Tutti i Racconti
di Katherine Mansfield
KATHERINE E LE ALTRE
Sembrerebbe che le case editrici italiane più importanti - quelle che seguono il trend dei gusti nazionali - e sanno tastare il polso delle preferenze letterarie dei lettori, si siano "passata parola" con edizioni o riproposte dell'opera integrale o quasi delle "Tre Grandi" del mondo anglosassone. Si vede che - letterariamente parlando - c'è bisogno di un bagno di purezza intellettuale, necessità - da parte del fruitore del libro - di un ritorno a pagine che valgano e arricchiscano e nutrano profondamente l'interiorità di chi vi si accosta.
Abbiamo visto da poco Saggi, prose, racconti di Virginia Woolf (Pagg.1474 Lire 65.000), splendidamente curati da Nadia Fusini, per i Meridiani della Mondadori e Vita di Emily Dickinson - L'alfabeto dell'estasi (Pagg.192 Lire 25.000), che Barbara Lanati ha scritto con affettuosa intelligenza per la Feltrinelli; il "terzetto" si completa con Tutti i racconti di Katherine Mansfield (voll.2 Lire 51.000), che Adelphi ci fa conoscere, per la colta prefazione di Lucia Drudi Demby - nel primo volume - e con la nota introduttiva - nel secondo volume - dello scrittore e critico letterario John Middleton Murry, marito della Mansfield.
Da parte di chi ama l'opera di queste tre originalissime donne di penna, è inevitabile una rilettura quasi sinottica, un raffronto, atto a rendere più completa e recepibile nell'essenza la loro indiscussa valenza letteraria. Ci fa da esperta guida, in questa voglia di confronti, l'analisi acuta di Lucia Drudi Demby che sottolinea come siano scrittrici tutte e tre (la poetessa e le due prosatrici) di "segmenti del tempo", di "femminili "occasioni"".
Se la Dickinson (18830-1886) così essenziale, dotata di un cervello lucente quanto un diamante, aveva l'ablativa capacità di "limare l'occasione, fino a chiuderla per sempre nell'incastonatura del silenzio", la Woolf (1882-1941), la scrittrice simbolica del flusso della coscienza, della realtà frammentata, del monologo interiore, in linea con la sua tormentata personalità, "imboccava la strada dell'affanno, l'affanno della mente, il tempo precipitoso di una staffetta che si teme perdente in partenza, il balzo del daino incalzato dai cacciatori". La Mansfield (pseudonimo di Beauchamp, 1888-1923), invece "fa un fagotto di sé e si incammina ad affrontare direttamente i temi più usuali della donna: la gioia, gli affetti, l'amore". La sua occasione - a detta del critico - è "l'ansia" e, suo unico parafulmine, è "la coscienza del pericolo". Proprio per cautelarsi, dunque, la nostra neozelandese, inurbata in Inghilterra, scopre l'arma della "distanza". Ed è proprio questo suo apparente starsene alla finestra, senza lasciarsi coinvolgere, questa sua "maschera" che non si scolla mai dal volto e dall'animo - in quanto la difende dalla società che Katherine odia e teme (convinta che nessuno potesse comprenderla veramente: "Nessuno sa dove sei, nessuno ha la più vaga idea neppure di chi tu sia") - che rende ammirati e, nel contempo, diffidenti i suoi contemporanei, tanto che sia Lawrence che la Woolf la definirono "imperscrutabile". Sotto questo profilo, nell' intricato gioco delle parti, la Mansfield fu avvantaggiata, poiché a lei non sfuggì la vera essenza, il vero carattere di Virginia, la cui "innocenza" le apparve "turbata". Della Woolf, comunque, non amava gli snobismi, a suo avviso, nati dalla frequentazione del super elitario Bloomsbury, intellettuale e sofisticata cerchia di aristocratici del cervello.
Continuando il raffronto tra Virginia e Katherine (amiche-nemiche nella rivalità letteraria) non dobbiamo dimenticare che dietro la neozelandese stavano squallide stanze ammobiliate di alberghi e pensioni dove lei si era cucinate aringhe e uova sode sopra un fornelletto a gas - una bohème in nome dell'arte, una relazione e una convivenza con Murry, uomo che Virginia non gradiva, trovandolo estremamente volgare. Dietro Virginia stava invece un'esistenza ovattata e protetta, un marito devoto e una cerchia più che raffinata.
Nell'opera della Mansfield si ha la sensazione che la vita passi attraverso gli oggetti del suo quotidiano da lei minuziosamente descritti - alberi, cieli, conchiglie, scatolette preziose, frutta, fiori, cani, lampade rotonde e ceste gialle - tali da concentrare la felicità del vivere, anche nelle giornate più grigie, nelle più nere, quella che lei definì "la vita della vita". Non è mai sentimentale - nel senso svenevole della parola: il suo senso della memoria è anti-proustiano, poiché sa restituirci il passato senza filtri, mutandolo in fermo e puro presente; tutta la poesia e il miracolo del vivere sta - nella sua ottica letteraria - nell'esserci hic et nunc. È il qui e l'adesso quello che conta. Nei suoi racconti più complessi (Preludio; Alla baia; Il nido delle colombe), riuscì a dimenticare se stessa, realizzando un mirabile transfert con i personaggi descritti.
La Mansfield, pur portando il suo vissuto dentro la sua scrittura, riesce dunque a compiere un prodigioso balzo in avanti, ed è proprio nel primo volume di racconti, curato dalla Drudi Demby (Felicità-Garden Party) e forse più ancora nel secondo, prefato dal vedovo Murry (Il nido delle colombe. Qualcosa di infantile ma di molto naturale. Una pensione tedesca), che notiamo in maniera particolare il raro dono letterario di saper esprimere le "ambiguità del cuore" e che restiamo toccati dalla vibrante umanità e dallo sguardo ironico e pieno d'umorismo della giovanissima neozelandese, condannata dalla tisi e destinata - sulla scena letteraria del tempo - a dare una svolta alla letteratura mondiale assieme a James Joyce a D. H. Lawrence e a Virginia Woolf.
Grazia Giordani
Nessun commento:
Posta un commento