giovedì 31 dicembre 2020

Citazioni / Spaguetti

 



Citazioni
Spaguetti

La vita è una combinazione di pasta e magia.
(Federico Fellini)

Mi domando io che, sono un professore poco professorale, che cos’è la gloria di Dante appresso quella degli spaghetti?
(Giuseppe Prezzolini)

Gli italiani hanno solo due cose per la testa: l’altra sono gli spaghetti.
(Catherine Deneuve)

Desiderami come si desidera un piatto di pasta al sugo appena tornato dall’estero.
(Anonimo)

Una donna che sa fare la pasta a regola d’arte ha un prestigio che resiste anche oggi a qualsiasi altro richiamo dei tempi.
(Sofia Loren)

Gli spaghetti erano croccanti, e scivolavano in bocca quasi animati di vita propria. Quell’olio d’oliva aveva un sapore inebriante. Sembrava incredibile che quattro elementi così semplici, olio d’oliva, pasta, aglio e formaggio, potessero dar vita a un piatto talmente straordinario.
(Ruth Reichl)

Mi piacciono i baci in fronte, la pasta fatta in casa, la musica improvvisata, la sincerità, insomma tutte le cose che la gente non fa più.
(Barba Maura, Twitter)

Si fa prima a trovare il significato della vita che a trovare il tempo di cottura su un pacco di pasta.
(Anonimo)

Di tutte le cose semplici la sola che posso mangiare ogni giorno, non solo senza noia ma con l’avidità di un appetito inalterato dall’eccesso, è la pastasciutta.
(William Somerset Maugham)

Perdonami, amore! No! No! Non è vero che non eri brava in cucina. Ultimamente gli spaghetti al burro freddi erano sempre freddi al punto giusto!
(Rocco Barbaro)

Se è vero, come dice Alessandro Dumas padre, che gli Inglesi non vivono che di roast-beef e di budino; gli olandesi di carne cotta in forno, di patate e di formaggio; i Tedeschi di sauer-kraut e di lardone affumicato; gli Spagnuoli di ceci, di cioccolata e di lardone rancido; gl’ltaliani di maccheroni, non ci sarà da fare le meraviglie se io ritorno spesso e volentieri sopra ai medesimi, anche perché mi sono sempre piaciuti; anzi poco mancò che per essi non mi acquistassi il bel titolo di Mangia maccheroni
(Pellegrino Artusi)

La prima volta che ho visto un piatto di spaghetti, pensavo fosse una versione impegnativa dello shangai!
(Alessandro Bergonzoni)

Macaroni… m’hai provocato e io te distruggo! Macaroni, io me te magno!
(Alberto Sordi in un “Un americano a Roma”)

E su la tomba mia, tutta la gente
ce leggerà ‘sta sola dicitura:
“Tolto da questo mondo troppo al dente”.
(Aldo Fabrizi)

Gli uomini sono come gli spaghetti: più sono cotti più sono appiccicosi.
(Anonimo)

– Non pigliare la pasta grossa che non la digerisco.
– Tu con questa fame digerisci pure le corde di contrabbasso.
(Totò, Miseria e nobiltà)

Stasera mi faccio due spaghetti e poi vado a letto. Ma cosa avete capito? Non due spaghetti nel senso metaforico di una scarsa quantità di pasta, no. Proprio due spaghetti, uno come aperitivo e il secondo lo taglio in due così potrò mettermelo sulle orecchie e guardarmici nello specchio prima di mangiare. Ma dimagrisco, per la miseria se dimagrisco!
(Anonimo)

Era così magro che gli spaghetti li doveva mangiare uno alla volta.
(Anonimo)

Le muse godono voluttuosamente di cento caldaie che mandano il loro fumo verso le nubi, piene di caciottine, maccheroni e lasagne.
(Teofilo Folengo, autore delle Maccaronee)

Non ero preparata per la sensazione della pasta nella mia bocca, o la purezza del gusto. Ero stato in Giappone per quasi un mese, ma non avevo mai sperimentato nulla di simile. Le tagliatelle tremavano come se fossero vive, e saltassero in bocca, dove vibravano come riproduzione di musica non udibile.
(Ruth Reichl)

Diceva Ennio Flaiano che il nostro, più che un popolo, è una collezione. Ma quando scocca l’ora del pranzo, seduti davanti a un piatto di spaghetti, gli abitanti della penisola si riconoscono italiani come quelli d’oltre manica, all’ora del te, si riconoscono inglesi. Neanche il servizio militare, neanche il suffragio universale (non parliamo del dovere fiscale) esercitano un simile potere unificante. L’unità d’Italia sognata dai padri del Risorgimento oggi si chiama pastasciutta.
(Cesare Marchi)

