giovedì 10 settembre 2020

Tilda Swinton / «Sono una strega, come vorrebbe esserlo ogni donna»

Tilda Swinton: «Sono una strega, come vorrebbe esserlo ogni donna»
Tilda Swinton


Tilda Swinton: «Sono una strega, come vorrebbe esserlo ogni donna»

Dopo «Le cronache di Narnia», l’attrice britannica torna a interpretare una creatura soprannaturale malvagia nel rifacimento di «Suspiria» di Guadagnino, in arrivo nelle sale: «Ognuna di noi vuole incarnare quella figura malefica per spaventare gli uomini».



di Valerio Cappell
22 dicembre 2018 (modifica il 22 dicembre 2018 | 19:11)


Vista da vicino, Tilda Swinton sembra una scultura vivente, una sorta di installazione buona per Marina Abramovic. Algida, certo: però il suo aspetto ambiguo e enigmatico, per alcuni disturbante, non intimidisce, anzi, ha sempre una virgola di ironia nel suo sguardo: «Forse pensano sia algida per via del pallore!». Nelle interviste è ironica e laconica, ed è maledettamente simpatica. Questa conversazione è frutto di due diversi incontri, di persona e via e-mail. Di famiglia aristocratica ma cresciuta in un castello dell’800, ha frequentato la stessa università di Lady Diana. La chiamano la regina del glamour, chissà se è per via della strana cresta bionda che si alza e si abbassa secondo umori e esigenze di set. Come modella ha collaborato con tanti stilisti e fotografi, dice che vestirsi in maniera adatta a eventi, situazioni, ruoli è una forma d’arte. Al cinema è stata un uomo, vestendo i panni di Bob Dylan (insieme con altri cinque attori) per rievocare in Io sono qui la multiforme personalità del menestrello di Duluth. In Suspiria di Luca Guadagnino (il remake di Dario Argento che uscirà subito dopo Capodanno), l’ennesima trasformazione: indossa una tunica trecentesca e porta lunghi capelli ramati. Il ruolo è quello di una strega.

Tilda Swinton: «Sono una strega, come vorrebbe esserlo ogni donna»
Tilda Swinton nel ruolo di Madam Blanc nel nuovo «Suspiria» (foto A. Bolzoni)
«Che cosa vogliamo in cuor nostro»

Musa di registi colti, simbolo di nicchie eleganti e rarefatte, lei di Guadagnino è l’attrice feticcio. «Ci siamo conosciuti nel 1996, è uno dei miei amici più cari, ormai siamo parenti, c’è un rapporto di sangue». In Suspiria fa la coreografa di una scuola di danza a Berlino, è l’insegnante di Dakota Johnson. «Mi sono ispirata a Pina Bausch e alla sua crudezza, ma anche a Martha Graham e a Scarpette rosse, il leggendario film del 1948 di Michael Powell ed Emeric Pressburger. L’attaccamento perverso all’arte era un territorio che andava esplorato». Le era già successo di interpretare una strega malefica, nel primo capitolo della saga kolossal Le cronache di Narnia. «Sì, nel 2005. Vedete, ogni donna in cuor suo ritiene di avere una strega dentro di sé, è un modo per tenere a distanza gli uomini, per spaventarli».

La riscoperta della scrittura, l’amore peri il muto

Entrò alla Royal Shakespeare Company per uscirne l’anno dopo. Come mai? «Non mi piacciono le istituzioni, non volevo studiare: volevo recitare. Ho cominciato per caso, dovevo diventare scrittrice ma divenni amica di un gruppo di studenti universitari che stavano mettendo in scena uno spettacolo, mi piaceva quella compagnia e mi unii a loro. È andata così. Comunque ho ricominciato a scrivere circa quindici anni fa». In A Bigger Splash, recita il ruolo di una donna che ha perso temporaneamente la voce. C’è qualche vantaggio, per un attore, nel rinunciare al potere delle parole? «Dal mio punto di vista sempre!». Eppure in una scena di quel film di Guadagnino lei canta davanti allo stadio di San Siro pieno. Cosa ricorda di quel momento? «Non molto, salvo la generosità e il benvenuto. Mi piace ricordare che tra il 1987 e il 1990 ho partecipato a tre film “silenziosi” di Derek Jarman, The Last of EnglandWar Requiem The Garden. Quello fu il mio debutto nel cinema muto ed è qualcosa con cui sono stata sempre a mio agio. Amo il cinema muto, da Buster Keaton a Greta Garbo. Le migliori interpretazioni d’attore sono quelle in cui non si parla».


