Gabriel García Márquez |
IL RICORDO A UN ANNO DALLA MORTE
L’erotismo eterno di García Márquez lo scrittore che aveva la moglie maga
di Romana Petri
15 aprile 2015 | 08:15
Un giorno, lo scrittore Santiago Gamboa mi disse che Gabo non sarebbe mai morto perché aveva una moglie maga. In cambio, gli aveva chiesto l’assoluta fedeltà. «È già avanti con gli anni e malato» aggiunse. «Non gli costerà molto». E io ci avevo sperato. Adesso che è trascorso un anno dalla scomparsa di Gabriel García Márquez, il 17 aprile 2014, mi piace ricordarlo come i personaggi che inventava: un uomo morto ma anche vivo. Non ce n’è mai stato uno che non abbia portato con sé anche il suo doppio di «futuro trapassato» in un percorso perimetrale dove si entra come in un flusso e dal quale non si esce più. È il colonnello Buendía «che molti anni dopo, davanti al plotone di esecuzione...», è il corpo del Patriarca vissuto eternamente ed eternamente morto.
Ho l’impressione che lo scrittore colombiano continui a essere inseguito dalla sua ubiquità. Nulla può stupire se si tratta di chi ha avuto una nonna che parlava indistintamente con i vivi e con i morti, un padre guaritore e una madre chiaroveggente. Evidentemente sono stata contagiata da quell’autosuggestione collettiva che dominava nei suoi romanzi, dal suo real maravilloso , lì dove la morte era sempre la fedele accompagnatrice delle vite umane. Non mi stupirei nemmeno se, come Ursula di Cent’anni di solitudine , ci mandasse delle lettere da luoghi oltremondani. O se avesse fatto morire un suo sosia per assistere alla sua finta morte tanto per esorcizzarla un po’.
Nei suoi romanzi i defunti volevano continuare a comunicare con i vivi, non si ritenevano mai morti del tutto, perché erano convinti che nessun discorso potesse finire, che fosse d’amore o di odio. E ciò era possibile perché per Márquez l’unico tempo autentico era quello magico, dove tutto era destinato a ritornare in una durata bergsoniana. Non moriva mai il suo tempo, qualche volta sembrava offuscarsi, ma poi risorgeva. Per lui, così vitale e carnale, doveva essere una specie di compensazione.
Mi duole molto saperlo morto. Ha segnato la mia giovinezza. Senza mai usare parole eccessivamente osate , è stato uno degli scrittori più erotici che abbia letto. Con dolore mi chiedo: chi scriverà mai più di un Florentino Ariza che dopo aver trascorso la sera in un ristorante, tristemente seduto a un tavolo appartato, e aver guardato per tutto il tempo una tavolata dove c’era anche lei, Fermina, in compagnia del marito, attende che il ristorante si svuoti per chiedere al proprietario di vendergli il grande specchio nel quale, per tutto il tempo della cena, si era riflessa l’immagine dell’amata?
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