mercoledì 13 aprile 2016

Uno sguardo al femminile su MiArt 2016 / Inaspettate meraviglie e potentissime verità

Renata Boero. Cronogramma, colori vegetali su tela marina, 1971



Uno sguardo al femminile su MiArt 2016

Inaspettate meraviglie e potentissime verità

GIOVANNA LACEDRA
13 APRILE 2016 

Quanta arte fatta dalle donne si può incontrare in una fiera? Lo scopriamo visitando la ventunesima edizione della Fiera Internazionale d’Arte Contemporanea milanese. Anche quest’anno, al Padiglione 3 di Fieramilanocity si è svolta MiArt, sotto la direzione artistica di Vincenzo De Bellis. Inaugurata il 7 aprile e aperta al pubblico dall’8 al 10 aprile, la fiera ha ospitato ben 154 gallerie internazionali provenienti da 16 differenti paesi.
Le sezioni in cui è stata suddivisa sono: Decades, percorso scandito per decadi lungo l’arte del Ventesimo Secolo, Established una selezione di 99 gallerie che hanno proposto sia artisti storicizzati che contemporanei, Then Now sezione in cui otto coppie di gallerie hanno messo in dialogo un artista storicizzato e uno contemporaneo, e infine Emergent, la sezione dedicata a giovani artisti, costituita da 16 gallerie. Non sono certo mancati i talk e gli eventi collaterali, come anche i premi e le acquisizioni.

Marina Abramovic. Rhythm, 1974, Galleria Diaframma Milano

La mia passeggiata tra gli stand è stata, però, finalizzata alla ricerca di nomi femminili. E devo dire che la maggior parte di quelli rilevati appartiene a una sfera già storicizzata, ovvero al momento storico più incandescente per quanto concerne il linguaggio femminile – intimo e politico –, tra performance e opere altamente concettuali: gli anni Settanta. Di artiste contemporanee o nuove proposte ne ho incontrate solo alcune. E “alcune”, a mio avviso, è ancora troppo poco. Naturalmente la selezione qui proposta è figlia di uno sguardo assolutamente personale.
Come un colpo d’occhio, all’ingresso del MiArt, lo stand della storica Galleria Lia Rumma, con sede a Milano e Napoli, spiccava con due gigantografie della celebre performer Marina Abramović occupanti un’intera parete. Si trattava di due frame video relativi alla performance Rhythm 4, realizzata per la prima volta in Italia nel 1974 presso la Galleria Diaframma di Luciano Inga Pin. Lia Rumma da sempre propone un folto numero di artiste, in parte storicizzate. E difatti, all’interno dello stand, un'altra stampa fotografica di grande formato, tratta dalla performance VB16.009 di Vanessa Beecroft, troneggiava su un’intera parete. Accanto a questa, un lavoro assai più recente: In the Country of last things di Marzia Migliora, opera presentata in occasione della sua mostra personale, svoltasi a febbraio presso lo spazio espositivo di via Stilicone a Milano, titolata Forza Lavoro e ispirata proprio a quel che resta, dunque al vissuto, del Palazzo del Lavoro di Torino, in cui erano presenti cinque impressioni ottenute da dispositivi a foro stenopeico costruiti dall’artista assemblando frammenti vari delle vite passate del palazzo e lasciate a impressionare per lungo tempo negli spazi dismessi.
Un’altra galleria milanese che ha proposto nomi femminili storicizzati è Raffaella Cortese, presente al MiArt con due lavori realizzati in gesso bianco su cartoncino nero di Joan Jonas, appartenenti alla sua performance Reanimation del 2014, e un’opera del 1988 di Barbara Bloom titolata Golden is a surface colour, corredata di alfabeto braille e micro testo. Sempre da Milano, la Prometeo Gallery di Ida Pisani ha, come spesso accade in fiera, posto l’accento sul lavoro di una delle più grandi performer viventi: Regina José Galindo. Artista di punta della galleria, Regina è stata presentata attraverso la proiezione video della sua performance Mazorca, un’azione che rimanda ai disastri della guerra in Guatemala, durante la quale erano stati rasi al suolo, tagliati e bruciati interi campi di mais. Durante la performance, realizzata nel novembre 2014, la Galindo appare immobile e integralmente nuda, nascosta in un campo di grano, mentre quattro uomini tagliano tutto il mais attorno a lei fino a scoprirla. A corredo del video, un fregio di foto in piccolo formato replica la sequenza cronologica delle azioni.

