sabato 27 febbraio 2021

Ragazzo Italiano / Com’è il grande romanzo italiano dell’esordiente professor Ferrari

 


Ragazzo Italiano

Com’è il grande romanzo italiano dell’esordiente professor Ferrari


Storia personale dell’Italia che esce dal buio e dal passato, anche se non del tutto, vacillando, ubriaca e facendocela a metà. Praticamente come oggi, anche se oggi non c’è nessuno che ci tiene per mano


Simonetta Sciandivasci
14 Febbraio 2020


Ragazzo italiano, titolone che piacerà ai sovranisti residui, è il primo romanzo di Gian Arturo Ferrari, il primo che scrive lui, dopo che per anni s’è occupato dei romanzi degli altri. Parla di Ninni, che però è una scusa, quello che nei libri si chiama espediente narrativo, per parlare di dopoguerra, il grande romanzo italiano, romanzo a sé, inconcluso, tradito, forse fallito, e che Ferrari racconta in trecento pagine e descrive in un rigo, il primo, in incipit. Questo: “Andavano sgangheratamente nella notte, il bambino e la nonna, sembravano due ubriachi”. Sono Ninni e sua nonna che, insieme a tutta la famiglia, vanno a prendere il treno per Milano, dove si trasferiscono per sempre, dall’Emilia. Ed è l’Italia che esce dal buio, dal passato, anche se non del tutto, vacillando, ubriaca, spaventata, con gli occhi asciutti, facendola per metà.


Photo by Tommaso Pecchioli on Unsplash

Ferrari racconta molto della baldanza di quegli anni, dei contrasti, della spavalderia delle città e della contrizione delle campagne, dell’imbarazzo della provincia, e lascia soltanto trasparire quello che Carlo Levi, invece, aveva indagato a fondo, del dopoguerra, ne L’orologio, e cioè la corruzione, il vecchio che mangia il nuovo, il compromesso che stritola tutto, i partiti che cercano di riaversi dalla dissoluzione, la politica che non riesce a farsi guidare dai ragazzi italiani, a essere una ragazza. Come è scissa in Ferrari, la notte del dopoguerra italiano, lo è anche in Carlo Levi. Scissa tra presagio cattivo e buon auspicio. Così (prendiamo da Levi): “La notte a Roma par di sentir ruggire i leoni. Un mormorio indistinto è il respiro della città, e a tratti un rumore roco di sirene, come se il mare fosse vicino, e dal porto partissero navi per chissà quali orizzonti. E poi quel suono, insieme vago e selvatico, crudele ma non privo di una strana dolcezza, il ruggito dei leoni, nel deserto notturno delle case”. A Milano non ruggiscono i leoni, ma parlottano i rampolli dell’alta società, e fanno la stessa paura, rappresentano lo stesso limite, impongono la stessa scelta: o ti adatti a loro, o diventi il loro nemico. All’inizio Milano è, per Ninni che ci arriva bambino, povero, incerto, balbuziente, con una famiglia capeggiata da un padre orgoglioso e rigido, e senza santi in paradiso, un posto dove i gradini si possono salire se si hanno fiato e tenacia. E Ninni ha entrambi, più la mano della nonna, finché non s’accorge però che quella possibilità aperta era finta, che nella società giusta, buona, alta, lui sarebbe stato sempre un estraneo, perché ha addosso il mondo agricolo, e allora si fionda sui libri con una convinzione e una passione raddoppiata rispetto a quella dei primi incontri con la letteratura, quando era bambino, e le storie gli servivano per evadere e non per andare a fondo e stare nel mezzo.

