mercoledì 28 marzo 2018

Addio alla grande attrice francese Stéphane Audran

Stéphan Audran

Addio alla grande attrice francese Stéphane Audran






28 marzo 2018 -
Daniela Catelli

L'attrice francese Stéphane Audran, per tantissimi anni moglie e musa di Claude Chabrol, è morta martedì 27 marzo, dopo una lunga malattia. A comunicarlo è stato il figlio Thomas Chabrol, aggiungendo che la madre, 85 anni, era malata da tempo.
Nata a Versailles col nome di Colette Dacheville l'8 novembre 1932, aveva iniziato a recitare a teatro negli anni Cinquanta, ottenendo piccoli ruoli sulla fine del decennio nei film della neonata Nouvelle Vague. Dal 1954 al 1956 era stata sposata col collega Jean-Louis Trintignant, conosciuto quando entrambi studiavano recitazione con Charles Dullin.
Nel 1959, ammirata da Le Beau Serge, film di debutto di Claude Chabrol, chiede all'attore Gérard Blain di presentarle il regista, che le dà un piccolissimo ruolo in I cugini, del 1959, dove pronuncia un'unica battuta "Paul, è tuo cugino". Ma poco dopo le riprese i due iniziano una relazione e si sposano nel 1960. Il loro matrimonio durerà fino al 1980 e produrrà 24 film, un tv movie, un episodio di una serie tv e un figlio.

Nella loro lunga collaborazione spiccano titoli come lo "scandaloso" Les biches, al fianco dell'ex marito Jean-Louis Trintignant, per cui vince l'Orso d'oro a Berlino, Stephane - Una moglie infedeleIl tagliagoleL'amico di famiglia e Violette Nozière, per cui vince il César come miglior attrice non protagonista. In molti film degli anni Settanta diretta da Chabrol interpreta un personaggio di nome Hélène.

Bella, alta, elegante e altera, viene scritturata anche da Luis Buñuel ne Il fascino discreto della borghesia, premio Oscar come miglior film straniero, lavora con Samuel Fuller in Il Grande Uno Rosso e con Bertrand Tavernier in Colpo di spugna e nel 1987 interpreta Il pranzo di Babette, altro film premio Oscar, per cui vince numerosi premi, incluso il Nastro d'argento.
Oltre 100 i titoli della sua filmografia. La ritroveremo giovane sul grande schermo nel film di Orson Welles L'altra faccia del vento, girato nel 1972 e (forse) di prossima uscita, grazie ai finanziamenti di Netflix e al montaggio di Bob Murawski.



lunedì 26 marzo 2018

Alessandra Chiara Mansueto / Susanna e l'acaro / Come trovare una nuova casa?

Susanna la streghetta

Susanna e l'acaro

Come trovare una nuova casa?

23 NOVEMBRE 2015, 
ALESSANDRA CHIARA MANSUETO

La streghetta Susanna viaggiava nel cielo stellato. In radio passavano Mr. Q di Jolin Tsai, e Susanna s’agitava sulla scopa volante sparando parole inventate. La sua voce avrebbe stregato chiunque, perché era very very sexy (almeno così pensava Susanna). Ma nel suo cuore di streghetta rimbombavano frasi moleste: Che farò? Dove andrò? Sono tutta sola. E Susanna cantava, cantava, cantava, e le stelle si raccoglievano piangenti attorno alla luna chiedendo tappi per le orecchie.
Un acaro della polvere, portato dalla brezza estiva, si posò sulla spalla di Susanna: “Sono salvo…” ansimò.

