martedì 13 giugno 2023

Roland Barthes e l’amore ai tempi del Simposio

 

Roland Barthes


Roland Barthes e l’amore ai tempi del Simposio

di Alissa Piconcelli
Maggio 18, 2020

   Roland Barthes è uno scrittore, critico letterario e saggista francese (1915-1980). Tra le opere più importanti ricordiamo Il grado zero della scrittura (1953), Miti d’oggi (1957) e La camera chiusa (1980). Frammenti di un discorso amoroso fu pubblicato nel 1977 con l’intento di rappresentare un manuale per gli innamorati.  Al suo interno si trovano molti riferimenti ad altri libri di altri autori, come I dolori del giovane Werther di Goethe, il Simposio di Platone, riferimenti a Nietzsche e Freud. Barthes sostiene che l’amore si manifesti attraverso il linguaggio e di conseguenza la caratteristica principale dell’innamorato è quella di parlare di continuo del sentimento che prova ma il linguaggio non può afferrare un sentimento del genere e ciò fa risultare il modo di esprimersi insufficiente.

   Barthes prende in esame delle parole che fanno riferimento alla sfera amorosa e le commenta, aggiungendo riferimenti agli altri autori. Uno spazio particolarmente notevole è dedicato –  dato che si parla di amore era inevitabile –  al Simposio di Platone.

  Questo brano parla del vestiario del soggetto e del modo in cui si prepara per vedere il suo amato:

   “Socrate: <<mi sono fatto bello, per andare bello da un bello.>> Io devo rassomigliare a chi amo. Io postulo (ed è questo ciò che mi delizia) una conformità di essenza fra l’altro e me. Immagine, imitazione: faccio il miglior numero possibile di cose come l’altro. Io voglio essere l’altro, voglio che lui sia me, come se noi fossimo uniti, rinchiusi nel medesimo sacco di pelle, giacché il vestito non è altro che il liscio involucro di quella materia coalescente di cui il mio Immaginario amoroso è fatto”. La parola di questo capitolo è abito, che ha il compito di suscitare un ricordo o un’emozione tramite la ricordanza del vestito indossato dal soggetto in occasione dell’incontro amoroso per sedurre l’amato. Socrate si era preparato per andare a cena a casa di Agatone, invitato a celebrare una vittoria. A chi non è mai capitato di vestirsi bene per un’occasione importante, come un appuntamento con la persona che ci piace? L’atto di curare la propria immagine è istintiva poiché si tende ad “entrare nell’occhio” di colui che ci piace e se si riesce nell’impresa, il fatto di vestirsi bene diverrà un’azione automatica.

  Il brano seguente invece parla dell’importanza del capire ed essere capiti:

“Repressione; voglio analizzare, sapere, enunciare, in un linguaggio diverso dal mio; voglio raffigurare a me stesso il mio delirio, voglio “guardare in faccia” ciò che mi divide, mi taglia. Capite la vostra follia: tale era l’ordine di Zeus allorché comandò ad Apollo di torcere il viso degli Androgini divisi in due (come un uovo, una sorba) dalla parte del taglio (il ventre), affinché la vista del loro sezionamento li rendesse meno arroganti. Capire, non è forse scindere l’immagine, disfare l’io, organo supremo della disconoscenza?”. La parola del capitolo è capire e viene intesa come un momento di confusione senza trovare un modo per uscirne dove il soggetto pretende di voler capire che cosa gli sta succedendo. Ogni soggetto che ama ha sempre la paura di non riuscire a capire l’amato oppure ha paura di non sentirsi capito non solo da lui ma anche da se stesso. In un momento di attesa e confusione è normale non essere compresi e questo sentimento può portare all’allontanamento del soggetto da coloro che lo circondano.

   “Un uomo che ama, se fosse scoperto a commettere qualche bassezza o a subirla da un altro, sottomettendosi per viltà, non soffrirebbe così acerbamente se fosse visto dal padre o dagli amici o da chiunque altro, quanto se lo fosse da colui ch’egli ama.” Le parole sopra citate sono pronunciate da Fedro, anch’egli invitato a cena da Agatone. La parola chiave è colpe, dove il soggetto prova colpevolezza nei confronti dell’amato. Fedro vuole indicare che è peggio essere visti dall’amato, mentre si commette qualcosa di cui vergognarsi, rispetto che da un genitore. Quante volte può capitato al soggetto di colpevolizzarsi per qualcosa che potrebbe anche non aver fatto? Eppure viene d’istinto di auto colpevolizzarsi per qualcosa, come per esempio non aver ascoltato l’amato o non averlo considerato come esso magari si aspettava e non solo magari l’amato potrebbe aver subito qualcosa da qualche altra persona e il soggetto potrebbe pensare che sia colpa sua nonostante non abbia fatto niente.