Se la Roma del dopoguerra che racconta Levi vede già il fango, la Milano di Ferrari è ancora arrembante, febbricitante per la ricostruzione, accelerata fino alla spietatezza. Ninni va, procede, cresce sgangheratamente tra il mondo rurale dal quale proviene e quello industriale e metropolitano che gli si dipana intorno. Milano è la città di cui Ninni si innamora con grande spavento, non volendosi concedere completamente e subito proprio perché teme che cancelli, in lui, le tracce del mondo da cui arriva. E tuttavia non le resiste, non può farlo. Milano gli offre la luce quando lui s’aspetta la nebbia, gli fa incontrare il professore d’italiano che gli insegna che per pensare, parlare e poi è scrivere è necessario prima di tutto imparare a distinguere le cose importanti da quelle che non lo sono. La selezione, l’attività più politica di tutte (lo ha scritto non molto tempo fa John Freeman, giovane editore statunitense ed ex direttore di Granta: il modo in cui la letteratura può fare politica è fare antologie, cioè selezioni).

Milano è l’incontro con il sesso, l’adolescenza, la politica, le ragazze, il preside ebreo che sa cos’è successo al suo popolo prima che l’Europa lo sappia, lo accetti e cominci a raccontarlo. Milano è la borghesia “colta, avanzata, pensosa ma con verve” che gli dimostra quali sono le regole per farsi accettare, quanto è bello riuscirci, quanto calore dà. Ninni però ha letto troppi libri, incontrato troppe persone, amato troppo sua madre e sua nonna, donne si storie e fantasia e sogni puri, per accontentarsi, per non accorgersi che c’era “una punta di falso”, e che la sola cosa che contava per quel mondo, e cioè l’appartenere, non contava per lui.

La seconda parte del dopoguerra, e della vita di questo ragazzo italiano, è stata il tentativo di emanciparsi da quell’appartenere. Non ci siamo ancora riusciti, in provincia e in città, ed è per questo che il dopoguerra è un romanzo inconcluso e ancora così vivo, e istruisce ancora libri intensi, pieni di presente. Come questo, che è antico, invidiabile, novecentesco, e pieno di spiegazioni sull’oggi indispensabili per il domani.

Andiamo ancora sgangheratamente nella notte, però senza nonni che ci tengono per mano, e chi lo sa se è un bene o un male.


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giovedì 25 febbraio 2021

I primi 21 libri da leggere nel 2021

 

da Unsplash

I Migliori Libri

I primi 21 libri da leggere nel 2021


Conferme, esordi e ritorni inaspettati di un anno di romanzi e di saggi che potrebbe essere ricordato come uno dei migliori


Dario Ronzoni
1 Gennaio 2021

Nell’incertezza dei primi mesi del 2021 qualche punto fermo c’è: tantissimi libri in uscita. Molti sono interessanti e ogni tanto svetta pure un capolavoro. In traduzione o meno, sono opere che vale la pena leggere, grazie a nomi noti che ritornano, qualche esordio e diverse conferme.

Si comincia con un esordio: “Un cazzo ebreo”, di Katharina Volckmer (La Nave di Teseo), è un flusso di pensiero continuo, irriverente e dissacrante in cui la protagonista passa da sogni di sesso con Hitler (!) al senso di isolamento provocato da una società oppressiva nella sua normalità.

Il 13 gennaio Iperborea propone “Il Guardiano”, di Peter Terrin, uno degli scrittori più importanti della letteratura belga ma in lingua olandese. Racconta la storia di due uomini che, in un universo feroce e alienato, cominciano una lenta discesa agli inferi…

.. cioè più o meno dove ci troviamo noi. Lo spiega Luca Ricolfi che con “La notte delle ninfee” (La Nave di Teseo) mette in fila ritardi, errori e dolori di una pessima gestione dell’emergenza (quella italiana). Il sottotitolo, indicativo, è “Come si malgoverna un’epidemia”.

Imperdibile è anche “Chiaroscuro”, anche questo un esordio, di Raven Leilani (in Italia per Feltrinelli), una storia di formazione, un romanzo di sesso e sentimento, una indagine contemporanea dei conflitti di classe e razza. Il tutto attraverso gli occhi di Edith, 23enne afroamericana in subaffitto a Brooklyn.

Marsilio esordisce con “Le ripetizioni”, romanzo di Giulio Mozzi che racconta, con una scrittura avvolgente, le avventure di Mario, personaggio bizzarro a metà tra la verità e la finzione, in cui il vero tratto di stranezza è proprio il totale disinteresse a distinguere tra le due.

