Oliver Sacks
«Lasciai i ragazzi del mio reparto bruciando i manoscritti come Swift»
(Traduzione di Isabella C. Blum
Pubblichiamo un estratto dal libro di Oliver Sacks «In movimento», pubblicato in aprile nella versione originale inglese, che esce in Italia il 15 ottobre per Adelphi.
di Oliver Sacks
31 agosto 2015
I membri del personale sanitario, che si erano unanimemente opposti alla nostra escursione prevedendo che si sarebbe conclusa in un disastro, sembrarono infuriarsi quando ci ascoltarono descrivere il buon comportamento di Steve, la sua evidente felicità all'orto botanico, e la sua prima parola. Fummo accolti da facce scure. Avevo sempre cercato di evitare le grandi riunioni dello staff che si tenevano il mercoledì, ma il giorno dopo la nostra uscita con Steve il dottor Taketomo insistette perché ci andassi. Ero in apprensione per quello che avrei potuto sentire, e ancora di più per quello che avrei potuto dire. Apprensione pienamente giustificata.
Lo psicologo responsabile del reparto affermò che era stato istituito un programma di modificazione comportamentale, che il programma era bene organizzato e dava buoni risultati, e che io lo stavo mettendo a rischio con le mie idee di «gioco» svincolato da gratificazioni o punizioni esterne. Risposi difendendo l’importanza del gioco e criticando il modello gratificazione-punizione. Dissi che secondo me costituiva un mostruoso abuso a danno dei pazienti, perpetrato in nome della scienza, a volte in odore di sadismo. La mia replica non fu accolta troppo gentilmente, e la riunione si concluse in un silenzio carico di risentimento.
Due giorni dopo Taketomo salì da me e disse: «Gira voce che lei stia abusando sessualmente dei suoi giovani pazienti». Ero scioccato, e risposi che una cosa del genere non mi sarebbe mai passata per la mente. Io consideravo i pazienti come persone affidate a me, sotto la mia responsabilità, e non avrei mai usato il mio potere di figura terapeutica per approfittare di loro.
Mentre la rabbia mi montava dentro, aggiunsi: « Forse saprà che, quando era un giovane neurologo, Ernest Jones - collega e biografo di Freud - lavorò a Londra con bambini ritardati e disturbati finché non cominciarono a circolare voci che stesse abusando di loro. Quelle voci lo indussero ad abbandonare l’Inghilterra e ad andarsene in Canada».
Taketomo disse: «Sì, lo so. Ho scritto una biografia di Ernest Jones». Volevo rivoltarmi e dirgli: «Brutto pezzo di idiota, perché mi hai messo in questa situazione?», ma non lo feci; probabilmente pensava di non essere altro che il mediatore di una discussione civile.
Andai da Leon Salzman e gli raccontai la situazione; lui fu comprensivo e si irritò molto, prendendo le mie parti, ma pensava che - nel mio interesse - lasciare il Reparto 23 fosse la cosa migliore da fare. Nell’abbandonare i miei giovani pazienti provai un senso di colpa schiacciante, benché irrazionale, e la sera della partenza gettai nel camino i ventiquattro pezzi che avevo scritto su di loro. Avevo letto che Jonathan Swift, in un momento di disperazione, aveva gettato nel fuoco il manoscritto dei Viaggi di Gulliver , e che il suo amico Alexander Pope l’aveva recuperato. Ma io ero da solo, e non avevo un Pope che salvasse il mio libro.
Il giorno dopo la mia partenza, Steve fuggì dall’ospedale e si arrampicò in cima al Throgs Neck Bridge; per fortuna lo trassero in salvo prima che potesse buttarsi. Questo mi fece capire che l’improvviso abbandono dei miei pazienti, a cui ero stato costretto, era duro e pericoloso per loro almeno quanto lo era per me.
Lasciai il Reparto 23 ribollente di sensi di colpa, rimorsi e rabbia: senso di colpa perché abbandonavo i pazienti, rimorso per aver distrutto il mio libro, e rabbia per le accuse. Erano false, ma mi misero profondamente a disagio; così pensai che tutto quanto avevo espresso in poche parole decisive, a proposito della gestione del reparto, in quella riunione del mercoledì, l’avrei adesso rivelato al mondo intero, in un libro di denuncia che si sarebbe intitolato Reparto 23.
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