsi in abitazioni private, ospedali o gallerie d’arte del luogo. Le sue tracce, però, si erano perse all’improvviso. Sino a quel tragico 12 aprile. quando – dopo incessanti ricerche e appelli da parte dei famigliari –, il suo corpo fu ritrovato violato e senza vita. L’ultimo autista che Pippa aveva incontrato determinò il suo destino. Quel mattino, infatti, a offrirle un passaggio fu un cittadino turco pregiudicato, che aveva già avuto problemi con la legge a causa di furti. Murat Karatas, trentotto anni, la vide appostata sul solito ciglio di strada e la caricò sul suo camion nero. Giunse con lei sino alla località di Gebze. Poi, evidentemente, decise di cambiare direzione: invece di addentrarsi nella cittadina, dirottò verso una stradina che conduceva in un bosco. Lì, spense il motore. E fu forse quello il momento in cui Pippa capì che forse non è sempre possibile aver fiducia in tutto il genere umano. Che qualche volta ci si può sbagliare. E che quando ci si accorge di aver compiuto questo errore… può essere troppo tardi.

Pippa Bacca, performance Autostop per Gorizia


Avrà gridato, Pippa, mentre lui l’aggrediva. Avrà gridato mentre la costringeva a stare ferma e le strappava il suo candore di dosso. Probabilmente si sarà dimenata, avrà tentato di far qualsiasi cosa pur di divincolarsi. Ma da un bosco disperso in un luogo sconosciuto, con nessun’altra presenza umana nei dintorni che non sia la tua e quella del tuo carnefice, non è certo facile scappare. Soprattutto, poi, se chi ti aggredisce è fisicamente più forte di te. È un uomo ed è anche particolarmente violento. Urli. Ma riesci a farlo fino a che non viene persino a mancarti il fiato. Perché le sue mani ruvide stanno cingendo il tuo collo. E stringono, stringono. Asfissiano. Urli, ma lo fai finché il fiato non lo perdi del tutto.
Pippa Bacca è stata violentata e poi strangolata da quell’uomo. Il suo corpo esanime è stato ritrovato esattamente nel luogo del delitto. Era stata gettata fuori dal camion e poi sepolta alla bene e meglio. L’assassino fu rintracciato perché in seguito all’omicidio aveva utilizzato il cellulare della vittima. La notizia giunse immediatamente in Italia, addolorando profondamente i famigliari e sconvolgendo l’opinione pubblica. Voleva attraversare Europa dell’Est e Medio Oriente, Pippa. Insieme a Silvia desiderava portare in più luoghi possibili il suo messaggio di pace. Credeva nell’umanità, nella sua capacità di far vincere l’amore sulla morte. Ma il suo viaggio finì troppo presto e purtroppo senza darle pienamente ragione.
Sua madre, Elena Manzoni, sorella dell’artista concettuale Piero Manzoni, dopo aver appreso la scioccante notizia disse: “La natura di mia figlia era questa: era piena d’entusiasmo, di gioia di vivere”. I funerali si svolsero presso la Basilica di San Simpliciano a Milano, con la partecipazione dell’allora sindaco Maria Letizia Moratti e del console turco. Il presidente della Repubblica Turca, Abdullah Gul, trasmise le sue ufficiali condoglianze. Sul sagrato gremito di gente fu adagiata la sua bara, coperta da un drappo verde. Il verde era il suo colore preferito. Verde come la natura più pura. Verde come le foglie che ritagliava per i suoi lavori. Verde come la speranza che aveva sempre caratterizzato la sua personalità. E palloncini verdi furono lasciati volare in cielo alla fine della cerimonia, mentre i partecipanti con un brindisi corale salutavano la sua vita, promettendo di ricordarne per sempre il lascito.
Pippa Bacca, la nascita del progetto "Spose in viaggio"