Il compositore Gioacchino Rossini amava la pasta così tanto che se ne faceva mandare delle intere casse da Napoli. Nel 1859, lamentandosi con un amico per il ritardo di una di queste spedizioni, arrivò a firmarsi “Gioachino Rossini, Senza Maccheroni”.
(Anonimo)

Una nazione di mangiatori di spaghetti non può ripristinare la civiltà romana!
(Benito Mussolini)

Crediamo anzitutto necessaria l’abolizione della pastasciutta, assurda religione gastronomica italiana. Forse gioveranno agli inglesi lo stoccafisso, il roast-beef e il budino, agli olandesi la carne cotta col formaggio, ai tedeschi il sauer-kraut, il lardone affumicato e il cotechino; ma agli italiani la pastasciutta non giova.
(Filippo Tommaso Marinetti)

Marinetti dice basta:
messa al bando sia la pasta.
Poi si scopre Marinetti
che divora gli spaghetti.
(Filippo Tommaso Marinetti, rinnegando 6 mesi dopo ciò che aveva scritto sugli spaghetti)

Tutto quello che vedete lo devo agli spaghetti.
(Sophia Loren)

Ma se tu avessi amato i maccheroni
più dei libri che fanno l’umor nero
non avresti patito aspri malanni
(Gennaro Quaranta, in risposta a Giacomo Leopardi)

Non ci sente mai soli mentre si mangiano gli spaghetti. Richiedono troppa attenzione.
(Robert Morley)

Nozze, spaghetti e cialde sono buone più calde
(Proverbio)

La filosofia non si trova solo nei trattati dei professori che ne portano il nome. C’è una filosofia anche nell’uso degli spaghetti.
(Giuseppe Prezzolini)

Mi confermate che quando si parla di pasta gli 80 grammi sono quelli del sugo da metterci sopra?
(dbric511, Twitter)

Le frasi lunghe mi fanno lo stesso effetto della pasta scotta.
(Roberto Gervaso)










domenica 27 dicembre 2020

Esopo / Il medico e l’ammalato




Esopo
Il medico e l’ammalato

Un medico aveva in cura un ammalato, che gli morì. “Ecco”, diceva a quelli che ne seguivano il funerale, “se quest’uomo si fosse astenuto dal vino e avesse fatto dei clisteri, non sarebbe morto”. Ma uno dei presenti lo interruppe: “Mio caro, queste cose avresti dovuto dirle quando egli poteva approfittare dei tuoi consigli; non ora che non servono più a nulla”.

La favola mostra che gli amici devono prestare il loro aiuto nel momento del bisogno, e non sputar sentenze quando ogni speranza è perduta.



mercoledì 23 dicembre 2020

Esopo / Il cammello e Zeus



Esopo
Il cammello e Zeus


Vedendo un toro tutto imbaldanzito per le sue corna, al cammello invidioso venne voglia d’averle anche lui. Presentatosi dunque a Zeus, cominciò a supplicarlo che gli assegnasse un paio di corna. Ma Zeus si sdegnò con lui perché, non contento della sua forza e della sua statura, voleva ancora qualche cosa d’altro. Così, non solo non gli aggiunse le corna, ma gli mozzò anche la punta delle orecchie.

Questo capita a molti, che, avidi, guardano con invidia gli altri e intanto, senza avvedersene, perdono anche quello che hanno.




lunedì 21 dicembre 2020

Esopo / La mula



Esopo
La mula


Una bella mula rimpinzata di biada si mise a scalpitare, dichiarando ad alta voce a se stessa: “Cavallo dal  rapido piede fu mio padre; ed io son tutta lui”. Ma un giorno si presentò la necessità di correre e la mula doveva farlo davvero. Quando ebbe finita la corsa, si sentì triste, e le venne in mente, all’improvviso, che suo padre era un asino.