Sellerio comincia il nuovo anno con Alicia Giménez-Bartlett e la sua “Autobiografia di Petra Delicado”, libro in cui la poliziotta di Barcellona diventa la protagonista della narrazione, spostando l’attenzione dal caso di indagine alla propria esistenza. Nello stesso giorno verrà pubblicata anche la nuova traduzione, a cura di Tommaso Pincio del classico di George Orwell, “Millenovecentottantaquattro” classico sul totalitarismo, la dittatura del pensiero e l’infelicità umana. Da leggere di nuovo.

Il 19 gennaio Mondadori fa uscire “Una storia americana”, di Francesco Costa: il giornalista del Post, esperto di Stati Uniti, fa il punto della situazione dopo quattro anni di Trump, un anno incredibile come il 2020, e le elezioni più assurde della storia americana. Per dare un saluto informato alla nuova presidenza di Joe Biden e Kamala Harris.

Della scrittrice canadese Miriam Toews sarà possibile leggere, con 20 anni di ritardo, uno dei suoi libri più belli: “Swing Low” esce il 20 gennaio (marcos y marcos) e racconta la tragedia vissuta dall’autrice di fronte al suicidio del padre. Riesce a essere profondo e leggero insieme.

Il 21 gennaio Feltrinelli pubblica “In Inverno”, di Karl Ove Knausgård, il secondo capitolo della serie delle stagioni. Sono meditazioni, pensieri e riflessioni che accompagnano l’attesa da parte dello scrittore, della nascita della figlia.

Di Joyce Carol Oates, sempre La Nave di Teseo pubblicherà “Rischi di un viaggio nel tempo”, distopia originale, romanzo di fantascienza con storia d’amore, nel quale andare nel passato è utilizzato come punizione. È quella che subirà la protagonista, idealista e ribelle, che sarà mandata in un campo di riabilitazione di 80 anni prima.

A metà tra gennaio e febbraio Einaudi pubblica la traduzione dell’ultimo libro di Don DeLillo, uscito a ottobre negli Stati Uniti. “Silenzio” racconta la storia di un blackout tecnologico in occasione del Superbowl 2022, con tutte le riflessioni che ne seguono.

Da non perdere anche “Sembrava bellezza”, ultima opera di Teresa Ciabatti (esce per Mondadori), l’autrice toscana che i lettori hanno cominciato ad amare nel 2017 quando arrivò seconda al premo Strega con “La più amata”.

Hervé Le Tellier, scrittore, poeta e linguista francese ha vinto nel 2020 il Premio Goncourt per il suo “L’anomalia”, romanzo straniante ambientato (a metà) su un volo Parigi-New York. In Italia lo pubblica La Nave di Teseo. Tra i personaggi, oltre a un serial killer malato e una montatrice con problemi sentimentali, compaiono anche Macron, Trump e Xi Jinping.

Il 14 febbraio ecco per Fazi “Cuori vuoti” romanzo della tedesca Juli Zeh ambientato in un 2025 apocalittico (post-Brexit, post-Trump e post-Frexit) dove la Germania è sconvolta da una crisi finanziaria globale, attraversata da migrazioni di massa e segnata dal trionfo di un movimento ultrapopulista.

Uno dei primi eventi globali è, il 16 febbraio, la pubblicazione di “Come evitare il disastro climatico” di Bill Gates. Il libro è, più che una denuncia, un manuale da seguire per evitare il disastro ambientale. Il celebre imprenditore e filantropo americano fa il punto di decenni di studi sul tem e individua alcune strategie per salvarsi. Esce in contemporanea mondiale il 18 febbraio, in Italia lo pubblica La Nave di Teseo.

