Édith Piaf |
Quando Édith Piaf diceva: «Mentre canto lascio la terra»
Cento anni fa, il 19 dicembre 1915, nasceva l'"usignolo" di Francia, una delle voci più belle del Novecento, intensa e venata di mille sfumature, una per ogni prova che le ha dato la vita
di Leda Balzarotti e Barbara Miccolupi
Anche l’Italia ricorderà “l’usignolo” di Francia con un concerto e una mostra al Teatro di Villa Torlonia, sabato 19 dicembre. A presentarle al pubblico dall’attore francese Philippe Leroy, per ripercorrere i grandi successi di Édith e la sua vita nella Parigi di inizio Novecento. Una biografia romanzesca, un’altalena di successi e dolori, amori, perdite, fallimenti e rinascite, e un solo punto fermo: la musica.
Provata nello spirito e nel fisico, Édith Piaf ha regalato la magia della sua voce fino all’ultimo, anche nelle esibizioni del 1961 all’Olympia, quando ombra di se stessa, curva e calva, poteva rinascere cantando Non, je ne regrette rien. La sua è la parabola dell’artista venuta dalla strada, dopo aver provato la miseria, la malattia e la precoce perdita di una figlia, faticando – esibizione dopo esibizione – prima di arrivare al successo con il sostegno e la collaborazione dell’impresario Raymond Asso e dominare la scena musicale degli anni ’30 a Parigi.
Generosa, grata alla vita per il riscatto che le ha concesso, ma fatalmente ingenua, Édith aiuterà molti colleghi ad affermarsi, senza poi ricevere in cambio la giusta riconoscenza: è il caso di un giovanissimo Yves Montand, primo vero amore della chanteuse, lanciato al successo con i duetti al Moulin Rouge e il brano C’est merveilleux, inciso insieme nel 1944. Svanito l’amore, Édith si riprende con la canzone La vie en rose, che sarà per sempre il suo cavallo di battaglia e diventerà l’inno francese di rinascita dalla guerra, mentre la sua voce fa innamorare anche il pubblico americano durante la tournée del 1946.
Sono anni d’oro per la fragile Édith, perché al successo si somma l’amore – questa volta ricambiato – per il pugile Marcel Cerdan, che è sposato e ha tre figli, ma per lei è disposto a voltare pagina; la felicità, però, è un’illusione, perché la sfortuna torna puntuale nella vita di Edith il 28 ottobre del 1949, quando l’aereo con cui Marcel la sta raggiungendo a Parigi precipita sulle Azzorre. La sera stessa della tragedia la triste chanteuse non rinuncerà a cantare e dedicherà al suo Marcel la splendida Hymne à l’amour, rifiutando gli applausi, perché come dirà lei stessa: «Questa sera canto per Marcel Cerdan, e solo per lui».
Mentre la sua voce e le sue canzoni continuano a stregare il mondo, Édith viene schiacciata dalla depressione, dai postumi di un incidente e dalla dipendenza sempre più forte da farmaci e morfina, ma non smette di esibirsi e regalare al pubblico esibizioni strepitose, seguite da memorabili standing ovation. Sono gli anni dei concerti all’Olympia di Parigi e alla Carnegie Hall di New York, di brani come Non, je ne regrette rien, Les amants d’un jour e Mon Dieu, oltre che di un nuovo ultimo amore con il giovane cantante Théo Sarapo. Un’ultima primavera, prima di spegnersi a soli 48 anni, consumata dall’abuso di farmaci e dalla cirrosi epatica.
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