La favola mostra che, anche quando le circostanze rendono un uomo famoso, egli non deve mai dimenticare le proprie origini, perché questa vita è piena di incertezze.

mercoledì 16 dicembre 2020

È morto il regista sudcoreano Kim Ki-duk, aveva 59 anni

 

Kim Ki-dut


È morto il regista sudcoreano Kim Ki-duk, aveva 59 anni



Il regista sudcoreano Kim Ki-duk è morto venerdì in Lettonia per complicazioni legate alla COVID-19, la malattia causata dal coronavirus. Kim Ki-duk aveva 59 anni ed era famoso per Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera (2003), per Ferro 3 – La casa vuota (2003) con cui vinse il Leone d’argento alla Mostra del cinema di Venezia, per il documentario Arirang (2011), che ottenne il premio della sezione “Un Certain Regard” al festival di Cannes, per Pietà, Leone d’oro nel 2012 e infine per il documentario Moebius. La notizia della sua morte è stata data inizialmente dal sito lettone Delfi.lt e poi confermata dalla famiglia di Kim ai giornali sudcoreani. Secondo le prime informazioni, Kim si trovava in Lettonia da alcune settimane e di recente era stato ricoverato in ospedale.


IL POST





martedì 15 dicembre 2020

E’ morto John le Carré, aveva 89 anni

John le Carré, 1993

 

E’ morto John le Carré, aveva 89 anni

13 Dicembre 2020

John le Carré, pseudonimo di David John Moore Cornwell, è morto all’età di 89 anni. Lo scrittore britannico è autore di molti fra i più venduti romanzi di spionaggio ed è stato un agente segreto del Secret Intelligence Service. 

«David Cornwell, vero nome di John Le Carré è morto sabato nell’ospedale pubblico di Truro, in Cornovaglia, dopo una breve malattia, una polmonite – scrive John Geller, l’agente dello scrittore – . Un dolore enorme per la sua cara moglie Jane e i suoi quattro figli Nicholas, Timothy, Stephen e Simon».

Addio a John le Carré, il trailer del film "La spia che venne dal freddo"

Geller specifica Le Carrè non è morto per Covid19 e aggiunge: «Come agente ho rappresentato Le Carrè per 15 anni. Ho perso un mentore ma soprattutto un amico. Non ce ne saranno più come lui».

La famiglia ha confermato che Le Carré è morto di polmonite al Royal Cornwall Hospital, a Treliske, la notte di sabato. Lascia la moglie Jane e 4 figli.

«Per sei decenni - si legge nella nota - John Le Carrè (il cui vero nome era David Cornwell, ndr) ha dominato le classifiche dei bestseller con il suo monumentale corpus di opere». Attraverso il suo personaggio George Smiley, Le Carré ha descritto in moltissimi romanzi gli intrighi spionistici della guerra fredda, forte di una personale esperienza come agente dei servizi segreti britannici. La fama mondiale giunse quando aveva 32 anni, nel 1963, con il terzo romanzo, "La spia che venne dal freddo".

LA STAMPA




FICCIONES

DE OTROS MUNDOS
Le Carré ante el fin de una era
Salman Rushdie / John le Carré / Reconciliación
John Le Carré / Philip Seymour Hoffman
John le Carré y Graham Greene / Benditas novelas de espías, de secretos y mentiras
Autores británicos que devorar
John le Carré / La gente de Smiley
John le Carré / La lección de Smiley
John le Carré / Cambios de lugar y protagonista
‘La chica del tambor’, de John Le Carré / El espionaje en los años setenta
Volar en círculos / John le Carré revela sus secretos
Volar en círculos / ¿Por qué John le Carré se convirtió en espía?
Espías como nosotros / John le Carré y Ben Macintyre
John le Carré recupera a su espía George Smiley en su nueva novela
John le Carré / La lección del maestro
John Le Carré / “El Brexit es la mayor idiotez perpetrada por el Reino Unido”
The Nigh Manager / Hugh Laurie, armas y champán
John le Carré / El Dickens de la Guerra Fría
John le Carré, maestro de la novela de espías, muere a los 89 años

DRAGON
John Le Carré on Philip Seymour Hoffman / Staring at the Flame
From Ali to Zadie / The best books of autumn 2016
The Pigeon Tunnel review / John le Carré comes in from the cold 
William Boyd / Why John le Carré is more than a spy novelist
John le Carré's Measured Fury
A Legacy of Spies by John le Carré review / Smiley returns in a breathtaking thriller
Agent Running in the Field by John le Carré review / Thriller laced with Brexit fury
Elizabeth Debicki / The Night Manager
The top 10 classic spy novels
John le Carré remembered by writers and friends / 'He always had a naughty twinkle in the eye'
Posters and Covers / The Night Manager
10 ways of getting to know John le Carré

PESSOA
John Le Carré / Philip Seymour Hoffman
Escritor John Le Carré morre aos 89 anos
John Le Carré: “O Brexit é a maior idiotice já perpetrada pelo Reino Unido”