Valie Export. Smart Export, 1970

Da Napoli, la Galleria Antonio Artiaco ha invece presentato il lavoro di un’artista partenopea: Mathilda Balatresi. Si tratta di una singolare e forte installazione del 2013 in cui gli elementi in lamiera zincata e dai colori vividi, ben distribuiti sul pavimento, somigliavano a fiori dai petali schiusi. Il titolo di questo lavoro era Mine in fiore. E la dice lunga, perché è possibile che la bellezza sia in verità una trappola. È possibile che la meraviglia sia subdola e minacciosa. È possibile che anche fiori bellissimi nascondano mine.
La Galleria ligure Cardarelli e Fontana, di Sarzana, ha invece esposto un lavoro monumentale, sempre risalente agli anni Settanta, di Renata Boero: Cronogramma. Una tela marina gigante (cm 380x260), dipinta con colori vegetali, sulla quale correvano brevi frasi scritte in corsivo con della fusaggine. La Boero è un’artista genovese, cresciuta a contatto con Emilio Scanavino e divenuta poi un’arguta ricercatrice della tinta, più che del colore, ricavata da materie prime come radici, terra ed erbe.
Direttamente da Palermo, la galleria di Francesco Pantaleone ha coraggiosamente proposto qualche nome più giovane e più contemporaneo. Tra questi spicca quello di Liliana Moro – artista milanese già nota al pubblico per le sue installazioni sonore e opere ambientali spesso realizzate con materiali di recupero –, che ha presentato un’opera decisamente più sobria e concettuale: realizzata con luce al neon e supporto in ferro, si è trattato di una frase in corsivo accesa su una parete bianca, che diceva così: “Né in cielo né in terra”. Nessuna possibilità, dunque? Nessuna via d’uscita? Nessuna speranza e nessuna soluzione? O nessuna specularità a frantumare la frase biblica “Come in cielo così in terra”? L’altra artista esposta da Pantaleone si chiama Loredana Longo, è catanese e utilizza parallelamente il linguaggio della performance, dell’installazione, del video, e della scultura. In occasione del MiArt ha presentato un’opera scolpita in marmo bianco di Carrara: Victory. La vittoria in tutta la sua precarietà è stata già messa a dura prova, dal momento che si frantuma mentre s’impone.
Da Bologna, la P420 Art Gallery ha invece donato al pubblico un’altra gemma degli anni Settanta: l’artista concettuale tedesca Irma Blank, colei che fece del corpo stesso della scrittura strumento di conoscenza intuitiva, prelogica e di conseguenza espressiva, con le sue installazioni di pagine vergate a china e racchiuse in titaniche cornici. In mostra Trascrizioni del pensiero, composizione di 144 pagine, e Trascrizioni, della Critica, altro dittico monumentale (cm188x186) ugualmente realizzato a china su carta pergamenata.
Renate Berlamann. Deflorazione in 14 stazioni, 1977

Potente la collezione di opere fotografiche riguardanti le più grandi performer della storia dell’arte, presentata dalla Richard Saltoun Gallery di Londra. Da una composizione di 18 pezzi in bianco e nero del 1974 di Orlan nelle vesti di Santa o di Venere Botticelliana, ad Azione Sentimentale, forse la più celebre performance di Gina Pane, anch’essa realizzata nel 1974 presso la Galleria Diaframma di Milano. In esposizione anche Study for A Divertissement: Jo and Porcelain Cache-Sexe uno scatto a colori della performer britannica Rose English risalente al 1973 e una notevole composizione in bianco e nero di 14 scatti dell’artista viennese Renate Bertlmann titolata Deflorazione in 14 stazioni. Gli scatti della Bertlmann erano documentativi di una performance realizzata nel 1977 durante la Settimana Internazionale della Performance di Bologna, durante la quale l’artista aveva penetrato, con le dita rivestite di silicone, 14 fogli di carta. L’atto di rottura della carta replicava evidentemente l'atto sessuale, il primo, quello durante il quale una donna perde la verginità. Ancora, nello stand della Saulton Gallery, fotografie di Valie Export, Trisha Brown, Helena Almeda. Confesso che ho goduto!
Per finire, desidero segnalare un’interessantissima installazione di Judith Hopf, presentata dalla Galleria milanese Kaufmann Repetto: Endings. L’esaurimento delle possibilità di resistenza di un individuo, metaforicamente rappresentate da catene rigide e flessuose al contempo. Catene che da candidi piedistalli si innalzano, come cobra danzanti al suono di un flauto. Attenderò – attenderemo – la prossima fiera milanese, nella speranza che più spazio venga offerto all’arte femminile contemporanea, che è gravida di ogni inaspettata meraviglia e di potentissime verità: è seducente, intelligente, disarmante, lungimirante. Densa di contenuti e al contempo di poesia. Coraggio!

WSI


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