Tilda Swinton: «Sono una strega, come vorrebbe esserlo ogni donna»

I successi nei festival: da Venezia a Mosca

È quel che si dice un’attrice «da» Festival... «Per me, hanno avuto un’importanza fondamentale in un lungo periodo. Oltre che a Venezia sono stata a Cannes, Berlino, Mosca, Oberhausen. Si crea un’atmosfera da circo, una specie di parco giochi... Ho amici che incontro solo in quelle occasioni. E il pubblico vede film di cui altrimenti non saprebbe nulla, provenienti da Paesi di cui non ha consapevolezza». Lei non dà mai risposte convenzionali. Anche sulle quote rosa — che al cinema pare siano ormai un argomento fondamentale — ha un pensiero non convenzionale? «Il cinema è uno Stato libero che non ha una connotazione maschile o femminile. Suspiria ad esempio è un film di attrici, anche noi abbiamo dato il nostro apporto modificandone l’approccio».

La sua scuola steineriana, in armonia con la natura

È abituata a cercare la verità nei suoi ragionamenti, Tilda. Come quando, riferendosi a Orlando, il film del 1992 tratto dal romanzo di Virginia Woolf sull’Inghilterra elisabettiana, restò impigliata nell’androginia. «Non c’è niente di peggio che recitare in un film basato su un libro che si è amato: è come se avessi commesso un adulterio». Lei ha co-fondato nelle Highlands la scuola Drumduan. «È basata sul metodo Steiner, un nuovo modello educativo senza voti né esami, in armonia con la natura. Nella mia scuola si insegna a essere liberi, a pensare con la propria testa e anche la forza della solitudine».


La Swinton nei panni di Orlando
La Swinton nei panni di Orlando


Solitudine: «In cima a una montagna vivrei benissimo»

Le piace stare da sola? «Ci convivo benissimo con la solitudine.Potrei vivere sulla cima di una montagna, sola con me stessa. Diciamo così: io non rovino la vostra solitudine, voi non rovinate la mia, facciamoci compagnia». Ha scelto di abitare in Scozia... «Una terra di cui amo il calvinismo e la passione: fa freddo fuori, siamo caldi dentro». Si è stigmatizzato, rivangando la «scandalosa» relazione a tre che ebbe Charlotte Rampling, che Tilda vive con due uomini: John Byrne, padre dei suoi gemelli, e Sandro Kopp, entrambi pittori. È così? «C’è un divertente e diffuso fraintendimento, non ho mai vissuto con due uomini. Da John sono amichevolmente separata da 14 anni, si è risposato e vive a molte ore d’auto di distanza da me; sto insieme a Sandro da undici anni. Non è raro, per famiglie allargate come la nostra, rimanere buoni amici. Penso che certe riviste talvolta preferiscano credere che la mancanza di contese debba nascondere qualcosa di sensazionale».

Tilda Swinton con il compagno Sandro Kopp
Tilda Swinton con il compagno Sandro Kopp
«Il cinema è trasferirsi da se stessi ad altri»

Lei dice spesso che la cosa più importante è essere sinceri con se stessi: ha dovuto fare dei compromessi? «Essere sinceri per me significa onorare le persone che amo. Le nostre scelte assumono dignità dal mondo che ci costruiamo: nella mia vita ho preso tante decisioni basate sul desiderio di essere vicino a qualcuno, ho fatto dei viaggi affinché i miei figli potessero compiere certe esperienze. E non vivo tutti questi come compromessi». Cosa rappresenta il cinema per lei? «È la forma d’arte più umanistica, ci invita a infilarci nelle scarpe di un’altra persona, a vedere e sentire cosa vede e cosa sente quell’altra persona. Ogni film che realizza questo trasferimento da se stesso a un altro è un’esperienza che incoraggia la compassione ed è una sfida contro il pregiudizio». Dieci anni fa ha vinto l’Oscar come migliore attrice non protagonista per Michael Clayton di Tony Gilroy. Dove lo tiene? «Lo ha il mio agente e amico Brian Swardstrom. Lo diedi a lui quella notte. Penso lo conservi a New York».




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