RIMBAUD




domenica 13 dicembre 2020

Poe / Il gatto nero



Edgar Allan Poe
Il gatto nero



Per il più folle e insieme più semplice racconto che mi accingo a scrivere, non mi aspetto né sollecito credito alcuno. Sarei matto ad aspettarmelo in caso in cui i miei stessi sensi respingono quanto hanno direttamente sperimentato. Matto non sono e certamente non sto sognando, ma domani morirò e oggi voglio liberarmi l’anima. Il mio scopo immediato è quello di esporre al mondo pianamente e succintamente una serie di semplici eventi domestici, senza commentarli. Le loro conseguenze mi hanno terrorizzato, torturato, distrutto, ma non tenterò di spiegarli. Per me hanno significato nient’altro che orrore, ma per molti sembreranno meno terribili che barocchi. Si potrà, forse, trovare qualche intelletto che ridurrà il mio fantasma ad un luogo comune – qualche intelletto più calmo, più logico e molto meno eccitabile del mio che possa cogliere nelle circostanze che io evoco con timore, nient’altro che una normale successione di cause ed effetti naturalissimi.
Fin dal’infanzia ero noto per la docilità e l’umanità del mio carattere. Ero così tenero di cuore da diventare quasi lo zimbello dei miei compagni. Ero praticamente affezionato agli animali e i miei genitori mi concedevano di tenere una grande quantità di animaletti domestici. Con essi passavo gran parte del mio tempo e niente mi rendeva più felice del nutrire e carezzare le bestiole. Questa mia tendenza crebbe con gli anni ed anche quando divenni adulto trassi da essi il massimo diletto. Tutti coloro che hanno provato affetto per un cane fedele e intelligente comprendono facilmente la natura e l’intensità del mio piacere che se ne può trarre. C’è qualcosa, nell’amore disinteressato e capace di sacrifici di una bestiola, che va direttamente al cuore di chi ha avuto frequenti occasioni di mettere alla prova la gretta amicizia e l’evanescente fedeltà del semplice uomo.
Mi sposai presto e fui felice di trovare in mia moglie una disposizione analoga alla mia. Avendo notato la mia passione per gli animali domestici, non tralasciò occasione per procurarmene delle specie più gradevoli. Avevamo uccelli, pesci rossi, un grazioso cane, dei conigli, una scimmietta e un gatto.
Quest’ultimo era un animale grande e molto bello, tutto nero, e intelligente al massimo grado. Parlando della sua intelligenza mia moglie, non aliena da una certa superstizione, faceva frequenti allusioni all‘antica credenza popolare che vedeva i gatti neri come delle streghe travestite. Non che fosse una cosa seria per lei; del resto io ne parlo solo perché proprio ora me ne sono ricordato.
Plutone – questo è il nome del gatto – era il mio animale preferito ed il mio compagno di giochi. Solo io gli davo da mangiare, mi aspettava quando tornavo a casa e a fatica potevo impedire che mi seguisse nella strada.
La nostra amicizia durò così per molti anni, durante i quali il mio carattere ed i miei modi, per l’azione di una diabolica intemperanza subirono (arrossisco nel dirlo) una radicale trasformazione in peggio. Divenni giorno dopo giorno più strambo, irritabile, meno rispettoso dei sentimenti altrui. Mi permisi di usare un linguaggio irriguardoso con mia moglie; alla fine arrivai con lei alla violenza. Le mie bestiole sentirono senz’altro il cambiamento dei miei modi. Non solo li trascuravo, ma li maltrattavo. Per Plutone, tuttavia, avevo ancora un certo riguardo che mi impediva di maltrattarlo, mentre non mi facevo scrupolo a maltrattare i conigli, la scimmietta e perfino il cane, quando per caso o per affetto attraversava la mia strada. Ma il mio malessere cresceva – che razza di malattia è l’Alcool! – ed alla fine anche Plutone, ora divenuto vecchio e conseguentemente un po’ irritabile – persino Plutone, cominciò a provare gli effetti del peggioramento del mio carattere.