Di Matteo Codignola, editor autore e traduttore, esce per Adelphi “Cose da fare a Francoforte quando sei morto”, una commedia ambientata alla Fiera di Francoforte, sorta di «festa mobile vagamente esoterica, dove, in un tintinnio di calici, e a volte in un fruscio di lenzuola, signore e signori molto lungimiranti decidono cosa il pubblico dovrà comprare e leggere (soprattutto, comprare) nei dodici mesi successivi».

A fine febbraio (il 25) è attesa l’uscita, per Guanda, di “L’ultima estate”, dello scrittore egiziano (naturalizzato statunitense) André Aciman. Il romanzo sarà una riflessione su una storia di turismo e amore ambientato sulla costiera amalfitana.

Il 28 febbraio Il Mulino celebra l’anniversario dantesco pubblicando “Le donne di Dante”, di Marco Santagata, esimio dantista morto nel 2020. Il libro è un’indagine sulle figure femminili che hanno accompagnato, in forma immaginaria e in modo concreto, la vita del celebre poeta.

Il 2 marzo tutti aspettano, in contemporanea mondiale, l’uscita del nuovo romanzo di Stephen King, “Later”. Per l’Italia sarà pubblicato da Sperling & Kupfer. La trama raconta la storia di un ragazzino dalle doti uniche e figlio di madre molto bella ma in difficoltà.

31 marzo: c’è “Made in Sweden” di Elisabeth Åsbrink, pubblicato da Iperborea. Un libro per capire la Svezia, la natura, l’anima sociale, le storie dei suoi grandi personaggi come il biologo Linneo, gli Abba, Zlatan Ibrahimović e Ingmar Bergman.

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mercoledì 17 febbraio 2021

Patricia Highsmith / Il talento di Mr. Ripley

 


Patricia Highsmith

Il talento di Mr. Ripley

Napoli, anni cinquanta. Il giovane e spiantato Tom Ripley sbarca da New York in missione per conto del ricco Mr. Greenleaf. Deve convincere il figlio di lui, Dickie, a ritornare in America. Ma l’incontro con Dickie, un ragazzo bellissimo che dalla vita ha avuto tutto, fa nascere un’idea nella mente di Tom: non potrebbe sostituirsi a lui e vivere una vita senza problemi? È l’inizio di un’avventura insieme terribile e coinvolgente, in cui Patricia Highsmith conduce per mano il lettore nei percorsi mentali di un assassino senza scrupoli, e forse proprio per questo irresistibile. Torna finalmente in una nuova edizione rivista il capolavoro di Patricia Highsmith, il romanzo che ha scolpito per sempre nella storia della letteratura un personaggio indimenticabile: Tom Ripley. “Patricia Highsmith racconta gli uomini come un ragno racconterebbe le mosche.” Graham Greene

KOBO


lunedì 15 febbraio 2021

Patricia Highsmith / Il diario di Edith

 


Patricia Highsmith

Il diario di Edith

Edith è una donna apparentemente forte, allegra e sorridente, ma qualcosa di oscuro si annida dentro di lei. Cerca di non dare troppo peso a quei momenti di buio che a volte l’assalgono senza una ragione precisa, e con questa serenità affronta anche il divorzio dal marito. Edith, per sfuggire al grigiore della propria esistenza, incomincia a costruirsi un’altra vita nelle pagine del suo diario, in cui il figlio scapestrato è un brillante ingegnere con una moglie carina e una nipotina adorabile. Forse una semplice valvola di sfogo, se non fosse che nella vita reale Edith comincia a sentirsi strana, come se qualcosa si stesse lentamente incrinando dentro di lei. Una nuova edizione per uno dei romanzi più amati della regina del thriller, un viaggio nella mente di una donna, nelle sue paure e nella sua sfrenata fantasia. “Un libro di straordinaria forza e immaginazione, il miglior romanzo di Patricia Highsmith, il suo capolavoro.” The New Yorker “Da qualche parte la Grazia deve pur apparire, e infatti si posa nella mente di Edith.” Elfriede Jelinek, Premio Nobel per la Letteratura


KOBO






venerdì 12 febbraio 2021

Patricia Highsmith / Sconosciuti in treno

 


