domenica 19 maggio 2019

Paolo Mantegazza è l’autore della prima guida italiana dei vini in senso moderno?

Paolo Mantegazza


Paolo Mantegazza è l’autore della prima guida italiana dei vini in senso moderno?


di Thomas Pennazzi11/10/2016

Paolo Mantegazza, prolificissimo e conosciutissimo autore ai suoi tempi, di cui mi sono occupato a più riprese per il suo interesse in campo enologico, potrebbe essere stato il primo italiano a scrivere una guida al vino in senso moderno. La ricchezza dei suoi appunti ci restituisce una fotografia – che non possiamo non credere fedele – dello stato dell’arte vinaria nei primordi del Regno d’Italia.
Nella sua opera “Quadri della Natura Umana – Feste ed Ebbrezze” edito a Milano nel 1871, l’ultimo vasto capitolo è dedicato ad una rassegna monografica della produzione enologica italiana e mondiale, che poteva ben servire ai lettori quale vademecum. Insieme a considerazioni di natura tecnico-analitica, commerciale e letteraria, tipicamente ottocentesche, il Mantegazza si lascia andare anche ad apprezzamenti di merito dei vari vini, e fustiga le colpe dell’enologia italiana del tempo.
Il suo pensiero sul vino si rispecchia in queste poche righe:
«Il vino è il principe degli alcoolici, e forse il primo fra tutti gli alimenti nervosi. Nella sua infinita varietà, nei suoi mille sapori abbraccia tutte le note della voluttà gastronomica, cosi come coi suoi eteri svariati porta l’uomo dall’uno all’altro polo dell’ebbrezza.
Nerbo vigoroso al braccio dell’operajo e ispiratore degli estri del poeta; poesia quotidiana del desco famigliare e tirso di bacchici entusiasmi sulle mense dei felici; nettare geloso del vecchio egoista e nembo di profumi inebbrianti dei socievoli ritrovi; fiamma per ogni fuoco, sprone ad ogni ardimento, scintilla d’ogni entusiasmo; il vino è medicina di molti mali, vena feconda di facili gioie per ogni età e in ogni tempo. Non invano la mitologia lo ha innalzato agli onori dell’Olimpo, e la religione lo ha consacrato ai più sublimi misteri.
Esso è gran parte della storia dell’uomo, e la sua potente influenza percorre tutta la scala che passa dall’inno all’orgia, dall’entusiasmo generoso all’abbrutimento, dalla canzone che risveglia un popolo al delirium tremens che uccide una generazione. Per gli individui come per i popoli bever bene è ancora uno dei problemi più serii e che tocca da vicino la salute, la moralità e sopratutto la felicità».
Letteratura prima che scienza, come si vede, ammantata di quell’alone di positivismo e di un poco di socialismo paternalistico, diretta emanazione dello spirito del tempo.
Ecco invece l’incipit della guida:
«L’Italia per clima e topografia potrebbe facilmente essere il primo paese vinicolo del mondo e facilmente e in pochi anni potrebbe rivaleggiare colla Spagna e il Portogallo coi suoi vini di Sicilia, di Sardegna e del Vesuvio; mentre coi vini piemontesi e toscani potrebbe muovere fortunata guerra ai vini di Francia; senza poi parlare di tutti gli altri colli infiniti, or vulcanici, ora argillosi, or calcarei che potrebbero arricchire l’enologia europea di squisitissimi liquori. […] Ma il primo torto dei nostri vini è quello di essere ignorati, e la colpa è nostra, nostra tutta e nostra soltanto. […] All’estero il solo vino d’Italia che si trova nella lista dei vini di lusso è il Marsala. Ma fuori di questo e di pochissimi altri è singolare l’ignoranza degli enologi stranieri sui nostri vini. […] Conviene dunque che gli Italiani in fatto di vini abbiano sopratutto di mira questi due scopi primarii, ai quali si subordinano poi tutti gli altri intenti minori, cioè di fare pochi tipi costanti e di farli conoscere all’estero».
La guida parte alla rovescia, cioè dal Sud.
«Sicilia. – Marsala: fatto specialmente dalla casa Florio e dalla casa Ingham; vino liquore, ottimo se vecchio e ben fatto, e che si riduce a pochissimi tipi ben definiti e conosciuti in commercio; è dei migliori vini nazionali per accompagnare l’ultima parte del pranzo.