   “Dunque, io soffrirò con l’altro, ma senza pesare, senza dannarmi. A questo comportamento, insieme molto affettivo e molto controllato, molto appassionato e molto civile, possiamo dare un nome: è la delicatezza: essa è in pratica la forma <<sana>> della compassione. (Ate è la dea del turbamento della mente, ma Platone parla della delicatezza di Ate: il suo piede è alato, esso tocca con leggerezza)”. Ate fa parte della mitologia greca e fu una dea cacciata dall’Olimpo (per colpa di Era che si era ingelosita della relazione tra Zeus e una donna mortale) poiché offuscò la mente di Zeus sulla decisione del comando su Argo, spettante al primo nascituro. La parola qui è compassione, ovvero ciò che il soggetto prova nei confronti dell’amato nel vederlo infelice. È un sentimento che rende umani, come l’empatia. (Umana cosa è aver compassione degli afflitti- Boccaccio). Spesso al soggetto non piace vedere l’amato in una situazione di tristezza e tenta per l’appunto di aiutarlo, al contrario al soggetto non piace essere compianto poiché, secondo la mia opinione, il soggetto è colui che deve essere forte e sentirsi forte sia per se stesso che per l’amato, perciò non gli piace essere compatito. 

   “<<Questo mio discorso, o Fedro, sia la mia offerta al dio…>>. Non si può donare del linguaggio, ma lo si può dedicare – visto che l’altro è un piccolo dio.” La dedica è il tema del capitolo che vede un discorso accompagnato da un oggetto, spesso un regalo che il soggetto dedicherà all’amato. L’oggetto donato in questo caso viene paragonato al gesto solenne poetico della dedica. Il soggetto non possedendo qualcosa da donare, fa della dedica il dono stesso ovvero dedica le parole sopracitate all’amato.  Le dediche al giorno d’oggi si trovano sulle Stories dei vari Social come Instagram che consistono solo in foto che durano 24 ore accompagnate da musica e frasi. Le dediche di un tempo spaziavano tra un mazzo di fiori, un libro, una scatola di cioccolatini, una canzone o un semplice bigliettino con sopra una frase carina.

   “La meccanica del vassallaggio amoroso esige una futilità senza fondo. Questo perché, se si vuole che la dipendenza si manifesti nella sua purezza, bisogna che essa si renda palese nelle circostanze più irrilevanti e diventi quasi vergognosa a forza di pusillanimità…” La parola è dipendenza, ovvero il soggetto è asservito all’amato. Barthes vede la futilità come una forza e più una cosa è futile, più si impone come forza. La dipendenza è una cosa pericolosa che può sfociare in qualcosa di aggressivo a seconda della situazione. La dipendenza può portare per l’appunto all’aggressività, alla gelosia e alla possessione che portano al “soffocamento” dell’amato da parte del soggetto. Il soggetto diventando indipendente non può fare a meno dell’amato e ciò può portarne al suo allontanamento, rendendo il soggetto ancora più dipendente da lui.

   “Quando abbracciavo Agatone, l’anima mia saliva alle mie labbra, quasi che, poveretta, dovesse andarsene via.” La parola è languore che è uno stato di abbattimento fisico o psichico nei confronti di qualcuno o qualcosa, in questo caso nei confronti del desiderio amoroso. Nel languore amoroso qualcosa se ne va e lascia una ferita aperta nel soggetto, per esempio dopo una rottura, il soggetto è ancora unito all’amato e il suo allontanarsi gli ha lasciato un senso di vuoto che non si riempirà in fretta.

   “Nel Fedro di Platone, il discorso del sofista Lisia e il primo discorso di Socrate poggiano ambedue su questo principio: l’amante si rende odioso agli occhi dell’amato…”. Mostruoso è il tema del capitolo e si riferisce al momento in cui il soggetto si rende conto di “soffocare” l’amato e passa da essere una persona che prova compassione ad un essere mostruoso. Il soggetto diventa mostruoso per autodifesa, ha paura che l’amato lo abbandoni e per non provare dolore se ciò dovesse accadere, lo allontana da lui (un controsenso allontanare qualcuno e allo stesso tempo avere paura di essere abbandonati).