Patricia Highsmith

Sconosciuti in treno

"Io ucciderò sua moglie e lei ucciderà mio padre. Ci siamo incontrati in treno e nessuno sa che ci conosciamo. Un alibi perfetto.” Avvicinato da uno sconosciuto in uno scompartimento di un treno con una proposta decisamente inconsueta, e molto pericolosa, l’insicuro e tormentato Guy Haines si trova, quasi contro la sua volontà, invischiato in un incubo da cui non potrà più sottrarsi. Il romanzo d’esordio di Patricia Highsmith, che ha ispirato il film di Alfred Hitchock L’altro uomo, è un thriller a orologeria su un delitto perfetto e, insieme, un’indagine nel profondo della psiche dei due protagonisti, due uomini legati da una complicità che li porterà a superare ogni limite. “Un gioiello… Una suspense eccezionale.” Daily Mail “Nessuno è bravo come Patricia Highsmith a scovare la minaccia che si annida nella quotidianità più familiare.” 


Time

KOBO


lunedì 8 febbraio 2021

Patricia Highsmith / Carol

 




Patricia Highsmith
CAROL


Therese, diciannove anni, è un’apprendista scenografa che, per raggranellare qualche soldo, accetta un lavoro temporaneo in un grande magazzino durante il periodo natalizio. Il suo rapporto sentimentale con Richard si trascina stancamente, senza alcuna passione tra voglia di coinvolgimento e desiderio di fuga. La vita le appare come una nebulosa, come un’enorme incognita che non sa affrontare, finché in una gelida mattina di dicembre, nel reparto giocattoli dove lavora, non compare una donna bellissima e sofisticata, in cerca di doni per la figlia. I grigi occhi della sconosciuta catturano Therese, la turbano e la soggiogano e d'un tratto la giovane si ritrova proiettata in un mondo di cui non sospettava nemmeno l'esistenza. È l'amore, delicato e titubante, languido e diverso, disperato e segnato da crisi e recriminazioni, eppur sempre sconvolgente come la vicenda che le due donne si apprestano a vivere, una storia in cui Patricia Highsmith ha saputo fondere con maestria la supense dei suoi thriller e la dolcezza del suo animo. “Una tormentata storia d’amore, un libro perfetto.” 

The Independent






domenica 7 febbraio 2021

Vino, olio, pasta / Le eccellenze che vengono dalla campagna

 


Made in Italy 2021

Vino, olio, pasta: le eccellenze che vengono dalla campagna



Ci sono prodotti che sono ambasciatori dell’Italia in tutto il mondo, prodotti che nascono dalla terra: il lavoro dei campi non può fermarsi, neanche a fronte della pandemia. Quale futuro attende queste realtà nel nuovo anno?


Daniela Guaiti
11 Gennaio 2021

Vino, pasta, olio: simboli del made in Italy, di un’Italia che sa produrre cose buone non solo per gustarle, ma anche per portarle nel mondo. Prodotti semplici e meravigliosi, che nascono dal lavoro dell’uomo nelle campagne: un lavoro che non può conoscere soste. Il 2020 con il coronavirus ha certamente creato problemi al settore dell’agricoltura: quali sono le prospettive per il 2021? Lo abbiamo chiesto a chi fa e vende vino, olio e pasta, a disegnare uno spaccato sul futuro delle nostre eccellenze.