– I vini di Sicilia in generale sono troppo alcoolici e poco adatti a pasteggiare, meno forse il rosso di Misilmeri e pochi altri. Sono celebri fra noi il Moscato di Siracusa e la Malvasia di Lipari.

Dei vini napoletani tutti conoscono il Lacryma Christi, molto alcoolico e fragrante, il Capri bianco e rosso; entrambi tonici e deliziosi; il Falerno, i vini della Puglia e della Calabria; ma essi sono […] tanti».
Segue poi una lunga lettera dell’enologo De Blasiis, che informa il Mantegazza sulle loro mediocri qualità: «Tali vini infatti, appunto per la prevalenza della parte zuccherosa sono molto nutritivi, ma per la deficienza in paragone dell’acido tannico, del tartarico e degli altri acidi, non risultano molto favorevoli alla buona digestione, né possono senza inconveniente beversi in larga dose. Di tal difetto più o meno partecipano i vini cotti che si producono in parecchi distretti viniferi delle Puglie e degli Abruzzi, ed anche alcuni più pregiati vini liquorosi, come i moscati di Castiglione in Abruzzo, e di Trani in Puglia, lo Zagarese di Puglia ed i più rinomati vini di Calabria. […] Eccellenti vini da pasto bianchi sono in Terra di Lavoro e provincie contermini; né solo la modesta Asprinia ivi riesce salubre e grata, ma vi sono i delicati vini di Capri, ed altri simili che si elaborano in quella ubertosa regione. […] Dei non meno pregevoli e salubri vini rossi da pasto si producono in Taurasi ed altri paesi viniferi della provincia di Avellino. […] Eccellenti vini rossi altresì in tutta la provincia di Terra di Lavoro vanno sotto il nome di Capri rosso; e negli Abbruzzi con l’essersi molto introdotto e diffuso qualche buon vitigno nero tratto di Toscana e perciò volgarmente detto Montepulciano, si fanno di già in non piccola copia vini squisiti, specialmente in Pratola, Sulmona e Popoli dell’Aquilano, Tocco e Manoppello del Chietino e Città Sant’Angelo, Castellamare Adriatico, Silvi ed altri comuni del Teramano».
Toscana. – Nella seconda fiera 1870 tenuta in Firenze figuravano i vini del prof. Vincenzo Amico, di Pozzi di Tavernelle in val di Pesa; i vini di Massa Capoiana (Arezzo), di Arcangioli Luigi; l’Aleatico ed altri vini di Montalbiolo Carmignano; diversi vini di Belvedere Galluzzo, di Borgo a Boggiano, i Montepulciani del Bracci, il vin santo di Cenine (Arezzo), i vini delle fattorie di Castelletti del Cattani Cavalcanti; i vini di San Sepolcro (Arezzo); dei vini di Siena, di Carmignano, di Fontanelle, di Ceciliano (Arezzo), i vini di Lacone nell’isola d’Elba, di Colline (Siena), di Donato ad Empoli, del Castello di Signa, di Palazzone e San Casciano del Bagni (Siena), di Nozzole (Firenze), di Fossato a Monteargentario (Grosseto), di Montale, di Pistoja, di Serravalle, pur di Pistoja, di Pian di Ripoli (Firenze), di Tomerello a Campi Bisenzio, di Terriccio a Castellina Marittima (Pisa), i famosi Brolio, i vini di Casole di Greve, di Montanina, di Giogoli (Firenze), di San Donato (Siena), di Montemoccoli all’Impruneta, ecc. Tutti questi nomi e molti altri si ridurranno fra pochi anni, appena l’industria vinicola avrà avanzato d’un passo, a pochi tipi ben conosciuti. La Toscana può vantarsi di dare alcuni dei più salubri e più saporiti vini rossi, dei vini di lusso nell’Aleatico e nel vin Santo, come pure dei vini aromatici dilicati (vermutte), e quando essa abbia riuscito a dar loro maggior durevolezza, potrà col Piemonte stare alla testa dei vini da pasto.
Vini dell’Umbria e delle altre provincie già pontificie, dell’Emilia, ecc. – Il vino d’Orvieto, vero oro liquido, è noto anche ai profani dell’enologia, ma le provincie che furono sotto il dominio delle chiavi papali danno altri vini eccellenti, e che si faranno anche migliori in avvenire.