Una notte, tornando a casa ubriaco fradicio, da uno dei miei soliti giri per le bettole della città, mi sembrò che il gatto evitasse la mia presenza. Lo afferrai e quello, impaurito dalla mia violenza, mi fece con i denti una piccola ferita sulla mano. La furia di un demonio si impossessò di me rendendomi irriconoscibile perfino a me stesso. Mi sembrò che la mia anima originale fosse volata via dal mio corpo ed una cattiveria feroce, alimentata dal gin, invase tutte le fibre del mio corpo. Presi dalla tasca un temperino, lo aprii, strinsi la povera bestiola alla gola e deliberatamente gli cavai un occhio dall’orbita! Arrossisco, brucio, rabbrividisco nello scrivere di questa dannata atrocità.
Quando mi tornò la ragione al mattino – sbolliti nel sonno i fumi dell’orgia notturna – provai un senso per metà di orrore e per metà di rimorso per il crimine che avevo commesso; ma fu solo un sentimento superficiale ed equivoco, l’anima non ne fu toccata. Mi tuffai di nuovo negli eccessi ed affogai nel vino tutti i ricordi del fatto.
Frattanto il gatto lentamente si era ripreso; l’orbita vuota dell’occhio aveva aveva un aspetto pauroso, ma sembrava che egli non sentisse più dolore. Girava come sempre per casa ma, come era facile attendersi, filava via atterrito appena mi avvicinavo. Mi era rimasto abbastanza del mio vecchio cuore da provare un certo dolore per l’evidente antipatia da parte della creatura che una volta mi aveva amato. Questo sentimento si trasformò presto in irritazione e infine, come un irrevocabile ribaltamento, comparve lo spirito della PERVERSITA’. Di quello spirito la filosofia non tiene conto; ma io non sono tanto sicuro dell’esistenza della mia anima, quanto lo sono del fatto che questa forma di malvagità perversa è uno degli impulsi primordiali del cuore umano – una di quelle inscindibili facoltà primarie, o sentimenti, che governano il carattere dell’Uomo. Chi non si è trovato centinaia di volte a compiere un’azione vile o stupida, per nessuna altra ragione di quella che non doveva farlo? Non abbiamo migliori intendimenti, quella che è la Legge, soltanto perché comprendiamo che di questa si tratta? Questo spirito di perversità causò la mia completa rovina. Fu questa insondabile propensione dell’anima a torturare se stessa – a fare violenza alla propria natura – a compiere il male per il piace di farlo – che mi spinse a continuare e portare a termine l’offesa che avevo inflitto all’inoffensiva natura bestiola.
Una mattina, a sangue freddo, feci scorrere un cappio intorno al suo collo e l’impiccai al ramo di un albero; l’impiccai mentre le lacrime mi cadevano dagli occhi ed il più atroce rimorso tormentava il mio cuore. L’impiccai perché sapevo che mi aveva amato e perché non mi aveva dato alcun motivo di sentirmi offeso – l’impiccai perché sapevo che così facendo commettevo un peccato – un peccato mortale che avrebbe messo in pericolo la mia anima immortale così da porla – se ciò fosse possibile – al di fori persino dalla portata della infinita misericordia del Dio Più Misericordioso e Terribile.
Nella notte che seguì al giorno in cui avevo compiuto quella crudele azione, fu svegliato dal grido <<Al fuoco>>. Le cortine del mio letto erano in fiamme, l’intera casa bruciava. Con grande difficoltà mia moglie, una serva e io stesso riuscimmo a sfuggire all’incendio. La distruzione fu così completa che tutto il mio patrimonio venne divorato dalle fiamme e da allora mi ritrovai ridotto alla disperazione. Non ho la debolezza di cercare di stabilire un nesso di causa ed effetto, tra il disastro e le atrocità commesse, ma sto descrivendo una sequela di fatti e non voglio tralasciare alcun legame tra di loro. Il giorno successivo all’incendio andai a vedere le rovine. Le pareti, con una sola eccezione, erano crollate. L’eccezione era costituita da una parete divisoria, posta all’incirca al centro della casa, contro la quale prima dell’incendio era stata appoggiata la testa del mio letto. L’intonaco aveva qui resistito, in larga misura, all’azione del fuoco – un fatto che attribuii alla circostanza che era stato rifatto da poco. Di fronte a questa parete si era radunata una densa folla e molte persone sembrava stessero esaminando con grande attenzione una particolare zona di essa. Le parole <<Strano!>> <<Singolare!>> ed altre espressioni simili eccitano la mia curiosità. Mi avvicinai e vidi, come scolpita in bassorilievo sulla parete bianca la figura di un gigantesco gatto. L’immagine era di una esattezza sorprendente. Attorno al collo dell’animale c’era una corda.
