venerdì 29 marzo 2019

Beppe Severgnini / Le tante parole sul velo islamico



Le tante parole 
sul velo islamico

La Corte di Giustizia di Lussemburgo ha deciso che un’azienda privata può imporre ai dipendenti in contatto col pubblico di evitare simboli religiosi, politici o filosofici. Tra questi, il velo islamico. Ma la decisione apre più problemi di quanti ne risolva

di Beppe Severgnini
15 marzo 2017 (modifica il 16 marzo 2017 | 17:20)

Ringraziamo la Corte di Giustizia di Lussemburgo. Ci ha fornito l’occasione per una di quelle discussioni che, in Italia, piacciono tanto: confusa, cattiva e sostanzialmente inutile. Cos’ hanno deciso, i giudici europei? Che un’azienda privata può imporre ai dipendenti in contatto col pubblico di evitare simboli religiosi, politici o filosofici. Tra questi, il velo islamico.

Primo punto: quale? Di «veli islamici» ne esistono tre: il burqa, che copre interamente il corpo e il volto di una donna; il niqab, che le lascia liberi gli occhi; e il hijab, che le lascia scoperto il volto. È il velo che incontriamo spesso, ormai; senza sentirci turbati. Un foulard, in sostanza. Le monache, le donne sarde e le dive del cinema anni ’60 l’hanno indossato a lungo, senza destare scandalo.

In verità la sentenza — destinata a diventare un precedente di riferimento in tutta l’Unione europea — apre più problemi di quanti ne risolva. Un’azienda privata, a questo punto, potrebbe impedire al dipendente di esibire un ciondolo a forma di crocefisso, un copricapo ebraico, un simbolo buddista. I giudici, infatti, sono stati chiari: la norma non deve essere discriminatoria. Deve riguardare tutti i simboli di tutte le religioni (filosofie, dottrine politiche). È facile immaginare che il concetto verrà esteso alle aziende pubbliche e alle istituzioni. E allora — scommettiamo? — qualcuno proporrà di eliminare il Buon Natale! e il suono delle campane di Pasqua. Simboli religiosi, no?  Scivoleremmo così in una grottesca, isterica neutralità. Quella ha spinto molti americani, nauseati, a rifugiarsi nello scorrettissimo Donald Trump. La soluzione, invece, c’è. Sta nel luogo dove s’incrociano tolleranza, buon senso e tradizione.

Campane, presepi e crocefissi fanno parte della nostra storia comune europea; così la kippah, che abbiamo vergognosamente costretto a nascondere; così lo hijab, visto che la nostra società è cambiata e cambierà. Niente burqa e niente niqab, invece, neppure se una donna li scegliesse in libertà (cosa che raramente avviene); creano disagio e pongono problemi di sicurezza. Troppo semplice? No. Troppo complicata l’alternativa: credetemi.

CORRIERE DELLA SERA



Nessun commento:

Posta un commento