Nella fiera fiorentina del 1870 figuravano il Brusco del Marchese Rondinelli Vitelli fatto a Città di Castello nell’Umbria, il vino moscato del conte Marescotti di Sant’Angelo Izzano a Spoleto, e il Sangiovese di Civitella di Romagna (Forlì) presentato dai signori Amaducci Davide e Filippo. A Rimini e in altri paesi di Romagna ho bevuto dei Sangiovese amari e spumanti che avevano più di otto anni e si conservavano dilicati ed ottimi. Nei vini, dell’Emilia sono celebri il Lambrusco di Modena e in generale i vini bianchi e i moscati del Modenese.

Vini della Lombardia e della Venezia. – La Brianza dà vini rossi e bianchi molto aromatici e secchi, ma la loro riputazione non esce dal modesto circolo del Comune e della Provincia. I vini di Monterobbio e di Montevecchia sono fra i migliori. Il lago di Garda dà ottimi vini che seppero resistere a lunghi viaggi transatlantici.


Le provincie venete furono rappresentate alla fiera fiorentina del 1870 dal vino di Montegalda (Vicenza), dal vino Cervarese di Padova, che imitava il Bordeaux, dal San Suo di Lendinaria (Rovigo), dai famosi vini di Valpolicella che sono fra gli ottimi d’Italia, dal Roboso (sic) superiore di Conegliano (Treviso).

Vini della Liguria. – Famosissimo è il vino delle Cinque Terre, che ha forza, brio e profumo; nella fiera dei vini del 1870 tenuta a Firenze figuravano fra i vini liguri quello di Perrina (Porto Maurizio) e il vino di Mesca (Spezia). Il vino bianco di Nizza è uno fra i migliori per eccitare l’appetito, per rallegrare le colazioni campestri e cittadine. I Nizzardi usano molto dell’uva Brachetto, mischiandola colla Fuella, colla Trinchera e colla Claretta, e manipolandola all’uso dei vini santi: è un vino da frutta che può gareggiare coi vini santi e di paglia, i più squisiti.
Vini di Sardegna. – Poco noti fino a questi ultimi anni, spiccarono ora il volo fino a Nuova Yorck e a Buenos Aires, dove furono ricevuti con vero entusiasmo. Son molto alcoolici, ma temperano la troppa forza col garbo dell’aroma. I meglio conosciuti son questi:


– Varnaccia o Vernaccia: la migliore si raccoglie ad Oristano;

– Il Moscato di Bosa, il Canonao o cannonau di Alghero, i vini di Olliena e quelli dell’Ogliastra in generale, i Girò, il Moscato di Tempio, la Malvagia amara o dolce ed altri vini, quando saranno ridotti a tipi costanti, troveranno un sicurissimo spaccio sui mercati di Parigi, di Londra e dell’America.