Poco più di un anno dopo, infatti, Elena Manzoni riuscì ad organizzare una mostra dedicata alla straordinaria “missione” di sua figlia. Spose in Viaggio | Brides on tour, inaugurata presso la Fondazione Mudima di Milano nel dicembre 2009, fu uno straordinario evento documentativo e celebrativo. Le tappe più importanti del viaggio di Pippa e Silvia vennero testimoniate da fotografie e video, oggetti e souvenir. Immagini fotografiche ritraevano Pippa in autostop o durante un celebre rituale da lei battezzato come “la lavanda dei piedi”. Ovunque andasse, infatti, cercava l’ospedale della città, ne rintracciava l’ostetrica e le proponeva di prestarsi a questo speciale momento della performance: la donna doveva sedersi e rispondere a un’intervista, accettando di raccontare aneddoti su quello che resta il mestiere più antico del mondo. Pippa si era portata da Milano una bacinella. Lavava i piedi della prescelta con acqua e sapone, quindi li asciugava con la mantellina del vestito da sposa. Infine li ungeva di oli e profumi. Durante il “rito” poneva all’ostetrica di turno domande relative alla prima vita che aveva fatto nascere. In questo modo l’azione artistica rendeva omaggio alla vita. Nel testo in catalogo di Giorgio Bonomi si può leggere: “Pippa Bacca ha aperto la mente e il cuore di tanta gente, in tutto il mondo, per cui il male si è trasformato, dialetticamente, in bene…”.
L’idea di Spose in viaggio era nata nella mente di Pippa come una sorta di riflessione. Di fondo, non riusciva a comprendere questa eccessiva attenzione che le spose hanno nei riguardi di un abito che indosseranno per un solo giorno. Durante il matrimonio di un’amica fu colpita dal timore esagerato che questa aveva di imbrattare lo strascico dell’abito nuziale. Un abito volutamente candido, dunque facilmente sporcabile. La sua silenziosa genialità la portò a rovesciare questa logica. E così, l’abito bianco che si indossa un solo giorno, divenne per lei l’abito di molti giorni: l’abito della strada, l’abito di un percorso, l’abito di un viaggio. L’abito che vuol essere sporcato dai territori attraversati, dai luoghi visitati. Dall’esperienza. L’abito di un matrimonio tra popoli. L’abito della tregua. L’abito della pace. Come è andata lo sappiamo ormai tutti. Preferisco, invece, concludere questo articolo con i versi di una poesia di Edoardo Sanguineti, che Pippa considerava il vero incipit del suo progetto:
Quando ci penso, che il tempo è venuto,

la partigiana che qui ha combattuto,

quella colpita, ferita una volta,

e quella morta, che abbiamo sepolta,
femmina penso, se penso la pace:
pensarci il maschio, pensare non piace.

Quando ci penso, che il tempo ritorna,

che arriva il giorno che il giorno raggiorna,

penso che è culla una pancia di donna,

e casa è pancia che tiene una gonna,
e pancia è cassa, che viene al finire,
che arriva il giorno che si va a dormire.


WSI


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Pippa Bacca / Quando la performance diventa missione
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sabato 3 ottobre 2015

Joël Dicker / «Il nuovo libro mi sveglia all’alba»





L’INTERVENTO DEL ROMANZIERE SVIZZERO, 
OSPITE DEL FESTIVAL LA MILANESIANA 2015

«Il nuovo libro mi sveglia all’alba»
Joël Dicker e il successo 
dopo cinque romanzi rifiutati


«Per vivere appieno la scrittura bisogna tramutarla in un’ossessione positiva»

di JOËL DICKER

Ho sempre avuto delle ossessioni. Dei tic, delle fissazioni, dei rituali e perfino delle superstizioni. Non toccare le commessure delle lastre sul marciapiede, contare i gradini delle scale, camminare solo sulle linee gialle, o non camminarci affatto. Se con la bici riesco a superare il tram, sarà una bella giornata. Se il semaforo diventa rosso prima che io superi l’incrocio, sarà una brutta giornata. Alzarmi all’alba per cominciare bene la giornata, ascoltare musica prima di mettermi a scrivere, scrivere a mano anziché col computer quando mi sento bloccato su un testo. 
Queste piccole manie sono le mie ossessioni. Hanno tutte una cosa in comune: a voi possono sembrare futili o addirittura incomprensibili, per me sono piene di senso. Per me sono una sfida, un gioco, e soprattutto sono ciò che mi fa andare avanti. Perché senza le mie ossessioni non sarei niente. E dietro l’aspetto giocoso che rallegra la mia quotidianità, l’ossessione può assumere l’aspetto di una voglia, di un sogno che voglio fare di tutto per realizzare.

In questo campo il caso più emblematico è la scrittura. A vent’anni, per la prima volta, mi dissi che volevo scrivere un romanzo. Mi ero appena iscritto alla facoltà di diritto dell’Università di Ginevra, e devo dire che mi annoiavo un po’. Mi sfidai a scrivere un romanzo, e questa sfida divenne un’ossessione quando, dopo un anno, il mio manoscritto venne rifiutato da tutti gli editori cui l’avevo spedito. Allora mi dissi che non potevo bloccarmi su un fallimento e che avrei continuato a scrivere finché non fossi stato pubblicato almeno una volta. Perciò mi rimisi subito al lavoro e scrissi un secondo romanzo. Lo spedii di nuovo ad alcuni editori, i quali di nuovo lo rifiutarono. Allora scrissi un terzo romanzo, che di nuovo venne rifiutato da tutti gli editori. Scrissi un quarto romanzo, che di nuovo venne rifiutato da tutti gli editori. Scrissi un quinto romanzo, che di nuovo venne rifiutato da tutti gli editori. Ma non potevo arrendermi: giurai a me stesso che avrei fatto di tutto per scrivere un romanzo che venisse accettato da una casa editrice. Allora ripresi le varie lettere di rifiuto che avevo ricevuto dagli editori e raccolsi tutti i minuziosi appunti che avevo preso sui miglioramenti necessari. E mi rimisi al lavoro. Ancora e ancora. E così iniziai a scrivere il mio sesto romanzo, La verità sul caso Harry Quebert , che avrebbe avuto un enorme successo. 
Quando racconto la storia dei miei romanzi, spesso mi chiedono se conto di pubblicare i romanzi precedenti, e io rispondo sempre di no. Per me sono stati il percorso indispensabile e ossessivo dell’apprendistato narrativo. Non avrebbe alcun senso pubblicarli, non adesso.