Quando vidi la prima volta questa apparizione – non posso classificarla diversamente – la mia meraviglia e il mio terrore furono enormi; ma successivamente la riflessione mi venne in aiuto. Ricordai che il gatto era stato impiccato in un giardino adiacente alla casa. Dopo l’allarme per l’incendio, quel giardino si era immediatamente riempito di folla – qualcuno doveva aver staccato l’animale dall’albero e averlo lanciato, attraverso una finestra aperta, dentro la mia camera. Questo gesto era stato compiuto probabilmente con l’intento di svegliarmi. La caduta delle altre pareti aveva compresso la vittima della mia crudeltà dentro l’intonaco ancora fresco, la cui calce con le fiamme e l’ammoniaca della carcassa, aveva poi composto l’immagine come la vedevo.
Sebbene io spiegassi così alla ragione, se non completamente alla coscienza, l’evento che ho illustrano, esso non mancò di impressionare profondamente la mia fantasia. Per mesi non riuscii a liberarmi del fantasma del gatto durante tale periodo affiorò nel mio animo un mezzo sentimento che sembrava ma non era rimorso. Arrivai a dolermi a tal punto della perdita dell’animale da mettermi a cercare, nei ritrovi malfamati che ora frequentavo abitualmente, un’altra bestiola della stessa specie ed in qualche modo simile all’aspetto, in grado di prendere il posto.
Una notte, mentre giacevo in una taverna più che malfamata, mezzo intontito, la mia attenzione fu attratta all’improvviso da qualcosa di nero che riposava sulla sommità di una delle enormi botti di gin e di rum, che costituivano l’arredamento principale del locale. Stavo guardando da molto tempo e, con mia sorpresa, non riuscivo a capire di che cosa si trattasse. Mi avvicinai a toccarlo con la mano. Si trattava di un gattone nero, della stessa taglia di Plutone, somigliante a lui sotto ogni aspetto, ad eccezione di uno. Plutone non aveva un solo pelo bianco in tutto il mantello, mentre questo gatto aveva una macchia bianca di contorno indefinito che gli copriva quasi interamente il petto.
Appena lo ebbi toccato, si alzò immediatamente, fece le fusa, si strofinò alla mia mano, felice del mi interessamento. Era proprio la creatura che stavo cercando, quindi proposi al padrone del locale di comprarlo: ma questi non ne rivendicò il possesso – non lo conosceva affatto – non l’aveva mai visto prima. Continuai ad accarezzarlo e quando mi apprestai a tornare a casa, l’animale mostrò l’intenzione di accompagnarmi, glielo permisi ed ogni tanto lungo la via mi mettevo ad accarezzarlo. Quando giunse a casa si trovò subito a suo agio e divenne immediatamente il beniamino di mia moglie.
Da parte mia, invece, sentii subito sorgere dentro di me una cupa antipatia per l’animale. Era proprio il contrario di quello che avevo previsto, ma – non so come e perché – la sua evidente predilezione per me, mi procurava piuttosto fastidio e disgusto. Poi, piano piano, l’avversione ed il fastidio sfociarono nell’amarezza dell’odio. Evitavo l’animale, ma un certo senso di vergogna e il ricordo del mio precedente atto di crudeltà, mi impedivano di maltrattarlo. Per molte settimane non lo picchiai né gli usai altre forme di violenza ma, gradualmente, arrivai a guardarlo con insopprimibile ripugnanza e a sfuggire la sua odiosa presenza come la peste.
Quello che, senza dubbio, aumentò il mio odio per la bestia, fu la scoperta, fatta il mattino dopo il suo arrivo in casa, che anche lui era privo di un occhio come Plutone. Questa circostanza lo rese, invece, più caro a mia moglie, che, come ho già detto, possedeva in alto grado quell’umanità di sentimenti che una colta erano una mia peculiare caratteristica nonché la fonte dei miei più semplici e più puri piaceri.
Ma la predilezione del gatto nei miei confronti sembrava crescere con la mia avversione. Seguiva ogni mio passo con una tenacia che è difficile far comprendere al lettore. Quando sedevo, si accucciava sotto la mia sedia o saltava sulle mie ginocchia coprendomi di odiose moine. Se mi alzavo, mi si metteva tra i piedi a rischio di farmi cadere o piantava i suoi lunghi aguzzi artigli nella mie vesti per arrampicarmisi sul petto. Mi veniva allora voglia di distruggerlo con un colpo, ma mi tratteneva dal farlo il ricordo del mio precedente delitto e ancor di più – lasciatemelo confessare – il cieco terrore che mi ispirava la bestia.
