domenica 20 ottobre 2019

Federico Fellini / La solitudine dell'artista

Fellini e Balthus




Federico Fellini
La solitudine dell'artista


Giuseppe Barreca
Gioveni 24 marzo 2011




"Lei ha fatto benissimo. Mi creda oggi è una buona giornata per lei. Sono delle decisioni che costano, lo so, ma noi intellettuali, dico “noi” perché la considero tale, abbiamo il dovere di rimanere lucidi fino alla fine. Ci sono già troppe cose superflue al mondo, non è il caso di aggiungere altro disordine al disordine. Un film non riuscito per il suo produttore è solo un fatto economico, ma per lei, al punto in cui era giunto, poteva essere la fine. No, mi creda, non abbia né nostalgia né rimorsi. Distruggere è meglio che creare quando non si creano le poche cose necessarie. E poi… c’è qualcosa di così chiaro e giusto al mondo che abbia il diritto di vivere? (…) Meglio lasciar andare giù tutto e far spargere sale, come facevano gli antichi per purificare i campi di battaglia.

In fondo avremmo solo bisogno di un po’ di igiene, di pulizia, di disinfettante. Siamo soffocati dalle parole, dalle immagini, dai suoni che non hanno ragione di vita, che vengono dal vuoto e vanno verso il vuoto. A un artista veramente degno di questo nome non bisognerebbe chiedere che quest’atto di lealtà: educarsi al silenzio. Ricorda l’elogio di Mallarmé alla pagina bianca? E di Rimbaud? Un poeta mio caro, non un regista cinematografico (…). “Se non si può avere il tutto, il nulla è la vera perfezione”. (…)

La nostra vera missione è di spazzare via le migliaia di aborti che ogni giorno oscenamente tentano di venire al mondo. E lei vorrebbe addirittura lasciare dietro di sé un intero film, come lo sciancato si lascia dietro la sua impronta deforme? Che mostruosa presunzione credere che gli altri si gioverebbero dello squallido catalogo dei suoi errori. E a lei che cosa importa cucire insieme i brandelli della sua vita, i suoi vari ricordi, o i volti delle persone che non ha saputo amare mai?

Sono queste le parole poste quasi alla fine del film 8 e ½ (1963), il capolavoro di Fellini. Sono le parole che un critico cinematografico rivolge a Guido, ossia Marcello Mastroianni, protagonista del film, il quale interpreta la parte di un regista disilluso, in crisi di vocazione, sia come uomo che come artista. Un alter ego di Fellini. Guido ha appena deciso di non girare più il film, grazie al quale s’aspettava di risolvere la propria crisi di vocazione.

Fino a quel momento il film ha raccontato la storia di un cineasta in crisi, circondato da persone che lui non sa più amare (la moglie, l’amante, il produttore, gli amici), né comprendere. È la crisi di un intellettuale oppure semplicemente la fine di un uomo che ha ingannato gli altri, facendo loro credere di essere un artista? Lo stesso Guido si pone la domanda durante il film. Benché egli cerchi una via d’uscita, non riesce a stare meglio: è insofferente verso tutti, incapace sempre di scegliere. Non sa amare più, e tuttavia nemmeno è capace di abbandonare definitivamente le persone che lo circondano. È cinico, ma in modo bonario, affettuoso ma freddo, incapace di piangere e ridere. A un certo punto della storia egli canticchia: “Non ho proprio niente da dire, ma voglio dirlo lo stesso”.

Eppure, attorno a lui, la vita scorre comunque: gli altri uomini vivono le loro esistenze, spesso vuote e grezze ma quantomeno abbastanza autentiche, mentre lui languisce in una sacca di noia. Così facendo, tiene legate a sé, impedendo loro di vivere, le persone che gli vogliono bene, deboli come lui, scelte perché assai simili a lui.

Ma si tratta davvero di un uomo in crisi, che soffre? Oppure abbiamo di fronte solo un narciso, un egoista, un uomo che “non sa voler bene”. L’epifania, la rivelazione di quello che Guido è realmente (o vorrebbe essere), non giunge solo dalle parole del critico cinematografico, il quale intende solamente ribadire la propria scarsa fiducia nel cinema come forma d’arte. Né tale epifania giunge dalla moglie (Luisa, interpretata dalla bella Anouk Aimée, protagonista anche de La dolce vita), anch’essa coinvolta nella crisi di Guido; né dell’amante (Sandra Milo). Questa rivelazione giunge da una donna che Guido vorrebbe amare e che forse non esiste nemmeno, una specie di fantasma sfuggente, reale ma impalpabile. È infatti un’attrice che egli vuole nel suo film, Claudia (Claudia Cardinale), che a un certo punto gli dice: “un tipo così, come tu l’hai descritto, che non vuol bene a nessuno, non fa mica tanta pena sai? In fondo è colpa sua. Che cosa pretende dagli altri?”.

In effetti, se un uomo fa capire di non vuole bene a nessuno, e fa mostra di voler vivere in solitudine, isolato, perché mai dovrebbe suscitare compassione negli altri? Perché dovrebbe pretendere che gli altri si occupino ancora di lui? Il film racconta il disagio e la solitudine dell’artista che dimentica d’essere comunque un essere umano, e si crede qualcosa d’altro. Fellini così ci fa riflettere su quanto sia spesso banale, se vista con occhi distaccato, quella sofferenza, molto comune, che prende all’improvviso e, a volte, è solo un modo per compiacere se stessi, per sentirsi vittime e, dunque, in credito di attenzioni.

In 8 e ½, Fellini ondeggia tra Sartre (La nausea) e Moravia (La noia, romanzo del 1960) e mette scena una versione moderna del peccato dell’accidia. Con una parziale guarigione del protagonista. Quasi alla fine del film, prima della celeberrima scena finale del “girotondo” in musica, c’è un attimo di silenzio. Il primo piano di Mastroianni si alterna con vaghe immagini di uomini e donne vestiti di bianco: sono i genitori di Guido, sua moglie, un’amica, l’amante… e Guido tace, tace, ma pensa, pensa, e scopre, forse, una soluzione, un po’ rabberciata, alla sua crisi. Intuisce, confusamente, che è bene tornare a vivere, oltre che a esistere soltanto e che, in quanto artista, egli indossa solo una maschera, mentre invece è un essere umano drammaticamente impastato di sofferenza, ma anche della capacità di attenuare, talvolta, questa sofferenza:

"Ma che cos’è questo lampo di felicità che mi fa tremare, mi ridà forza, vita? Vi domando scusa dolcissime creature, non avevo capito, non sapevo… Com’è giusto accettarvi, amarvi, e com’è semplice. Luisa, mi sento come liberato. Tutto mi sembra buono, tutto ha un senso, tutto è vero. Ah, come vorrei sapermi spiegare… ma non so dire. Ecco, tutto ritorna come prima, tutto è di nuovo confuso. Ma questa confusione sono io, io come sono, non come vorrei essere, e non mi fa più paura. Dire la verità, quello che non so, che cerco, che non ho ancora trovato. Solo così mi sento vivo, e posso guardare i tuoi occhi fedeli senza vergogna. È una festa la vita, viviamola insieme. Non so dirti altro, Luisa, né a te né agli altri. Accettami così come sono se puoi, è l’unico modo per tentare di trovarci".



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