“Va’ via brutto acaro,” borbottò Susanna.
“Signorina strega, lei canta davvero bene,” s’affrettò a dire il piccolo acaro.
Susanna alzò un sopracciglio: “Lo pensi davvero?”.
“Certo,” sorrise l’acaro (mentalmente, perché gli acari non hanno i muscoli facciali).
“Comunque io sono allergica agli acari, quindi non toccarmi la pelle.”
“Va bene, m’aggrapperò forte forte alla tua camicetta.”
“Dove sei diretto?”
“Non saprei. Stamattina vivevo sotto un bellissimo letto polveroso, ma la mia casa è stata letteralmente spazzata via.”
“Io sono stata mandata via da casa perché non c’era lavoro! M’hanno detto di trovare un altro paese in cui fare la strega! Vuoi giocare a chi è il più sfigato?”
“No grazie, sei tu la più sfigata, io non sono uno sfigato, mai stato uno sfigato.”
“Brutto acaro!” strillò Susanna, e scoppiò a piangere.
La spalla di Susanna era scossa da fremiti, e il piccolo acaro per poco non cadde: “Smettila!” gridò spaventato. Ma Susanna piangeva sempre più forte, allora l’acaro scivolò sul suo braccio e la morse. Susanna si fermò un attimo, con le lacrime negli occhi: “Ahi,” disse. E poi: “Maledetto! Mi hai morso!”.
“Non è vero, ti ho dato un bacino,” affermò l’acaro mentre una microscopica bollicina rossa prendeva forma sulla pelle di Susanna.
“Sono allergica! Maledetto!”
“Ti ho dato solo un bacino!” pianse il piccolo acaro aggrappandosi di nuovo alla camicetta per non farsi sfrattare.
Susanna non sapeva che mordendola l’acaro l’aveva incantata: le sarebbe stato molto difficile liberarsi di lui.

Susanna e il piccolo acaro viaggiarono tutta la notte tra un battibecco e l’altro. Se il piccolo acaro voleva andare in Australia, Susanna d’improvviso detestava l’Australia, e se Susanna voleva andare in Russia, il piccolo acaro d’improvviso detestava la Russia. Così continuarono a volare anche il giorno dopo, e la notte dopo, e il giorno dopo, e la notte dopo, scartando tutti i paesi. Passarono settimane, mesi, forse anni. Scendevano ogni tanto per fare rifornimenti e andare in bagno.
“Mi piace vivere in nessun luogo,” ammise una sera il piccolo acaro mentre mangiava un po’ di sporcizia. A Susanna venne paura: non aveva mai pensato, fino a quel momento, di vivere “in nessun luogo”. Aveva sempre volato nell’aria, ma per la prima volta si sentiva mancare la terra sotto i piedi: si rabbuiò e non rispose. Il piccolo acaro continuò: “Sarebbe bello se tutti gli umani avessero il tuo udito, così sentirebbero le voci di noi acari e non ci sterminerebbero a cuor leggero, anzi magari diventerebbero nostri amici. Tutti gli acari sarebbero felici come me.”

“Oh, niente affatto, siete così brutti che vi sterminerebbero allo stesso modo!” borbottò Susanna.
“Ma siamo così piccini che non possono nemmeno vedere il nostro aspetto...”
“Non sono mica stupidi! Hanno inventato i microscopi per guardarvi.”
Il piccolo acaro trattenne la rabbia abbassando le antennine tristi, si strinse su se stesso tutto crucciato e finì per addormentarsi sulla spalla di Susanna.
“Brutto acaro, che fai?” chiese Susanna preoccupata per l’improvviso silenzio. “Brutto acaro! Brutto acaro tutto bene? Hai sonno? Se hai sonno vai a dormire in tasca, che sulla spalla rischi di cadere,” continuava sbirciando l’acaro, ma si era fatto buio, e la luce lunare non le permetteva di capire dove fosse di preciso il piccolino. Poi scorse una pallina marroncina: con delicatezza la prese tra le dita, e stava per mettersela in tasca quando qualcosa cozzò contro la sua scopa.

Per l’urto le dita si chiusero, e la pallina sparì. La streghetta Susanna era sconvolta. Chi l’aveva tamponata era una ragazza su una scopa: “Scusami! Stai bene?” esclamò quella.