Non è vero quel che molti van ripetendo, che la Sardegna non abbia che vini spiritosi che accendono il palato e devono essere meglio sorbillati che bevuti. L’Ogliastra ha vini rossi di pasto da star vicinissimi ai migliori della Borgogna e del Bordelese, ed io ho bevuto a Lanusey del vino rosso che meriterebbe una corona civica. In quel paese un operoso farmacista, Agostino Garrano, fabbrica vini così squisiti […] che non sdegnerebbero la tavola di un Lord.
Vini Piemontesi. – Il Piemonte è certamente la regione d’Italia in cui si conosce meglio l’arte di fare buoni vini, e l’enologia vi fa ogni anno rapidi progressi, riducendo a pochi tipi ben conosciuti e costanti tutti i Barbera, gli Asti, i Grignolini e tutti gli altri profumati e vellutati liquori che ci dà la culla dell’indipendenza italiana. Mi duole di non poterne dare un catalogo completo, perché lo domandai invano a parecchi sommi enologi del Piemonte.
– I vini di Gattinara, di Ghemme, di Sizzano ed altri meno noti, quando sono molto vecchi, giungono a toccare le più alte pendici dell’amaro sublime.


– I vini dell’Astigiano danno liquori spumeggianti e leggeri, e aromatici e tonici.

-I Canneto [Pavese, N.d.R] hanno alquanto perduto della loro antica fama, perchè l’avidità del guadagno spinse gli agricoltori a troppo concimare le proprie vigne, abitudine sempre cattiva; pessima poi nelle pingui colline della Lomellina.


– A Stradella il nostro Depretis fabbrica vini superbi, e chi ha la fortuna di essere uomo prudente e di aver deposto nei sacrarii sotterranei della casa dei Barbera, troverà molti anni dopo molte ore di sicura felicità e di ottima digestione.

– I Caluso sono veri vini di lusso, e che senza adulazione possono mettersi nella prima fila dell’aristocrazia vinosa.

– Lo stesso dicasi del buon Barolo, a cui io darei il primato di tutti i vini piemontesi, se non glielo contrastasse aspramente il Gattinara. Possono però trattarsi entrambi da buoni amici, perchè nessuno dei due è secondo all’altro.
– La provincia d’Alessandria è la più vinifera dell’Alta Italia e forse anche la prima di tutto il Regno; basterebbe a provarlo l’elenco delle uve descritte dalla Commissione Ampelografica per la provincia di Alessandria (segue un elenco di 70 uve nere e 45 uve bianche).

Ed ecco come conclude la sua laboriosa opera l’illuminato Professore:
«Le razze della vite, le terre diverse e i diversissimi climi fanno d’ogni vigna un vino diverso; mentre l’arte poi può da ogni uva distillare cento vini; per cui anche oggi con un’arte in molti paesi poverissima e una natura sempre e dappertutto ricchissima, noi abbiamo tanti e cosi svariati vini che a tutti conoscerli e assaporarli non basterebbe la vita di un uomo, e un grosso dizionario basterebbe appena a dare il nome di tutti. Vini di pochi soldi all’ettolitro e vini da più monete d’oro alla bottiglia, vini plebei e vini olimpici; la vite ci offre tutti i liquori, tutti i sapori, tutte le forme dell’ebbrezza alcoolica. Se un uomo sano e sapientemente epicureo avesse nella sua cantina un rappresentante almeno d’ogni specie, o almeno d’ogni genere, anche soltanto d’ogni famiglia di vini, sarebbe sicuro di poter scrivere nella sua vita molte e molte ore albo lapillo; sarebbe sicuro di guarire forse la metà delle indisposizioni fisiche e i tre quarti delle morali, sol che ad ognuna di esse potesse apporre quella speciale, specialissima bottiglia. Ma pur troppo, la più parte degli uomini non soltanto manca di questo Olimpo sotterraneo, contravveleno e medicina di tanti mali sublunari, ma manca di una modesta cantina, manca perfino dei pochi soldi che, ne’ paesi benedetti dalla vite potrebber bastare a rallegrare d’una sola popolana bottiglia il desco d’ogni giorno. E molti e molti muoiono senz’aver bevuto che alla domenica, e un vino così plebeo, così sguaiato e annacquato e sciupato, che a chiamarlo vino conviene fare la più sfacciata offesa che far si possa a tutto l’altro vino vero, onesto, bevibile. Quali abissi d’avvenire non ha mai dinnanzi a sè la civiltà, prima di portarci ad un più ragionevole riparto del bene e del male su questa terra!».





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