sabato 6 marzo 2021

Born in the USA / Il podcast di Obama e Springsteen e la coolness che non si può spiegare

 

Born in the USA

Il podcast di Obama e Springsteen e la coolness che non si può spiegare

Barry e Bruce (scusate se li chiamo così, sono di provincia) hanno registrato otto puntate. Non se n’è saputo niente fino a lunedì sera, quando hanno messo le prime due su Spotify. Sono forse le più grandi star viventi, eppure si sforzano di sembrare solo tizi perbene che ragionano sul mondo. Poi, ogni tanto, si ricordano di sé


24 Febbraio 2021


«In superficie, Bruce e io non abbiamo molto in comune», spiega l’ex presidente Obama (vi spiace se lo chiamo Barry? Sono di provincia, mi prendo confidenze che nessuno m’ha dato), proseguendo poi a elencare le differenze tra lui e il suo amico – uno degli amici, ci ha già spiegato, con cui ha avuto varie conversazioni su come il 2020 ci ha scombussolati un po’ tutti.

Quando arriva a «lui è un’icona rock, io sono un avvocato e un politico: non altrettanto cool» capisci che eccolo lì, il paraculo: solo chi sa di essere il più cool del mondo si dà dell’uncool (e solo chi sa d’essere il più cool del mondo butta lì, in levare, che uno dei suoi amici si chiama Bruce Springsteen – vi spiace se lo chiamo Bruce? Noialtri davvero uncool ci allarghiamo sempre).Insomma, Barry e Bruce hanno registrato un podcast. Non se n’è saputo niente fino a lunedì sera, quando hanno messo le prime due puntate su Spotify. «Abbiamo aggiunto un terzo partecipante alle nostre conversazioni: un microfono». Se vi dicono che se sei mezzo celebre, una celebrità da concorrente di reality o giù di lì, allora non puoi più fare niente senza che si sappia, dite loro: Barry e Bruce hanno cominciato a luglio scorso a registrare un podcast senza che se ne sapesse niente fino all’altroieri.

Se, come me, siete devote a Springsteen da quand’eravate alle medie, vi addolorerà dover ammettere che il suo amico ex presidente è ben più figo e ben più paraculo di lui. Non è che Bruce non sia entrambe le cose, eh: ma Barry ha fatto della vocazione un mestiere.

Un esempio abbastanza all’inizio della conversazione. Bruce dice che da giovane si sentiva invisibile, e quell’invisibilità era dolorosa. Se non avete pratica dell’archivio springsteeniano, vi esorto a sospendere la lettura, ad andare su YouTube, e a cercare “Springsteen Hammersmith London”. Troverete il più strappamutande dei cantanti, un Bruce ventiseienne, che fa la più strappamutande delle canzoni, Thunder Road. Se avete visto e siete tornate qui, ora siete pronte a sentirmi dire che, se quel tizio lì nel 1975 è invisibile, io sono Wanda Osiris.

Ma, attenzione, il rilancio di Barry è ancora più sfacciato. Lo interrompe e gli dice che quella frase lì è la ragione per cui sono amici, perché Bruce una volta ha detto una cosa così e Barry (’n artro invisibile) si è sentito capito. Poi prosegue spiegando che, quando le loro mogli sono diventate amiche parlando dei difetti dei mariti, Michelle gli diceva lo vedi, Patti mi ha detto che Bruce capisce che non è un bravo marito, tu perché non sei come Bruce e non capisci i tuoi limiti? Se siete uomini (e non siete re dei paraculi come Barry) magari non lo capirete, ma vi assicuro che non c’è una cosa più seduttiva del marito che amorevolmente racconta che la moglie lo tratta come un poveretto. Barry le sa tutte.

Naturalmente i due parlano anche di temi altissimi, perché non si diventa né Barry né Bruce se non si ha la capacità di dissimulare il fatto che si sta sempre e comunque parlando di sé.

Springsteen racconta dei neri che erano a scuola con lui, al tempo stesso discriminati ed emulati, Obama gli cita Fa’ la cosa giusta, quella scena in cui Spike Lee chiede a John Turturro chi siano i suoi preferiti, nello sport Magic Johnson, nel cinema Eddie Murphy, nella musica Turturro prova a dire Bruce, ma Spike Lee gli dice che dev’essere Prince, perché Turturro è un italiano olivastro coi capelli strani, e insomma è più negro di lui.

Speriamo che, per aver mandato l’audio della scena in cui si dice «nigger this, nigger that», Obama non faccia la fine del giornalista del New York Times – ah, no: per licenziarlo dovrebbe avere un lavoro, e invece ha solo della fighezza.

Le puntate sono otto in tutto (usciranno una a settimana, ci toccherà aspettarle come le puntate degli sceneggiati quand’eravamo piccoli). Nella seconda, parlano di Clarence Clemons, di integrazione, di questione razziale. Un discorso che si potrà affrontare, dice Bruce, solo quando si decostruirà il mito della multiculturalità. Se li sentono da sinistra li linciano più di quanto non abbiano già fatto con lo spot della Jeep, quello mandato durante il Super Bowl, quello in cui Bruce diceva che bisogna abbandonare gli opposti estremismi e incontrarsi al centro.

Parlano anche di riparazioni, cioè della scuola di pensiero secondo cui, essendo la ricchezza americana in parte stata costruita sulla fatica non retribuita dei neri ridotti in schiavitù, i pronipoti di quei neri hanno diritto a essere risarciti.

È sempre una questione di classe sociale ben prima che di colore della pelle, Obama l’ha capito meglio di Jay Z, che lunedì ha venduto la sua etichetta di champagne alla multinazionale del lusso LVMH, e ha detto che era un segno di diversity che l’avessero acquisita: la diversity tra un miliardario nero e dei multimiliardari bianchi.

Obama nel podcast dice che le riparazioni non gli sembrano – che non gli sembravano da presidente – un obiettivo conseguibile, in una nazione che non riesce neanche a garantire scuole decenti ai bambini meno fortunati. Tuttavia dice che l’idea è teoricamente giusta, e che quindi è giusto parlarne anche se non è realizzabile. Ma la realizzabilità in politica è tutto, precisa spiegando che non puoi andare dove vuoi andare se non sai da dove parti, se non conosci «le coordinate attuali». «Una cosa che mi ha scioccato di recente è stata capire che le nostre attuali coordinate non erano solide quanto credevo: non credevo di vedere ancora gente coi cappucci bianchi e le torce», risponde Springsteen; e l’altro, spalla comica di gran talento: «Credevi che il nazismo non fosse più materia di dibattito?» «Sì, qualcosa del genere».

Insomma, dice il più figo del mondo che oltreché figo è anche saggio, «Credo che la traiettoria del genere umano vada avanti e verso l’alto, ma non dritta e non costante: si va a zig zag, e si fanno passi indietro».

Sono due star, forse le due più grandi star viventi, eppure si sforzano di sembrare solo due tizi perbene che ragionano sul mondo. Poi, ogni tanto, si ricordano di sé. Per diventare come loro, dice Springsteen all’inizio della conversazione, per credere valga la pena che milioni di persone sentano la tua voce, «Devi avere un bel po’ d’egotismo». Quell’altro lo interrompe correggendolo, conosce sé e quell’altro pollo, e sa che la parola precisa non è egotismo: «Megalomania»


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