   “Sulla strada che porta a Falero, un uomo si sta annoiando; egli se ne accorge di un altro che cammina davanti a lui, lo raggiunge e gli domanda di raccontargli i discorsi scambiati al convivio dato da Agatone…”. La parola chiave è pettegolezzo che è la condizione di dolore provata dal soggetto quando si ritrova ad essere tema di un pettegolezzo dove l’amato ne parla come se per lui fosse una persona qualunque. Il Simposio è una conversazione perché si parla di qualcosa, ma al tempo stesso è un pettegolezzo perché si parla tra di noi e anche di noi. Quando i filosofi parlano di Amore “spettegolano” poiché raccontano di loro stessi e delle varie esperienze. Al giorno d’oggi il pettegolezzo è alla base dei discorsi, non solo amorosi, poiché secondo la mia opinione, alle persone serve qualcosa di cui parlare e cosa c’è di meglio di un pettegolezzo sulla vita di qualche altra persona o anche di un amico o una amica. Questo pettegolezzo può in qualche maniera ferire la persona di cui ne è argomento oppure quella persona può fare finta che l’argomento non sia lei stessa e trarne anche beneficio per esempio se una persona è invidiosa di una particolare caratteristica di un’altra, quell’altra persona ne trae beneficio facendone una sua forza.

   “Due miti ci hanno fatto credere che l’amore poteva, anzi doveva, sublimarsi in creazione artistica: il mito Socratico (amare serve a <<generare una moltitudine di belli e magnifici discorsi>>) e il mito romantico (io produrrò un’opera immortale scrivendo la mia passione).” Il tema è l’azione dello scrivere, dove il soggetto si cimenta per esprimere il sentimento amoroso che prova. Come introdotto all’inizio da Barthes, l’innamorato sente il bisogno di esprimere i sentimenti che prova e la scrittura è un ottimo metodo per farlo, esprimendosi scrivendo in un diario, un libro o semplicemente una lettera che può far recapitare all’amato.

   “Nel Simposio, Eurissimaco constata ironicamente di aver letto da qualche parte di un panegirico del sale, ma niente su Eros; ed è appunto perché Eros è censurato come argomento di conversazione che la piccola società del Simposio decide di parlarne nella sua tavola rotonda: si direbbe che siano degli intellettuali dei giorni nostri che accettano di discutere controcorrente dell’Amore e non di politica, del desiderio (amoroso) e non del bisogno (sociale)…”. “L’innamorato – dice Alcibiade – è come un uomo che è stato morso da una vipera: <<Dicono che chi l’ha subito non sia disposto a raccontare com’è stato se non ai compagni di sventura perché essi soli comprendono e possono scusare ciò che egli ha osato dire e fare sotto l’azione di quella sofferenza.>>”. La parola è solo che sta ad indicare non solo la condizione di solitudine dell’essere ma anche alla solitudine “filosofica” perché si pensa che non esista discorso superiore a quello dell’amore-passione. Essere soli è la condizione peggiore per chi ama perché non avendo nessuno con cui può parlare e sfogarsi diventa impossibile farlo. Durante l’epoca del Romanticismo la con di solitudine non migliore, anzi, peggiora poiché l’idea di base era quella del “si nasce soli e si muore soli.”

   “Fedro cerca l’immagine perfetta della coppia: Orfeo ed Euridice? Non c’è abbastanza differenza: Orfeo, infiacchito, non era nient’altro che una donna, e gli dèi lo fecero perire per mano di donne.” Il tema è l’unione che il soggetto sogna per se stesso e per l’amato. Sopra l’argomento della coppia, Aristofane ne racconta un mito: un tempo gli uomini erano esseri perfetti, non mancavano di nulla e non v’era la distinzione tra uomini e donne. Ma Zeus, invidioso di tale perfezione, li spaccò in due: da allora ognuno di noi è in perenne ricerca della propria metà.

     Fin dalle prima pagine di questo libro si capisce che non si tratta di una lettura semplice. Specialmente per un lettore non esperto, può rivelarsi necessario leggere alcuni passi più e più volte, perché le molte frasi subordinate rischiano di far dimenticare a metà discorso quale sia il soggetto o il tema. Nonostante ciò è un libro molto interessante e i “consigli” che fornisce Barthes sono utili per coloro che si immedesimano nel soggetto, ovvero l’innamorato. Una cosa anche interessante che si nota è che Barthes non specifica mai il sesso “dell’oggetto amato” e spiega in un’intervista che per lui il sentimento d’amore è unisex come i jeans o i capelli, perché l’amore è sempre amore, indipendentemente che lo si provi per una persona dello stesso o dell’altro sesso.

LEVIAGRAVIA



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