Il vino: un sorso di ottimismo

«L’Italia del vino deve essere ottimista, la vendemmia 2020 è stata qualitativamente importante e quantitativamente in linea con le aspettative, abbiamo a livello globale il miglior rapporto qualità prezzo e un must che è il Made in Italy. I dati, le proiezioni e l’interesse verso il nostro settore ci danno dunque delle prospettive positive per il 2021, idealmente da primavera, la variabile indipendente è però ancora legata alla pandemia da Covid-19».  Così Corrado Mapelli coo  – member of board di Gruppo Meregalli, azienda leader nella distribuzione di alcolici. «Questo 2020 inevitabilmente è stato un anno difficile – continua Mapelli – perché oggi il vino è anche sinonimo di aggregazione, di celebrazione, di compagnia e purtroppo quello che stiamo attraversando ha inevitabilmente frenato i consumi praticamente azzerando per più mesi il consumo fuori casa…. È cresciuto l’on-line e l’asporto ha retto, dunque un dato positivo per l’off-trade a fronte del forte calo nell’on-trade». Se poi proviamo a ipotizzare quali saranno i prodotti italiani più richiesti, Mapelli non ha dubbi: «I “grandi” territori, le “grandi” DOC, DOCG, i Brand più importanti soprattutto per l’export saranno i più richiesti, ma credo che lo stesso valga anche a livello Nazionale. Siamo (e forse saremo ancora) in un periodo dove prevale l’incertezza, dove purtroppo tutto cambia di settimana in settimana e dunque anche inconsciamente le scelte che facciamo sono orientate verso ciò che ci dà qualche certezza, verso qualcosa di noto, di sicuro».

L’ottimismo è presente anche nelle parole di chi il vino lo fa: parliamo di Prosecco, sicuramente un’icona del vivere all’italiana, e ne parliamo con Federico Dal Bianco, vicepresidente di Masottina: «la nostra azienda nasce nel 1946, un anno dopo la fine della Seconda guerra mondiale, in un territorio che è stato in prima linea nel conflitto. Questo nostro inizio ci ha reso inclini alla rinascita, al cambiamento. Il 2020 ha portato tutti noi ad affrontare una crisi sanitaria, sociale ed economica di proporzioni impensabili. Ci siamo trovati tutti spiazzati, ma questo dilatarsi del tempo ci ha anche permesso di guardare dentro alla nostra organizzazione aziendale per trovare nuovi spunti per innovare e migliorare. Questa crisi ci ha insegnato come sia importante investire nella multicanalità e sullo sviluppo di prodotti biologici sempre più richiesti dai consumatori. La mia famiglia lavora da sempre al rispetto dell’ambiente, perché è proprio la terra il nostro più importante alleato e bene prezioso». Forte di questo impegno, Masottina riesce a puntare sul futuro: «L’anno prossimo vedrà la luce un prodotto a cui sia io che mio padre, Adriano enologo dell’azienda, teniamo in particolar modo, il Prosecco DOC Treviso Rosé. Per quanto riguarda i mercati siamo cresciuti in UK, nonostante l’instabilità dell’emergenza e nonostante la Brexit, grazie anche e soprattutto al Prosecco Doc Rosé che ci ha permesso un incremento oltre il 30% a valore e una previsione di un’ulteriore crescita per il 2021. Altri importanti incrementi sono stati registrati in Svizzera del 46%, in Svezia e Nuova Zelanda, forti della strategia di multicanalità intrapresa».

La pasta, un bene rifugio

«La pasta nel 2020 si è rivelata un bene rifugio.  Ovviamente noi sapevamo già che gli Italiani la consideravano tale, ma anche chi l’aveva abbandonata per cibi considerati erroneamente più contemporanei si è dovuto ricredere. La pasta è buona, facile da cucinare, mette d’accordo tutta la famiglia, può essere abbinata a un numero infinito di condimenti». Le parole di Riccardo Felicetti raccontano non solo l’amore degli Italiani per un prodotto che non deve mai mancare in tavola, e che è stato visto come una fonte di sicurezza in un periodo di grandi incertezze, ma anche l’annata positiva vissuta dall’azienda di famiglia, il Pastificio Felicetti: «non abbiamo avuto flessioni, anzi, i consumi di pasta sono aumentati di oltre il 20% negli ultimi mesi. Un consumo prevalentemente domestico, in quanto al ristorante non ci si poteva andare, nemmeno in pausa pranzo!». E per l’anno prossimo? «La filiera del grano e della pasta è stata tenuta in sicurezza e per il 2021 faremo in modo di continuare nella nostra impostazione, per continuare a garantire le forniture a chi non l’ha mai abbandonata e a chi invece si nuovamente affezionato alla pasta».

