Edna O’Brien Ora non sono più una ragazza
In anteprima l’incipit di «Ragazza» di Edna O’Brien (traduzione di Giovanna Granato, Einaudi Stile libero, pp. 191, euro 17, in libreria dal 15 settembre). Prima ero ragazza, adesso non più. Puzzo. Il sangue si asciugava incrostandomi il corpo intero, e la gonna iro a brandelli. Le viscere, un pantano. Trasportata a tutta velocità nella foresta che vedevo, quella prima notte atroce, quando hanno rapito me e le mie amiche dalla scuola. L’improvviso pam-pam degli spari nel nostro dormitorio e gli uomini, a viso coperto, la furia negli occhi, si spacciano per militari venuti a proteggerci, perché in città c’è un’insurrezione. Noi abbiamo paura ma ci crediamo. Qualche ragazza scese titubante dal letto e altre arrivarono dalla veranda, dov’erano andate a dormire perché la notte era calda, afosa. Sentendo Allāhu Akbar, Allāhu Akbar, capimmo al volo. Avevano rubato le divise dei nostri soldati per eludere la sorveglianza. Ci tempestarono di domande: Dov’è la scuola maschile, Dove tengono il cemento, Dove sono i magazzini. Quando rispondemmo che non lo sapevamo, persero la testa. Poi eccone arrivare altri di corsa dicendo che nei capannoni non avevano trovato pezzi di ricambio né benzina, e allora apriti cielo. Non potevano tornare a mani vuote, altrimenti chi lo sentiva il comandante. Poi, in quel putiferio, uno disse con un ghigno: – Ci accontenteremo delle ragazze, – e partì l’ordine di far arrivare altri camion. Una ragazza tirò fuori il cellulare per chiamare la madre ma glielo requisirono all’istante. Lei si mise a piangere, si misero a piangere anche altre, implorando che le lasciassero andare a casa. Una s’inginocchiò dicendo: – Signore, signore, – e quello montò in bestia e cominciò a inveire e a prenderci in giro, a coprirci d’insulti, disse che eravamo zoccole, puttane, che per noi ci voleva un marito e presto l’avremmo avuto. Ci divisero in gruppi da venti costringendoci ad aspettare mentre farfugliavamo strette l’una all’altra, finché non arrivò l’ordine di evacuare subito il dormitorio senza portarci dietro niente. L’autista del primo camion che lasciò la scuola aveva un’arma puntata alla testa, perciò attraversò la cittadina a velocità folle. A quell’ora ingrata non c’era in giro nessuno che potesse dire di aver visto passare un camion pieno zeppo di ragazze.
Nella foto qui sopra: Peju Alatise (Lagos, Nigeria, 1975), «Pursuit of Freedom» (calco in gesso, resina, compensato, acciaio, vernice acrilica). Nel nuovo numero de «la Lettura» il dialogo di Marco Missiroli con Edna O’Brien. CORRIERE DELLA SERA
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