mercoledì 5 febbraio 2020

Morto George Steiner, ecco i motivi della sua intervista postuma


George Steiner

Morto George Steiner, ecco i motivi della sua intervista postuma

Il ricordo di un amico: era un grande oratore dal sapere enciclopedico, rilasciò un’intervista con l’accordo che sarebbe stata pubblicata solo dopo la sua morte


Di Nuccio Ordine
4 febbraio 2020 (modifica il 4 febbraio 2020 | 11:37)

«Il segreto di una buona vecchiaia non è altro che un patto onesto con la solitudine»: non ho potuto fare a meno di pensare a questa stupenda riflessione di Gabriel García Márquez quando ho appreso la notizia della scomparsa di George Steiner. Il 3 febbraio è deceduto verso le 14, per complicazioni causate da una febbre acuta, nella sua casa di Barrow Road a Cambridge. L’ultima volta ci eravamo sentiti sabato scorso per telefono e mi aveva confidato, con una voce molto roca, che «non ce la faceva più a sopportare la fatica della debolezza e della malattia». Così Steiner, uno dei più acuti e importanti critici letterari del Novecento, ha vissuto gli ultimi anni della sua vita lontano dai riflettori, dai media, da congressi e conferenze, da qualsiasi appuntamento pubblico. Immerso nelle sue letture, nell’esercizio quotidiano della traduzione e nell’ascolto della musica classica, George si è concesso solo ai suoi familiari e, raramente, a qualche amico più intimo.

Ho avuto il privilegio di frequentarlo anche in questa ultima fase di isolamento volontario. Dopo oltre vent’anni di incontri tra Parigi, l’Italia e altre città europee, le telefonate mensili e l’annuale visita a Cambridge erano ormai diventate un rito. Ma l’ultimo appuntamento programmato per il 14 giugno del 2018 non ha avuto seguito: il giorno prima George l’ha annullato, perché non si sentiva bene e non voleva mostrarsi affaticato e avvilito. Fu in uno di questi incontri (il 21 gennaio del 2014), che Steiner pensò di concedermi un’intervista postuma: raccogliere alcune sue riflessioni da rendere pubbliche solo all’indomani della sua scomparsa. Una maniera discreta per rompere il silenzio e congedarsi dai suoi amici, dai suoi studenti, dai suoi numerosi lettori. Su questo testo, poi, è ritornato anche lo scorso anno, modificando qui e là qualche parola e chiedendomi di riscrivere alcune frasi. Chissà nel 2050, quando sarà possibile studiare le centinaia di lettere «autobiografiche» ora sigillate nell’archivio del Churchill College di Cambridge, quanti aspetti sconosciuti della sua vita e del suo pensiero potranno venire alla luce!

Ora che non c’è più, oltre al profondo dolore per aver perso un caro amico e un vero maestro, avverto con maggiore evidenza le conseguenze di quel forzato silenzio e il vuoto incolmabile che lascia tra i difensori dei classici e della letteratura. Penso ai suoi libri, al suo sapere enciclopedico animato da una sorprendente curiositas. E penso, soprattutto, alla sua passione per l’insegnamento, alla sua capacità di condividere con gli studenti e con il pubblico l’amore per la letteratura e per la conoscenza. George non eccelleva solo nella parola scritta. Era anche un grande oratore: la sua elegante eloquenza, la sua voce suadente, la sua mimica cangiante, il suo sguardo accattivante erano capaci di infiammare studenti e colleghi. Non capita a tutti i critici un successo del genere. A volte l’entusiasmo suscitato da una pagina scritta può essere severamente frustrato dall’ascolto di una conferenza.

Steiner è sempre stato un critico atipico, capace di sfuggire alle facili classificazioni. Chi cerca di comprenderlo sotto un’unica etichetta rischia di essere smentito. Probabilmente, proprio questa inafferrabilità ha reso difficile qualsiasi semplificazione. Ma il gioco di contrapporre Steiner a Steiner non avrebbe senso se si perdesse la consapevolezza di un pensiero che non può fare a meno della provocazione e del paradosso. Sì: Steiner ha abitato la letteratura, l’ebraismo e la vita da ospite «ingrato» (riuso qui liberamente una celebre immagine fortiniana). «Ingrato» non perché sia stato incapace di esprimere gratitudine. Tutt’altro. «Ingrato» in un’accezione ben precisa: di colui che, pur essendo ospite, non rinuncia mai a dire la sua, a svelarsi «non grato» a chi, in nome dell’accoglienza offerta, non vuole ascoltare parole che inevitabilmente possono risultare sgradevoli o dolorose. Senza alcun rispetto per le convenzioni, invece, George ha detto ciò che molti non avrebbero voluto sentirsi dire. Proverò ad offrire solo un paio di esempi.

In Vere presenze e in Nessuna passione spenta si leggono pagine di straordinaria densità, di trascinante passione. La difesa dei classici viene condotta con argomentazioni taglienti, folgoranti, sferzanti, riponendo una grande fiducia nella loro funzione educativa. Ma nello stesso tempo, di fronte ai genocidi e ai milioni di morti provocati dalle guerre e dalle deportazioni nel Novecento, Steiner si è sempre chiesto come mai l’istruzione e la cultura non avessero avuto la forza di arginare questa disumanizzazione diffusa. E, soprattutto, come sia stato possibile per tanti raffinati intellettuali chiudere gli occhi o, addirittura, collaborare alla propagazione della barbarie.

Lo stesso discorso vale per l’istituzione dello Stato di Israele. La Shoah e la questione ebraica costituiscono uno dei nodi centrali della sua produzione saggistica: le commoventi pagine dedicate alla diaspora o le acute riflessioni sulle poesie di Celan lasciano il lettore senza fiato. Ma questa straordinaria partecipazione a uno dei drammi più spietati della storia non ha impedito a George di esprimere giudizi sferzanti sul sionismo e sui suoi effetti negativi.

Steiner, insomma, è sempre pronto a smentirci e a sorprenderci. A invitarci a cogliere nel paradosso e nella contraddizione la linfa vitale di ogni forma di conoscenza.

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