Scheletri nella nebbia |
Frank il quasi zombie
Perdendosi in ore e ore di vuoto...
Frank cantava come un ubriaco triste nella notte tempestosa. Ma ubriaco non era, poiché l’alcol non fa effetto a chi ha solo ossa. S’era risvegliato pochi giorni prima. Con le ossa aveva scavato nella terra dove un tempo l’avevano seppellito. Quando finalmente era uscito, le campane suonavano la mezzanotte. La prima cosa che aveva fatto era stato alzare le orbite oculari al cielo: la Luna… la Luna! Era grande, quasi piena.
Da quanto tempo Frank non vedeva la Luna? Avrebbe voluto piangere, ma si accorse che non poteva. Difficile piangere senza un apparato lacrimale. Si era guardato le mani, le braccia, le gambe… era tutto ossa. Devo essere morto da un po’, aveva pensato con un poco d’amarezza. S’era guardato attorno: dalle altre tombe erano usciti esseri umani mezzi decomposti, ma almeno non privi di sostanza, non privi di carne! S’era avvicinato al suo vicino di tomba: "Scusi, lei dev’essere il signor… James, sa che sta succedendo?" aveva chiesto leggendo premurosamente il nome del signore sulla sua lapide, per ricordargli chi era senza farglielo pesare nel caso l’avesse dimenticato. Ma James, di certo un gran maleducato, l’aveva schivato senza degnarlo di uno sguardo. Frank stava per protestare quando aveva pensato: "Povero signore! Ha gli occhi, ma probabilmente è quasi cieco come un neonato. E le orecchie di certo non funzionano bene, ecco che succede a non usarle per troppo tempo…". Allora Frank aveva deciso di andare in città per vedere cosa succedeva, che anno era e così via. Con sua grande sorpresa tutti gli zombie avevano cominciato a seguirlo. Forse essendo appena nati (beh, rinati) avevano bisogno di una guida, di una madre da seguire come gli anatroccoli. Ma ben presto Frank dovette rendersi conto che non seguivano lui, bensì il loro grande appetito di cervelli umani.
In città Frank, abbandonato per forza di cose il ruolo di guida dei rinati, aveva deciso di salvare dalla morte qualche essere umano nato una sola volta. Con grande coraggio aveva afferrato un manico di scopa e aveva dato una botta in testa a uno zombie che tentava di mangiare una ragazza, rintronandolo un po’. La ragazza aveva urlato: "Ammazzalo! Ammazzalo!". "Ma signorina," aveva risposto Frank, "si tratta pur sempre di un essere umano". Allora la ragazza gli aveva strappato il manico di scopa e aveva cercato di fracassare il cranio del povero zombie, ma Frank l’aveva fermata. A quel punto lei l’aveva guardato meglio: "Pazzo! Ti travesti da scheletro in un momento come questo? In cui i mostri sono dappertutto? Tu non hai cervello!". "E infatti non ce l’ho cara, mi sono risvegliato con questi… signori, ma senza carne". Allora la ragazza aveva strillato: "Muori, morto!" e gli aveva spaccato l’ulna. Frank era dovuto scappare via portandosi dietro il pezzo staccato. Però non aveva rinunciato a urlarle: "Penso che dato lo stato attuale delle cose, bisognerebbe ridefinire il concetto di morto!". Per fortuna nel caos generale aveva trovato della colla per tutte le superfici e si era riparato il braccio.
Ora Frank era solo. Era stato l’unico nei dintorni, e probabilmente in tutto il mondo, ad essersi risvegliato senza carne, senza stomaco, senza cervello, senza cuore. Non poteva unirsi agli zombie nella degustazione di cervelli. E non poteva neppure godere della compagnia dei nati una sola volta, che certo avevano cervelli freschi, ma spesso non li usavano. Però la tragedia più grande, più terribile, più insopportabile, era che non poteva aspettare con calma la fine dei tempi facendo razzia nei supermercati e rimpinzandosi di schifezze.