La via dell’olio

Per quanto riguarda l’olio, le maggiori difficoltà si sono registrate per quei produttori che riforniscono prevalentemente i ristoratori. Orizzonti più rosei per chi si rivolge al consumo domestico. È il caso di Pietro Coricelli. «Il 2020 , nonostante le grandi difficoltà di gestione e soprattutto la preoccupazione data non solo dal contesto socioeconomico ma anche dalla sicurezza per i nostri collaboratori, in ambito lavorativo è stato un anno gratificante» dichiara Chiara Coricelli, Amministratore Delegato dell’azienda, che continua: «abbiamo consolidato la nostra posizione in Italia ampliando la distribuzione ponderata e arrivando a una quota di mercato vicina all’8%, confermando il ruolo di quarto operatore nazionale nel settore oleario. Sicuramente il nostro focus sul canale retail in italia ha aiutato a raggiungere questi risultati positivi: il canale retail in Italia segna infatti +35% rispetto al 2019. Il 2021 che si sta affacciando si presenta più difficile per il settore oleario. I mercati si sono bruscamente innalzati a causa della scarsa produzione di extra vergine nazionale (praticamente dimezzata rispetto alla precedente) e a una produzione spagnola (leader mondiale per volumi) rallentata dalla pioggia e di conseguenza dalla visione ancora incerta per il futuro».

Diverso il punto di vista delle piccole realtà, come Poggio Torselli, azienda prevalentemente vinicola che lega la produzione di olio all’attività di enoturismo: «è lì che raggiungiamo i più alti margini di guadagno, lavorando su formati molto piccoli. Ma quest’anno la componente delle degustazioni è mancata. Questo per la campagna 2019, che ha visto poca produzione, non è stato un dramma, ma se la tendenza rimane questa, nel 2021 si rischia di rimanere con molto olio invenduto: la produzione del 2020 infatti è stata molto interessante sia per qualità che per quantità, dopo annate difficili. Ecco, se manca il contributo dell’enoturismo per noi sarà un problema, perché la vendita sui canali tradizionali ci lascia un margine ridotto».


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giovedì 4 febbraio 2021

Emma Cline mette in scena Weinstein ma senza cedere alla retorica del #MeToo


Dalla parte del mostro

Emma Cline mette in scena Weinstein ma senza cedere alla retorica del #MeToo

“Harvey”, pubblicato da Einaudi, racconta le ultime ore di un personaggio già condannato, che tra autocommiserazione e distacco dalla realtà cerca un riscatto che non arriverà mai. Una situazione che mette in mostra, più di tutto, la sua sicurezza di impunità e la convinzione che il sistema lo avrebbe salvato


Dario Ronzoni
5 Novembre 2020

Guarda di continuo serie su Netflix. Si cerca su Google in modo ossessivo. Passa le ultime ore da uomo libero, o semi-libero (il dettaglio del braccialetto elettronico alla caviglia, che fa a pugni con i calzini rossi di ispirazione papale è un segno infausto) dedicandosi a trattamenti per il mal di schiena e dedicandosi a progetti irrealizzabili.



Il protagonista dell’ultimo libro di Emma Cline ha un nome famoso, Harvey (che dà anche il titolo) e un cognome – Weinstein – che rimane sottinteso. Quelle raccontate sono le sue ultime ore prima della condanna definitiva: il lettore, che sa già la fine, lo trova in una lussuosa villa dispersa nel Connecticut, dove si trascina su e giù dai diversi piani e cerca distrazioni dal turbine di pensieri che lo assilla. 

Una è l’autocommiserazione: «Stava dimagrendo. Buffo che alla fine fosse bastato questo. Altro che i medici supercostosi, le buste di vitamine in sostituzione dei pasti, una notte di polisonnografia al Weill Cornell e il corso di pilates durante il giorno. Si era scoperto che bastava l’annientamento totale. Il tentato annientamento, si corresse, la minaccia dell’annientamento». Una correzione importante: Harvey non è un uomo disperato, anzi. Il processo è una seccatura, l’assoluzione è una formalità, bisogna aspettare. «È l’America, dopotutto», si ripete. Mentre scaccia il fantasma di Epstein, che si è suicidato in carcere. A lui non capiterà, ripete: Lui «era soltanto un uomo, soltanto un uomo con i calzini rossi e la maglietta troppo sottile, un dolore al molare sinistro e la schiena che stava praticamente per collassare».



