venerdì 24 agosto 2018

Josef Koudelka / L’amore per gli zingari


Josef
Koudelka
L’amore per gli zingari

JULY 11, 2012 9:00 AM
by ALESSIA GLAVIANO

Koudelka oggi ha 74 anni, è membro di Magnum dal 1970 e ha vinto tutti i premi possibili immaginabili, è uno dei padri storici della fotografia; parlare con lui è come incontrare Henri Cartier Bresson o Robert Capa.
Nato nel 1938 a Moravia in Cecoslovacchia, inizia a fotografare giovanissimo a 12 anni, studia e diventa ingegnere aeronautico, professione che abbandona nel 1967 per dedicarsi esclusivamente alla fotografia. Crescendo, i soggetti che fotografa sono gli attori in un teatro della sua città e gli amati zingari della vicina Romania.
Nel 1968, quando Josef è trentenne, la Cecoslovacchia sta vivendo la sua primavera, il riformista Alexander Dubcek ha preso il potere e abolito molte delle restrizioni imposte dal blocco sovietico. Poi una notte di agosto, appena rientrato da un viaggio in Romania dove aveva fotografato gli amici zingari, Josef riceve alle 3 del mattino una prima telefonata da un’amica che gli dice che le truppe russe stanno per entrare a Praga. Josef pensa che l’amica sia ubriaca e riaggancia, alla terza telefonata dell’amica sente il rombo degli aerei in cielo, e si precipita in strada, documenta così l’invasione sovietica di Praga con delle immagini che sono diventate una pietra miliare del fotogiornalismo.

Con l’aiuto di Eugene Ostroff, curatore dello Smithsonian Institution e di Anna Farova, una storica della fotografia riesce a far uscire clandestinamente i rullini da Praga e farli arrivare nelle mani di Elliott Erwitt – e quindi Magnum – a New York, le immagini fanno subito il giro del mondo ma per paura di possibili ripercussioni sulla sua famiglia Josef non vuole che fossero a lui creditate, compaiono quindi ovunque come scattate da P. P. – Prague Photographer. Solo nel 1984, dopo quindici anni, quando anche suo padre muore, Koudelka prende il dovuto credito delle foto pubblicamente.
Intanto nel 1969 l’ignoto fotografo di Praga riceve il premio Robert Capa dell’Overseas Press Club e Magnum gli offre una sovvenzione per fotografare gli zingari fuori dalla Cecoslovacchia per tre mesi, poi nel 1970 Erwitt lo aiuta a ottenere asilo politico a Londra, seguiranno diciassette anni di “vagabondaggio”, senza fissa dimora, poi nel 1987 riceve la cittadinanza francese e da allora vive fra la Francia e Praga, dove è potuto ritornare solo nel 1991.


Alla Fondazione Forma di Milano in mostra fino al 16 settembre gli zingari di Josef Koudelka, 109 immagini che compongono anche il libro edito da Contrasto. Una prima mondiale quella da Forma, un libro e una mostra che Koudelka aveva in mente da 43 anni, un primo progetto del libro era stato infatti già pensato dal fotografo negli anni ’70 prima di lasciare la Cecoslovacchia.
Ho intervistato Koudelka prima della conferenza stampa, nella giornata inaugurale della mostra. Le fotografie erano già tutte appese ma il prespaziato con il titolo della mostra bisognava ancora attaccarlo al muro: la prima versione a Koudelka non era piaciuta e la seconda versione era lì fissata temporaneamente con del nastro adesivo, mentre l’artista decideva – con i suoi tempi – se 5 cm più in alto o più in basso, più a destra o a sinistra. Non è stata impresa facile.
I miei dubbi su cosa aspettarmi da un fotografo come lui, che personalità potesse avere un uomo che ha fatto delle scelte di vita così radicali, si sono dissolti ben presto.