“No! No!” piangeva Susanna, “Dov’è il piccolo acaro?”.
“Di che parli?” le chiese la ragazza.
“Il piccolo acaro! Era tra le mie dita, ma tu mi sei venuta addosso e quelle si sono chiuse! L’ho schiacciato!”
“Che ci facevi con un acaro?”
“L’ho schiacciato! L’ho schiacciato!”
“Come fai ad essere sicura di averlo schiacciato se gli acari sono così piccoli che persino vederli è impossibile?”
“Io ho la super-vista da strega.”
“Anch’io sono una strega e ho visto tanta polvere in vita mia, ma mai un acaro.”
“A me pare davvero d’averlo visto, ci ho pure parlato.”
“Ma è impossibile sentire la voce di un acaro! Ammesso che gli acari sappiano parlare...”
“Mah, che strano.”
“Forse hai sentito il soffio del vento.”
“Può essere.”
“Comunque, come ti chiami?” chiese la ragazza.
“Susanna.”
“E che fai?”
“Cerco un paese dove praticare la mia professione di strega.”
“Io sono Lisa, come te cerco un posto di lavoro. Sono diretta in Germania dove ho uno zio a cui serve qualche bacchetta.”
Susanna improvvisamente dimenticò la sua indecisione riguardo la meta: “Posso venire con te?” chiese senza perdere un attimo.
“Sì, però dovrai farti un bel bagno prima di presentarti al colloquio di lavoro… sei piena di polvere.”
Susanna si rese conto, con grande stupore, di essere un po’ polverosa: “Certo,” sorrise gentile, e partirono.

Susanna dimenticò il piccolo acaro, tuttavia spesso si sorprendeva a non pulire sotto al letto… non voleva rischiare di spazzare via la casa di qualcuno! Per questo motivo spesso litigava con Lisa, che era allergica alla polvere.



WALL STREET INTERNATIONAL


Alessandra Chiara Mansueto
Alessandra Chiara Mansueto
Sono nata a Milano nel 1995. Racconto storie un po' pazze da sempre, il mio primo personaggio si chiamava Ponchio ed era un gatto cattivello (perdonatemi, ma avevo solo tre anni).
La mia passione mi ha portata a intraprendere studi classici, a pubblicare racconti già da qualche anno e a dedicarmi alla psicologia sociale e alla narrativa. Sto completando la mia prima raccolta di racconti. Punto forte: la fantasia.
Canto jazz e il mio sogno è di trovare un ragazzo che mi porti a ballare lo swing. Spero di vivere fino all'invenzione della macchina del tempo. Particolarità: parlo coreano.

