mercoledì 16 ottobre 2019

Alberto Moravia / Pier Paolo Pasolini / Un viaggio, due Indie


PIER PAOLO PASOLINI




Un viaggio, due Indie – “Un’idea dell’India”, di Alberto Moravia e “L’odore dell’India”, di Pier Paolo Pasolini

Pubblicato su 10 luglio 2013 da CHIARABERETTAi

Agra - Taj Mahal, foto di Olga Maerna
Agra – Taj Mahal, foto di Olga Maerna
E’ il 1961 quando Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini ed Elsa Morante viaggiano insieme in India o meglio, come scrive Moravia, ne fanno esperienza. Un anno più tardi il viaggio diventa racconto: Moravia pubblica con Bompiani «Un’idea dell’India», Pasolini «L’odore dell’India» con Longanesi. Per lo più si tratta degli stessi luoghi, degli stessi incontri, degli stessi itinerari, eppure i due libri risultano profondamente e radicalmente differenti. A livello stilistico e narrativo prima di tutto, come è ovvio. In secondo luogo, per il modo in cui gli occhi e le menti dei due grandi intellettuali italiani hanno saputo guardare e capire il vario spettacolo della natura e dell’uomo: alcune immagini restano impresse nella memoria del primo, altre sensazioni in quella del secondo. Da formazione, esperienze di vita ed idee differenti, d’altronde, nascono sguardi altrettanto vari. Ma sopra ogni altra cosa affascinante è il significato, il senso che l’India e il viaggio stesso incarnano nelle menti dei due viaggiatori, nel loro viaggio vicini nello spazio e nel tempo quanto lontani nello spirito e nel pensiero. La più banale delle distinzioni tra i due racconti di viaggio è evidente fin dal titolo: idea e odore. Razionale e freddo il primo, fisico e coinvolgente il secondo.
ALBERTO MORAVIA
David Levine