L’altra è la superstizione: Harvey esce dal giardino della casa, incontra il vicino e riconosce nei suoi tratti lo scrittore Don DeLillo. Un segno del destino: «Perché mai si ritrovava qui, sulla terra, nell’anno 2020, in una casa che guarda caso era vicina a Don DeLillo, se non per quel vicino intento? Se non per imbattersi in quella precisa circostanza, per vivere quel fortuito incontro di menti?». L’idea è la trasposizione cinematografica di “Rumore bianco”, «il libro che era impossibile trasporre», con cui si sarebbe riscattato e avrebbe risalito la china. Ma è un delirio: Harvey non conosce il testo, sbaglia le citazioni, e chissà se quell’uomo è davvero lo scrittore.

La sua ansia furiosa di evitare la realtà – gli avvocati, la visita della figlia con nipote, il freddo aiuto di Gabe, il suo cameriere – sono tutti segnali: chi conosce già la fine, sa cosa vogliono dire: «Invece forse a Harvey era sfuggito qualcosa, qualcosa di evidente. Possibile che i suoi istinti l’avessero allontanato tanto dalla realtà? Forse… forse. Come quando sua moglie gli diceva che lo amava. Lui spesso le aveva creduto».

Harvey suscita compassione? No. Ma Emma Cline non ritrae un mostro, non rappresenta un predatore seriale. Nel suo racconto non ci sono donne, non ci sono nemmeno i ricordi di donne.

Il protagonista solo una volta si abbandona a ricordi di quel genere. O meglio, a ricordi di potere: «Alla fin fine, per lui, a conti fatti, sarebbe stato tale e quale a qualsiasi altro momento vittorioso. Solo quello che intercorreva nel mezzo era diverso, creava un diverso susseguirsi di concessioni, le caratteristiche di ogni persona. Certe resistevano, certe no. Certe s’immobilizzavano, non muovevano un dito; certe si mettevano a ridere, a disagio. Lui assaporava tutto, perfino quelle vittorie minori: erano come gusti di gelato diversi. E alla fine era sempre soddisfatto, mentre l’altra persona annaspava, strizzava gli occhi, si spostava, una nuova vergogna stampata in faccia».

Il senso è tutto qui: nella fiducia immotivata – ma lui non lo sa – nel sistema che lo ha sempre protetto e sostenuto, nella fuga dalle responsabilità, dalla tendenza a minimizzare, negare, ribaltare le accuse e le responsabilità.

“Harvey” non è una sussiegosa presa di posizione sul #MeToo: racconta piuttosto gli effetti che ha un ambiente sulla psicologia del personaggio, che si traducono in abitudini e automatismi all’impunità. Una tendenza generale, una attitudine al cedimento radicata: «Okay – disse il dottore, tutto pimpante, – facciamo centoventicinque – come se la proposta fosse partita da lui. Nessuno voleva ammettere la propria debolezza, la facilità con cui si era pronti a cedere. Molto meglio fingere di far parte della brigata, salvare la faccia, anche con sé stessi».

La presa di Weinstein (pardon, Harvey) sugli altri somiglia alla stretta di mano di Donald Trump: violenta e compromettente al tempo stesso. Trasforma subito il collaboratore in un complice.

Harvey pensa di non essere colpevole ed è abituato a credere che basti: la convinzione è sufficiente. Il lettore sa che non è così, che tutto finirà di lì a qualche ora. Ma questo scontro con il destino non lo rende un personaggio tragico. Racconta solo la meschinità di chi, per inerzia e interesse, non riesce a vedere la realtà che monta, come un’onda, contro di lui.


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