mercoledì 21 marzo 2018

Edward Mac Claud si fa un'amica / Un’assurda serie di avvenimenti



Edward Mac Claud si fa un'amica

Un’assurda serie di avvenimenti

23 OTTOBRE 2015, 
ALESSANDRA CHIARA MANSUETO

Edward Mac Claud spiava la bella Eleonora nascosto dietro le foglie fitte della siepe. Non era un maniaco! No, era un licantropo innamorato con gli occhi sottili, bruni come la terra. Era pieno giorno e la notte di luna piena, appena finita, l’aveva lasciato con un mal di testa pazzesco, la memoria a brandelli e i vestiti peggio della memoria. Anche le mutande erano a pezzi, e non erano neppure delle belle mutande.
Ma Edward Mac Claud era sexy sempre e comunque, perché era alto due metri e aveva 150 chili di muscoli. La bella Eleonora coglieva le fragoline con le maniche della camicetta arrotolate sopra i gomiti candidi, canticchiando. Edward voleva approcciarla ma… come fare? Mentre era assorto nei suoi pensieri il cellulare di Eleonora squillò forte e petulante. Eleonora con uno scatto affondò la mano destra nella tasca dei pantaloncini e cominciò a pigiare veloce lo schermo, sorridendo. Anche Edward di riflesso si portò la mano alla tasca, dimenticando che era tragicamente scomparsa la notte prima con il suo prezioso contenuto. Il poverino si rabbuiò, ricordando che dopotutto lui era un ragazzo amante del fascino antico, del mistero e dell’eroica difficoltà a comunicare.
Eleonora non avrebbe dovuto sorridere a uno stupido schermo. Sentendosi tradito, Edward avrebbe voluto solo tornare a casa e giocare alla play. Ma non poteva. Non poteva perché era quasi nudo e convinto, se la memoria non l’ingannava, di aver lasciato qualche indumento da Eleonora la notte prima, salvandolo miracolosamente grazie alla sua capacità di dimenticare la roba in giro. La giacca e la sciarpa probabilmente… Meglio di niente no? Insomma Eddie era bloccato in questa situazione assurda e quasi gli veniva da piangere. Per un’oretta o due rimase dietro la siepe. Pensava: “Ora! E… ora!”. Ma non si muoveva di un millimetro.
Così Eleonora finì di raccogliere le fragoline e tornò in casa. Eddie, improvvisamente arrabbiato per la presunta indifferenza della bella ragazza, uscì dalla siepe e senza pensare si ritrovò a suonare il campanello. Ma non fu Eleonora ad aprire la porta, bensì la sua coinquilina: Marissa. Mentre Eddie tentava di coprirsi con le mani, Marissa passò da spaventata a divertita: "Tu sei di veterinaria vero? Che ti è successo?>" sorrise. <"Beh… " rispose Eddie grattandosi la testa. "Entra, ti do qualcosa da metterti addosso". Eddie si fece piccolo piccolo ed entrò in casa fissando il pavimento. Marissa gli portò una vecchia tuta slabbrata. "Grazie", biascicò Eddie tentando di indossarla, ma gli andava davvero piccola ed era molto ridicolo.
Marissa si sforzava di fare la faccia scura, ma non riusciva a smettere di sorridere: "Allora, che ti è successo?" chiese con uno sbuffo di risata. Eddie alzò le spalle: "Ho preso… una sbornia". "Una grossa sbornia eh?". "Esatto", rispose Eddie, "c’è Eleonora?. "Oh! Cercavi l’Ele allora! Te la chiamo. Eleeeeeeeee c’è un ragazzo per te". Eleonora sbucò da dietro la porta della sua camera e alla vista del ridicolo Eddie storse il naso. "Ho… lasciato qui la mia giacca… ieri?" chiese Eddie. "Ma chi sei?" rispose Eleonora. Lo stomaco di Eddie si contorse: "Oh, forse mi sono sbagliato". "Mi sa proprio di sì". "Allora vado".
Occhi bassi, grandi passi, Eddie marciava verso casa dandosi dell’idiota: avrebbe dovuto insistere, non farsi sbeffeggiare da una ragazzina! Aveva finto di non conoscerlo! Come si era permessa? Appena mise piede in casa si precipitò verso il frigorifero, afferrò della carne e strappò qualche morso selvaggio. Poi prese un piatto, ci mise la sanguinolenta leccornia, lo poggiò sul divano e con impeto si tolse la tuta, gettandola sul pavimento. Allora si buttò a sua volta sul divano, si arrotolò in un plaid e accese la televisione. Tranquillizzato da tale comfort poté finalmente riprendere a sbranare la bistecca cruda in modo poco carino.
Il giorno dopo, a lezione, Eddie aveva paura. Non sapeva nemmeno lui come aveva osato uscire di casa. Aveva l’impressione che tutti lo guardassero storto o l’ignorassero. Si era appena trasferito per l’università. Nuova città, nuove persone: sperava che sarebbe stato diverso rispetto al liceo, che avrebbe avuto una vita piena di amicizia e tenerezza... Inizialmente non era andata male, ma la notte della prima festa universitaria era arrivata lei: la luna piena. Eddie, preso dall’euforia di una nuova vita, non ci aveva fatto caso. Prima di andare alla festa era stato a casa di Eleonora: questo, aveva deciso, era certo. Con lei e qualche altro ragazzo era andato alla festa, e poi i ricordi si incasinavano. Aveva bevuto qualcosa, dopo di che doveva essersi trasformato. E chissà che aveva combinato, chissà se si era fatto beccare. Provò a salutare qualche amico conosciuto nei giorni precedenti, e gli rispondevano, certo, ma senza grande entusiasmo. Forse si immaginava di essere odiato da tutti, o forse era vero. Sentiva il pavimento crollargli sotto ai piedi, e i muri sulla testa. Aveva quella strana sensazione di non potersi guardare attorno, come se una forza invisibile gli stringesse lo stomaco e restringesse lo sguardo. Un vuoto di terrore si faceva spazio dentro di lui.
Con le lacrime che spingevano sulla parete invisibile dei suoi occhi tornò a casa. Accasciato sul divano aveva il terrore di accendere la televisione. Non voleva scoprire di aver ucciso qualcuno. Per tre giorni restò così, come morto. Non mangiò, non bevve. Aveva paura di respirare. Nessuno lo cercava: un’altra prova d’odio da parte dell’umanità.
Eddie si svegliò di soprassalto. Si sentiva strano, gelido. E aveva sete… sete di sangue. Mise a fuoco il viso di sua madre, che l’osservava apprensiva: "Mamma?" biascicò. "Tesoro... " sorrise lei, "come ti senti?"