Perdendosi in ore e ore di vuoto Frank aveva cominciato a ricordare la sua vecchia vita. I ricordi lo prendevano come una marea, inondandolo di emozioni passate, ma così forti che a momenti si illudeva di avere ancora un cervello per pensare, un cuore per soffrire, delle lacrime da versare e delle labbra, per sorridere. Quei ricordi facevano parte di un altro mondo. Un mondo sparito molto tempo prima. Le memorie più dolci, e più tristi, erano quelle popolate da Giulia. Quante volte da vivo aveva combattuto le notti solitarie con quel nome sulle labbra… Giulia, quante volte aveva sperato di rincontrarla un giorno, oltre la vita e, ironia della sorte, oltre la carne. Invece non rammentava di essere passato per il Paradiso! Ma solo di essersi svegliato nel suo buco sotto terra. Frank era di nuovo solo, e questa volta per sempre. Giulia, lei… era scomparsa definitivamente dal mondo dei vivi. S’era fatta cremare. Del suo corpo non rimaneva che cenere sparsa al vento.
Molti nei panni di Frank si sarebbero disperati, e per un poco anche lui si lasciò andare; ma nella sua precedente vita aveva sofferto molto, e aveva imparato a farlo bene, era stato molto felice, e aveva imparato a godersi la felicità. Frank conosceva l’arte del vivere. Così, pur continuando a cantare canzoni tristi, cominciò a camminare. Il problema ora era trovare un’occupazione per passare il tempo: uno scopo, un progetto! Un giorno, per caso, entrò in un negozio di macchine fotografiche abbandonato: un po’ andando per tentativi, un po’ leggendo le istruzioni, imparò a usarle. Con un “sorriso” soddisfatto scelse di portarsi dietro una polaroid, tante pellicole e degli album da riempire. Camminando giorno e notte, ogni tanto remando, visitò e fotografò piramidi, templi buddisti, cascate spettacolari, anfiteatri, deserti, foreste, moschee, templi dell’Antica Grecia, grattacieli, castelli, fiordi, praterie, ghiacciai… Erano tutti occupati nella guerra e nessuno faceva caso a lui. Certo ogni tanto nelle foto apparivano cadaveri o zombie non molto fotogenici.
Frank perse la cognizione del tempo, e presto si ritrovò solo in un mondo deserto. A volte sentiva il vuoto nello sterno e si passava le dita tra le costole stringendo l’aria, disperato. Aveva girato tutto il mondo, per dimenticare la solitudine s’era concentrato sulla sua bellezza, ma senza fare nulla aveva lasciato che si svuotasse come un barattolo dove granchi prigionieri si uccidono a vicenda. Se si fosse sforzato di sicuro avrebbe trovato degli esseri umani comprensivi, o qualche bel gatto, e forse avrebbe potuto salvarli dai veleni andati fuori controllo durante la guerra. Ma Frank non poteva biasimarsi troppo: "Dopo tutto," si disse, "anch’io sono solo un essere umano". Though I've walked alone down this cold and soulless road, I've always felt you deep in my bones… cantava Frank camminando piano al chiaro di Luna.
Giunse in un vecchio laboratorio scientifico, prese tra le falangi le provette colme di microrganismi e sparse nuova vita per tutto il pianeta. In miliardi di anni nuove specie sarebbero nate, cose magnifiche sarebbero accadute. Frank sapeva e poteva aspettare: nel frattempo aveva da leggere, imparare e osservare tutto ciò che gli esseri umani avevano scritto, inventato, scoperto e creato. E di sicuro sarebbe riuscito, in tutto quel tempo, a scoprire o creare qualcosa anche lui.
Sono nata a Milano nel 1995. Racconto storie un po' pazze da sempre, il mio primo personaggio si chiamava Ponchio ed era un gatto cattivello (perdonatemi, ma avevo solo tre anni).
La mia passione mi ha portata a intraprendere studi classici, a pubblicare racconti già da qualche anno e a dedicarmi alla psicologia sociale e alla narrativa. Sto completando la mia prima raccolta di racconti. Punto forte: la fantasia.
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