DIALOGO IMPOSSIBILE – L’ambizione di Moravia è quella di cogliere l’India in un’idea, nella sua idea, di trovare forse una chiave di interpretazione comune a tutti i suoi molteplici aspetti storici, culturali, geografici, razziali, religiosi. Una missione che appare fin dall’inizio oscura. Lo stesso Moravia ne è ben cosciente, dal momento che apre il suo libro, prima del racconto di viaggio vero e proprio, con una dialogo senza tempo, senza luogo, senza volto. Possiamo immaginarlo come un dialogo tra amici dopo il ritorno a casa, ma anche come una silenziosa conversazione con se stesso, come un ossessivo interrogatorio in cui ricorre la domanda: che cos’è l’India? Impossibile trovare una risposta chiara e definitiva: «Che ti è accaduto in India? Ho fatto un’esperienza. Quale esperienza? L’esperienza dell’India. E in che cosa consiste fare l’esperienza dell’India? Consiste nel fare l’esperienza di ciò che è l’India. E cos’è l’India? (…) L’India è l’India. (…) Neppure io so veramente cosa sia l’India. La sento, ecco tutto. Anche tu dovresti sentirla». Questo lungo dialogo introspettivo, in assoluto la parte che ho preferito del libro, accoglie il lettore e lo mette in guardia. Come a dire: l’idea dell’India esiste, ma non si può raccontare nel modo in cui ti aspetti: non ha formula, non ha definizione, non si riduce ad una mera descrizione. Che è poi il dialogo impossibile davanti a cui si trova qualunque viaggiatore: quello tra chi non ha visto ma vorrebbe sapere e chi ha visto ma non può raccontare, perché come può la parola incarnare l’odore, lo sguardo, il pensiero, l’eccitazione? Da una parte una premessa scoraggiante, dall’altro una sfida affascinante: riuscire comunque a far sentire l’India, «sentirla laggiù, a oriente, al si là del Mediterraneo, dell’Asia minore, dell’Arabia, della Persia, dell’Afghanistan, laggiù, tra il Mare Arabico e l’Oceano Indiano, che c’è e che ti aspetta».
Un'idea dell'IndiaL’INDIA DELL’ORRORE – L’idea dell’India, per quanto oscura, non può staccarsi dal reale putrido e patetico da cui nasce: le masse di mendicanti sporchi e vestiti di stracci che dormono per strada, l’architettura assurda di città e templi, l’odore dei cadaveri, la religiosità ossessiva. L’occhio di Moravia guarda e descrive le città indiane e i suoi abitanti freddamente, intellettualmente, quasi indifferentemente. Forse perché, al contrario del suo compagno di viaggio, non è la prima volta che visita il Paese: «Moravia è già stato qui ventiquattro anni fa – scrive in apertura del suo testo Pasolini, di fronte alla vista di alcuni ragazzini vestiti di stracci che attendono in silenzio, alcuni mutilati, altri malati – e conosce abbastanza il mondo per non trovarsi nello stato penoso in cui mi trovo io». O forse perché, come racconta Moravia nell’intervista concessa a Renzo Paris e riportata in appendice al volume di Pasolini (Guanda Editore, 1990) «i miei modelli erano Stendhal e Sterne».  Comunque il risultato è chiaro. Il viaggio di Moravia in India non trascura i particolari e finisce sempre iscritto in un contesto più grande: il confronto con altri testi, la riflessione sulla politica e sulla storia, la descrizione accurata di religioni, testi sacri, caste. L’aspetto culturale dell’India risulta predominante e la visione o l’avvenimento particolare davanti agli occhi del Moravia viaggiatore vengono subito inseriti e, per quanto possibile, spiegati in un contesto razionale, tutto sommato freddo, poco personalistico. L’India di Moravia è sporca, putrida, povera, orrorifica, mutilata, malata, assurda. Eppure né lui né il lettore se ne sentono respinti: a questo anzi si riconduce in parte, inspiegabilmente, il suo fascino.
SUGGESTIONI PASSIONALI – Di tutt’altro indirizzo è «L’odore dell’India». A iniziare dalle intenzioni: Pasolini è un  viaggiatore vergine, senza fiato e senza spiegazioni in un mondo per lui del tutto nuovo. Più che raccontare al lettore, pare che l’intellettuale voglia prima di tutto raccontare, ricordare a se stesso. Al bando dunque idee e astrazioni, l’India non può che essere l’infinito vortice di suggestioni che gli si imprimono senza sosta negli occhi, nelle narici, nel cuore: «Sono le mie prime ore in India e non so dominare la bestia assetata chiusa dentro di me come in una gabbia», o ancora «A questo punto Moravia decide che è ora di essere stanchi, e, col suo meraviglioso igienismo, prende, e volta deciso verso il Taj Mahal. Ma io no. Io finché non sono stremato (ineconomico come sono) non disarmo». Nel mondo indiano così vasto, caotico e inconcepibile, la curiosità non è mai sazia. L’India di Pasolini è un’impressione fisica, ricercata costantemente e vissuta passionalmente. Questo indirizzo di scrittura porta chiaramente ad alcune differenze sostanziali con il testo di Moravia. Prima di tutto la descrizione che Pasolini fa dell’India passa necessariamente attraverso il racconto di aneddoti e pensieri, in cui è forte la presenza dello scrittore stesso e dei suoi compagni. Moravia e Morante vengono citati in continuazione, inclusi nei movimenti, nelle sensazioni, nelle scelte e nei pensieri. Al contrario il viaggio di Moravia sembra solitario, dal momento che l’autore non cita mai i suoi compagni (ma non è immune da una sorta di schizofrenia e passa talvolta dalla prima persona singolare alla plurale, senza spiegazioni).
INNAMORARSI DELL’INDIA, INNAMORARSI DEL VIAGGIO – La  consapevolezza della pietà che suscitano gli indiani in Moravia, in Pasolini diventa vero slancio compassionevole e l’aspetto che torna continuamente dell’India – pur nella constatata povertà e sporcizia, e tutto il resto – è la dolcezza, il sorriso docile e a volte rassegnato dei suoi abitanti, gli occhi ridenti. L’India stessa, anche quando inanimata, in Pasolini acquisisce caratteristiche umane. Il testo è, direi, sentimentale, nel senso che appare teneramente chiaro quanto l’autore si stia letteralmente innamorando di quello che vede e sente. E come un innamorato perdona, cerca costantemente e guarda con tenerezza l’amata, così fa l’intellettuale con il vario spettacolo umano dell’India.
Il viaggio di Pasolini è sicuramente più passionale e coinvolgente, ma non per questo definirei il testo più apprezzabile di quello del collega. In entrambi i casi si rivela un’India magnetica e, a mio parere, tra le righe, un inno immortale al viaggio che, in tutte le sue infinite declinazioni e personalità, è da ricercare sempre come fonte di suggestione, emozione, conoscenza: «L’immediato futuro è pieno di promesse – scrive Pasolini lasciando Delhi a bordo di un’automobile -. Moravia e io soli: disponibili, allegri, curiosi come scimmie, con tutti gli strumenti dell’intelligenza pronti all’uso, voraci, goderecci e spietati».
Chiara Beretta

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