"Un po’ strano. Perché sei qui?"
"Sono venuta a trovarti, ero preoccupata, sai che non mi piace l’idea di te che vivi da solo… "
"Non ci posso credere! Cosa devo fare per liberarmi di te? Vattene cazzo! Quando ti fiderai di me? Lasciami vivere la mia vita!"
"Non fare così… Se non ci fossi stata io saresti morto".
"Cosa?"
"Ti ho trovato sul divano in fin di vita e ti ho trasformato".
"Non ho capito", disse Eddie temendo di aver capito benissimo.
"Ti ho trasformato in un vampiro".

Gli occhi di Eddie si dilatarono, il viso si storse in una smorfia di disperazione. Prese la madre per le spalle affondando le unghie nella sua carne: "Che hai fatto?!" ringhiò.

"Respiravi piano… Eri troppo pallido… Mi sono spaventata ok? Ti ho trasformato prima che morissi".
"Non ci posso credere! Non mangiavo da qualche giorno! Quante volte l’ho fatto negli anni passati? Tantissime! Posso resistere settimane senza mangiare, sono un licantropo cazzo!"
"Sono andata nel panico, non vivi più con me e non sapevo da quanti giorni stessi così. L’ho fatto e basta. Ti ho salvato la vita".
"No tu mi hai rovinato la vita! Ora non solo sono licantropo, ma pure vampiro!"
"Non essere drammatico".
"Le lezioni sono di giorno, non posso più andarci. L’hai fatta grossa cazzo. Non ti perdonerò mai".
"Volevi continuare ad andare a lezione? Dopo quello che hai combinato? Hai divorato gli animaletti del centro di ricerca della tua facoltà durante l’ultima trasformazione".
Eddie si prese il viso tra le mani: "Questo è troppo", sibilò tra sé e sé.
"Stai tranquillo non sanno ancora che sei stato tu, ma se resti prima o poi ti scopriranno".
"Non mi frega se mi scoprono. E tu vattene".
"Senti a me non frega niente di te, mi hai proprio rotto le palle".
Continuarono a litigare finché la madre finalmente se ne andò, perché grazie a dio aveva da fare nella sua città.