Dire che Koudelka è molto attento ai dettagli non sarebbe abbastanza. La sua attenzione anche al più piccolo dei particolari è maniacale. Josef è capace di stare ore in silenzio seduto davanti a un muro della galleria per decidere quale sia la sequenza migliore per le sue fotografie.
Il lavoro in mostra da Forma è uno dei documenti fotografici più importanti del ‘900. Koudelka inizia a fotografare gli zingari nel 1962, quando era addirittura vietato parlarne, e prosegue fino al 1971 documentando la vita delle comunità gitane di Boemia, Moravia, Slovacchia, Romania, Ungheria, Francia e Spagna. Il pregiudizio di allora non era diverso da quello di oggi, gli zingari rubano e uccidono, questo lo avevano detto anche a Josef, ma lui i gitani per la prima volta li incontra da adolescente a un festival di musica folk, e quello che lo colpirà sarà la loro musica ed espressività.
Zingari di Koudelka non è un lavoro politico, ma piuttosto un’analisi della vita, era questo l’obiettivo di Koudelka e la comunità gitana ne costituiva un condensato ideale: le stagioni della vita sono in essa perfettamente rappresentate e le emozioni vissute senza alcuno scrupolo o freno sociale.
Dopo averlo conosciuto capisco meglio questa necessità di fare ordine sempre presente nelle sue immagini, la cura per la composizione, la luce, niente è lasciato al caso. Quello che mi stupisce è che la stessa capacità di composizione del frame è presente nelle fotografie dell’invasione di Praga del ’68, com’è possibile avere questo occhio e questa capacità quando hai solo pochi istanti per scattare e devi anche stare attento a non farti scoprire?
È questo che divide la fotografia, il documento, dall’arte. Forse Koudelka abituato a fotografare gli artisti in palcoscenico era addestrato a comporre la scena, ma questo non basta a spiegare la genialità delle sue immagini, Koudelka non è un fotoreporter, la vita ha voluto che si trovasse a documentare un avvenimento storico e lo ha fatto nell’unico modo che conosceva, con il suo occhio, quello di un poeta che scrive con la luce.
Pensando alle scelte di vita di Koudelka, potrebbe sembrare strana la sua intransigenza arrivati alle sue fotografie: l’amore per gli zingari, le leggenda di un Koudelka che dorme per terra anche negli alberghi e che ha attaccato degli stuzzicadenti per la messa a fuoco alla sua Leica, e poi tre figli da tre donne diverse di tre paesi diversi, nessuna casa, nessun vestito se non quelli che indossa e un cambio, nessun compromesso, mai accettato lavori per i giornali ma solo commissioni governative, una vita vissuta mantenendo se stesso e i suoi figli solo con i premi, le sovvenzioni, la vendita dei libri ma non delle fotografie, che non vende perché lo irrita terribilmente pensare che chiunque possa possederle.
Strano ma forse invece ovvio, come se essendo umanamente impossibile raggiungere nella vita il livello di perfezione ottenibile con le immagini la sua esistenza fosse tutta tesa verso l’esperienza del mondo per poterlo “ordinare” nelle sue immagini. Un caos ordinato. Una totale identificazione con il medium.
Camminiamo insieme nello spazio della mostra, il maestro mi spiega che c’è una differenza fondamentale fra un libro e la mostra che ne espone le stesse fotografie: quando guardi un libro ne giri le pagine, se vai a una mostra invece guardi i muri, non si può pensare di adottare la stessa sequenza che hai nel libro per i muri.
Koudelka ha vissuto con queste fotografie per 43 anni, ne parla come si potrebbe fare dei propri figli, le ama e le rispetta, le stampe sono incredibili, le ha curate tutte una per una così come il libro, che ci tiene a precisare è stato prodotto da uno stampatore tedesco bravissimo di cui non riesco a capire il nome. È molto contento di avere trovato questo stampatore perché i libri che vede adesso in giro sono tutti “piatti”, brutti.
Mi racconta che negli anni ’60 per caso ha comprato un grandangolo da una vedova che vendeva tutto: il grandangolo è risultato l’obiettivo perfetto per i piccoli spazi in cui vivevano gli zingari. Poi, uscito dalla Cecoslovacchia, abbandona il grandangolo perché ormai quella tecnica l’aveva utilizzata e la ripetizione non lo interessa: prende una Leica 35 mm e inizia a girare il mondo.
Zingari di Josef Koudelka
Fondazione Forma per la Fotografia
Milano, Piazza Tito Lucrezio Caro, 1?
Dal 21 giugno al 16 settembre 2012
Tutti i giorni dalle 11 alle 21Giovedì e Venerdì fino alle 23. Chiuso il Lunedì
Per informazioni: 02 58118067
Per leggere il resto clicca qui

Video intervista Alessia Glaviano
Filmed and edited by Marco Morona
Special thanks Fondazione Forma per la Fotografia – Milano.

by Alessia Glaviano
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