Questo modo ossessivo, quasi bulimico, di lavorare mi accompagna in gran parte dei miei progetti e delle mie voglie. È in questo modo che mi sono lanciato nello sport e soprattutto nel jogging. Un giorno, andando a correre con mio cugino e rendendomi conto delle mie scarsissime capacità, decisi che dovevo a tutti costi dedicarmi allo sport seriamente. Cominciai ad alzarmi prestissimo la mattina per andare a correre e diventare un atleta migliore fino a diventare un atleta ossessivo. 

Per me c’è un nesso diretto tra l’ossessione e l’alba. Parto dal presupposto che un’attività possa trasformarsi in ossessione solo se praticata in orari scomodi, soprattutto la mattina prestissimo. Ho cominciato con il jogging all’alba, adesso mi alzo sistematicamente all’alba per scrivere e lavorare. In questi ultimi mesi, il mio romanzo mi costringe a svegliarmi alle 4.30 del mattino. Adoro la sensazione speciale del cielo ancora buio, come se si superasse la notte svegliandosi prima di lei. Adoro vedere la città ancora addormentata. Ho l’impressione di rubare tempo al tempo. È in questi momenti che l’ossessione raggiunge il massimo della bellezza: quando trascende la nostra nozione del tempo. È in questo momento che tutto diventa possibile.

Mi sarebbe piaciuto essere un ricercatore o un matematico. Avere un ufficio disordinato in un’università e una lavagna piena di formule scritte col gessetto.Penso di ritrovare una sensazione molto simile nella scrittura di un romanzo. Farmi assorbire dal mio progetto tanto da perdere la nozione del tempo e del prossimo. Finché l’equazione non sarà risolta, non ci sarà riposo possibile, e anche se mi legassero a forza in un letto, il mio cervello continuerebbe a lavorare. E se mi costringeranno a dormire, il mio progetto lo continuerò nei sogni. È ovunque, è sempre, è incessante. È ossessivo. 

L’ossessione supera la passione. È l’ultimo stadio, è la cima della piramide. La passione ci spinge a intraprendere qualcosa in maniera ossessiva. Alcuni considerano l’ossessione in maniera negativa, io la considero indispensabile alla riuscita. Ha i difetti del perfezionismo, ma il perfezionista ossessivo sublima il perfezionismo stesso, tendendo a eliminarne gli aspetti negativi. 

Spesso le persone mi chiedono cosa debbano fare per scrivere un romanzo. Io rispondo che devono averne l’ossessione. Più che l’aspirazione, più che la voglia, più che il desiderio, più che la passione.

Ovviamente i medici, e in particolar modo gli psichiatri, vi illustreranno l’ossessione dal punto di vista medico. E se aprite un dizionario, la definizione delle ossessioni fa tremare. Per il Petit Larousse, l’ossessione è «un’idea spesso assurda e impropria che nasce nella coscienza e la assedia». Ossessioni e compulsioni. Ossessioni ideative, con annesse idee ossessive. Ossessioni fobiche, con annesse carovane d’angosce. Ossessioni compulsive, con annessa paura di commettere azioni turpi. 

Che bella idea farsi assediare dalle idee! Lasciamo che le idee ci ossessionino, per realizzarle quando ci piacciono. E non lasciamoci ossessionare da idee che non ci appassionano. Perché, come dicevo prima, diversamente dalla triste definizione che i dizionari danno dell’ossessione, nella bellezza dell’ossessione c’è di che sublimare i nostri desideri e le nostre passioni. Perché bisogna avere l’ossessione delle proprie ossessioni. Bisogna selezionarle, averne cura, affinarle, abbellirle. Io le mie ossessioni le voglio belle, le voglio utili, le voglio divertenti. Bisogna essere esigenti con l’ossessione! Che senso ha amare l’ossessione se è insulsa?

Infine bisogna ricordarsi di dimenticare di avere l’ossessione delle ossessioni. Dimenticare di alzarsi, dimenticare di lavorare, dimenticare le proprie manie, i propri tic, le proprie fissazioni, i propri rituali. Attraversare la strada senza preoccuparsi delle linee gialle per terra, non contare i gradini delle scale. Dimenticare le proprie passioni almeno per un giorno, una notte, una sera. Ritrovare il proprio marito, la propria moglie, i propri amici. Amare, essere amati. Respirare. Non fare niente. Lasciare che l’ossessione si riposi, per ritrovarla ancora più bella l’indomani. Non abbiate paura di lasciare un po’ a spasso la vostra ossessione: non va mai molto lontano.

23 giugno 2015 (modifica il 5 agosto 2015 | 20:17)