Eddie dormiva tutto il giorno, mentre la notte usciva a caccia per bere sangue di animale. Passò dunque un mese di solitudine e noia pensando che avrebbe dovuto passare un’eternità di solitudine e noia. Arrivò così un’altra notte di luna piena. Questa volta Eddie si era preparato: andò nel bosco con una siringa piena di aconito, zolfo, aglio, rosa selvatica, biancospino, senape e verbena; tutte le sostanze che fanno male a licantropi e vampiri in un solo miscuglio. Guardando il cielo con gli occhi iniettati di sangue si conficcò l’ago nella carne. Subito provò un dolore inimmaginabile. Non riusciva neanche a capire se era ancora un ragazzo o si era trasformato in lupo, ma non gli importava. Non pensava a niente se non al dolore. All’apice dell’agonia svenne.
Aprì gli occhi e si ritrovò steso su una specie di brandina. Attorno a lui c’erano altri animali: due gatti, tre scoiattoli, un cucciolo di cinghiale, un istrice e un pettirosso. Eddie si alzò e aprì la porta della stanza, che dava su un corridoio. Percorrendo il corridoio arrivò in un salotto. Su un divano era stesa una ragazza, dormiva. Le tende erano chiuse e un orologio digitale dava le 8 del mattino, quindi Eddie non poteva uscire a causa del sole. Si sedette sull’altro divano e decise di aspettare.
Si svegliò con la ragazza che lo fissava: "Sei il lupo?" gli chiese lei appena vide che aveva gli occhi aperti. Eddie, preso alla sprovvista, diede la prima risposta ironica che gli passò per la testa: "No sono un vampiro". La ragazza senza battere ciglio aprì le tende. La luce colpì Eddie in pieno viso, il poverino si gettò dietro al divano con un urlo di dolore, la faccia insanguinata. "Scusa", disse la ragazza richiudendo le tende, "volevo togliermi il dubbio. Se avessi voluto bere il mio sangue l’avresti già fatto mentre dormivo, quindi non ti farò del male". E si avvicinò a Eddie: "Fammi vedere", gli scostò le mani dal viso. "Ci metto un po’ a guarire perché ho ancora in circolo le sostanze tossiche che mi sono iniettato ieri", biascicò Eddie, "ma starò bene".

"Io ho fatto quel che potevo stanotte, ma può essere che tu abbia ancora qualcosa nel corpo. Comunque dovresti guarire subito bevendo del sangue umano no?"
"Sì ma non voglio berlo, dicono che basti assaggiarlo per non poterne più fare a meno".
"Lo so, guardavo Vampire Diaries".
"Wow, allora sai tutto", commentò Eddie tra l’acido e l’ironico.
"Comunque tu sei anche il lupo di ieri notte", affermò la ragazza alzando le sopracciglia, "l’hai praticamente ammesso".
"Ormai non ho interesse a nasconderlo".
"Non ci posso credere, sia licantropo che vampiro. Misterioso e freddo come un vampiro, caldo e impulsivo come un licantropo. Sexy combo!" rise la ragazza rovesciando la testa all’indietro.
Edward nascose con una poker face il compiacimento provocatogli da questo commento: "E tu cosa sei? Perché raccogli gli animali ammalati nel bosco?"
"Io studio veterinaria, mi piace curare gli animali".

Eddie, grazie a un’assurda serie di avvenimenti, si era finalmente fatto un’amica.




Alessandra Chiara Mansueto
Sono nata a Milano nel 1995. Racconto storie un po' pazze da sempre, il mio primo personaggio si chiamava Ponchio ed era un gatto cattivello (perdonatemi, ma avevo solo tre anni).
La mia passione mi ha portata a intraprendere studi classici, a pubblicare racconti già da qualche anno e a dedicarmi alla psicologia sociale e alla narrativa. Sto completando la mia prima raccolta di racconti. Punto forte: la fantasia.
Canto jazz e il mio sogno è di trovare un ragazzo che mi porti a ballare lo swing. Spero di vivere fino all'invenzione della macchina del tempo. Particolarità: parlo coreano.