Non era esattamente un terrore fisico, anche se ho difficoltà a definirlo diversamente. Quasi mi vergogno a confessare – sì anche in questa cella di delinquenti, quasi mi vergogno a confessare – che il terrore e l’orrore che l’animale mi ispirava è stato alimentato da una specie di chimera tra le più difficili da concepire. Mia moglie aveva richiamato la mia attenzione, più di una volta, sulla conformazione della macchia bianca, della quale vi ho parlato, e che costituiva la sola visibile differenza tra questa strana bestia e quella che avevo distrutto. Il lettore ricorderà che questa era così grande, ma aveva originariamente contorni indefiniti. Ora a grado a grado, quasi impercettibilmente, anche se la mia ragione si sforzava di respingere la cosa come assolutamente fantastica, la macchia aveva finito per assumere una forma ben precisa e distinta. Essa era la precisa rappresentazione di un oggetto che rabbrividisco solo a nominare – e per questo, soprattutto, avevo ripugnanza e paura del mostro, del quale avrei voluto liberarmi se ne avessi avuto il coraggio – era adesso, dico, l’immagine di una cosa orribile, spaventosa, la FORCA – oh! la lugubre, terribile macchina dell’Orrore e del Crimini, dell’Agonia e della Morte!
E ora io ero veramente misero al di là della peggiore miseria dell’Umanità. Una bestia bruta – quella della quale avevo sprezzantemente distrutto il compagno – una bestia bruta causava in me – a me, uomo creato a immagine e somiglianza d’Iddio – un così insopportabile dolore! Ahimè! Né di giorno, né di notte ebbi più il conforto del riposo! Durante il giorno la creatura non mi lasciava solo un istante, e durante la notte, ad ogni ora, mi destavo da sogni di inesprimibile orrore, per trovarmi il fiato caldo della cosa sul volto ed il suo enorme peso – come di un fantasma notturno incarnato che non ero in grado di scrollare via – eternamente incombente nel cuore.
Sotto la pressione di tali tormenti, quel poco di buono che c’era ancora in me scomparve del tutto. Pensieri malvagi, i più neri e i più malvagi dei pensieri, divennero i miei soli padroni. La rudezza abituale del mio carattere divenne odio per tutte le cose, per tutta l’umanità, così che degli improvvisi, frequenti e incontrollabili scoppi di furia alla quale ciecamente mi abbandonavo, divenne vittima sempre più frequentemente, ahimè! la mia povera moglie, che, paziente, sopportava tutto senza lamenti.
Un giorno ella mi accompagnò, per una qualche faccenda domestica da sbrigare, nella cantina del vecchio edificio nel quale la nostra povertà ci costringeva ad abitare ed il gatto, seguendomi giù per la scala, mi fece quasi ruzzolare a capofitto, irritandomi fino all’esasperazione. Afferrata un’ascia, dimenticando, nella mia furia, la paura infantile che aveva sempre trattenuto la mia mano, vibrai all’animale un colpo che, se fosse disceso su di lui come volevo, sarebbe stato mortale. Ma il colpo venne fermato dalla mano di mia moglie. Il suo intervento mi trascinò in una furia ancora più demoniaca; svincolai il braccio dalla sua stretta e le affondai la scure nel cervello. Ella cadde senza vita sul posto senza emettere un lamento.
Compiuto l’orrendo delitto, mi accinsi con grande determinazione al compito di nascondere il corpo. Sapevo di non poterlo rimuovere dall’edificio, né di giorno né di notte, senza correre il rischio di essere scorto dai vicini. Mi vennero in mente tanti progetti. Per un momento pensai di tagliare il corpo in tanti pezzi e di distruggerlo con il fuoco, poi di scavare una fossa nel pavimento e seppellirvelo, e camuffandola come se contenesse della merce e incaricando poi un facchino di portarla via. Infine scelsi quello che mi sembrò l’espediente migliore tra tutti quelli pensati. Decisi di murare il cadavere in una parete della cantina, come si legge facessero i monaci del Medio-Evo con le loro vittime.
La cantina sembrava particolarmente adatta a tale scopo. Le sue pareti erano state costruite alla buona e intonacate da poco con una malta grossolana che non si era indurita per effetto dell’umidità dell’ambiente. Inoltre in una selle pareti c’era una sporgenza dovuta forse a un falso caminetto o focolare, che era poi stato riempito e reso somigliante al resto della cantina. Non avevo dubbi di poter estrarre facilmente i mattoni, inserire il cadavere, e murare di nuovo in modo che nessuno potesse mai scoprire qualcosa di sospetto. Non avevo sbagliato i calcoli. Rimossi con una leva i mattoni, deposi poi con cura il corpo puntellandolo contro la parete interna e con poca fatica ricostruii la struttura del muro tale e quale era prima. Mi procurai calce e sabbia e con ogni possibile precauzione preparai un intonaco che non poteva assolutamente essere distinto dal vecchio e lo distesi con ogni cura sulla nuova parete di mattoni. Alla fine fui molto soddisfatto del lavoro. Tutto quadrava, la parete non presentava la minima traccia di manomissione. Asportai con la massima attenzione tutti i detriti dal pavimento e mi guardai intorno trionfante, dicendomi:<<Qui almeno il mio lavoro non è stato inutile>>.
Il mio successivo atto fu quello di ricercare la bestia che era stata causa di tanto grave sciagura, perché avevo deciso di metterla a morte. Se ci fossi riuscito in quel momento, non vi sarebbe stato alcun dubbio sulla sua sorte; e invece l’astuto animale, allarmato dalla violenza della mia collera, evitò di comparirmi davanti. È impossibile descrivere il profondo senso di sollievo che mi pervase per l’assenza della odiata creatura. Non si fece vivo neanche durante la notte e quindi almeno per una volta, da quando si era introdotto in casa mia, dormii profondamente e tranquillamente; sì dormii perfino col peso del delitto sulla coscienza!
Passarono il secondo e il terzo giorno senza che il mio tormentatore tornasse. Respiravo di nuovo come un uomo libero. Il mostro, terrorizzato, era fuggito via per sempre e non lo avrei più visto! La mia felicità era al culmine! La colpa del mio tenebroso misfatto non mi turbava più tanto. Mi avevano rivolto domande alle quali avevo risposto con disinvoltura. Perfino le indagini avviate, non avevano dato alcun esito ed io guardavo ormai con sicurezza alla mia futura felicità.
Il quarto giorno dopo l’assassinio, una squadra della polizia irruppe inaspettatamente nella mia casa per eseguire una rigorosa ispezione. Ciò nonostante mi sentivo sicuro del nascondiglio scelto e non mostrai il benché minimo imbarazzo. Gli agenti chiesero che li accompagnassi nella loro ispezione, che non lasciò inesplorato né un angolo né un cantuccio. Alla fine discesero per la terza o la quarta volta nella cantina. Non un muscolo mi tremò; il mio cuore batteva calmo come quello di chi dorme innocente. Passeggiavo su e giù per la cantina, le braccia incrociate sul petto, aggirandomi qua e là. I poliziotti si mostravano del tutto soddisfatti e si preparavano ad andarsene. La gioia che mi riempiva il cuore era troppo intensa perché potessi trattenermela dentro. Bruciavo dal desiderio di dire qualcosa, di trionfare, ed anche di rendere ancora più marcata la loro convinzione della mia innocenza.
<<Signori>>, dissi alla fine mentre la squadra saliva le scale, <<sono lieto di aver dileguato i vostri sospetti. Vi auguro buona salute ed un po’ più di cortesia. Tra l’altro, signori, questa – questa è proprio una casa ben costruita>>. In preda alla voglia matta di dir qualcosa, non mi rendevo conto di quanto andavo blaterando… <<Posso dire che questa è una casa costruita in modo eccellente. Queste pareti – ve ne andate, Signori? – queste pareti sono costruite solidamente>>. E qui, in un eccesso di spavalderia, colpii pesantemente con un bastone che avevo in mano proprio il tratto di muro dietro il quale era celato il cadavere della sposa del mio cuore.
Possa mai Iddio proteggermi e liberarmi dalla zanna dell’arcidiavolo! – non si era ancora spenta l’eco del mio colpo di bastone, che una voce rispose all’interno della tomba! – con un lamento, dapprima smorzato e rotto, come il pianto di un bambino, salito poi rapidamente ad un lungo, intenso, continuo urlo, assolutamente inumano, bestiale, – un ululato – un grido sconvolgente, per metà di orrore per metà di trionfo, quale avrebbe potuto venire solo dall’inferno, unitamente dalle gole dei dannati nella loro agonia e dei demoni esultanti nella dannazione.
Di quello che mi passo per la testa, sarebbe assurdo parlare. Sentendomi svenire, mi appoggiai alla parete opposta. Per un attimo i poliziotti rimasero immobili, in preda ad una sorta di irrazionale terrore. Subito dopo una dozzina di robuste braccia presero a demolire la parete, che cadde tutta insieme. Il cadavere, in avanzato stato di decomposizione, intriso di sangue rappreso, davanti agli occhio degli spettatori. Sulla sua testa, con la rossa bocca spalancata, con l’unico occhio di fuoco, stava l’orrenda bestia la cui astuzia mi aveva portato al delitto e la cui voce rivelatrice mi aveva consegnato al boia. Avevo murato il mostro dentro la tomba.