Premio Nobel per la Letteratura 2021 a Abdulrazak Gurnah
di CRISTINA TAGLIETTI7 ottobre 2021 (modifica il 7 ottobre 2021 | 20:27)
Nato a Zanzibar e arrivato in Inghilterra come rifugiato alla fine degli anni Sessanta, ha vinto per il suo lavoro sugli effetti del colonialismo e sul destino dei rifugiati
Abdulrazak Gurnah ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura 2021. Appartenenza, rottura, dislocamento: sono le parole del «fuori» per lui, a cui corrispondono quelle del «dentro»: perdita, dolore, recupero. Così, in un’intervista, riassumeva la sua poetica lo scrittore a cui ieri l’Accademia di Svezia ha assegnato il premio Nobel per la letteratura snobbando, ancora una volta, i grandi favoriti in nome di una scelta che nella scrittura cerca anche un’impronta politica e sociale. I bookmaker quest’anno puntavano su autori di grande popolarità — Murakami, Atwood, Ernaux, addirittura il politicamente scorretto Houellebecq — ma da sempre le scelte del comitato svedese navigano al largo del mainstream e vanno a pescare tra gusti letterari che non sono per tutti i palati, come è accaduto lo scorso anno con la poetessa americana Louise Gluck.
Nato a Zanzibar, in Tanzania, nel 1948, fuggito nel 1968 quando la minoranza di origine araba venne perseguitata, arrivato in Gran Bretagna come studente (ha insegnato letteratura all’Università del Kent), Gurnah ha iniziato a scrivere a 21 anni in inglese, anche se lo swahili era la sua prima lingua. La poesia araba e persiana, in particolare Le Mille e una notte, sono state una fonte importante di ispirazione, così le sure del Corano e le tragedie di Shakespeare. Come saggista ha dedicato testi critici ad altri scrittori postcoloniali appartenenti a due mondi (specialmente Africa, Caraibi, India) come V. S. Naipaul (Nobel nel 2001) o Salman Rushdie, a rappresentanti del meticciato culturale come il nigeriano Wole Soyinka (Nobel nel 1986) e il keniota Ngugi wa Thiong’o, da anni dato tra i favoriti a ricevere la medaglia d’oro dalle mani del re Carlo Gustavo di Svezia.
La motivazione della giuria menziona «la sua intransigente e compassionevole penetrazione degli effetti del col onialismo e del destino del rifugiato nel golfo tra culture e continenti» e in un audio pubblicato sul sito web della Fondazione Nobel, Gurnah, dopo aver rivelato di aver pensato a uno scherzo alla comunicazione di essere il vincitore, ha invitato l’Europa a cambiare la sua visione dei rifugiati dall’Africa e in generale della crisi migratoria: «Molte di queste persone vengono per necessità e anche perché hanno qualcosa da dare. Non arrivano a mani vuote. Molte hanno talento ed energia».
Autore di dieci romanzi e di diversi racconti (il primo libro, Memory of Departure, è del 1987), Gurnah è poco conosciuto in Italia, dove Garzanti ha pubblicato anni fa i suoi romanzi più noti: Il paradiso (1994), ambientato nell’Africa orientale coloniale durante la Prima guerra mondiale e selezionato per il Booker Prize, Il disertore (2005), storia di origini, amore, abbandono, e Sulla riva del mare (2001) con un anziano richiedente asilo che vive in una cittadina di mare inglese. Il suo ultimo romanzo, Afterlives, pubblicato l’anno scorso, «tentacolare e intimo» secondo la scrittrice etiope Maaza Mengiste che lo ha recensito sul «Guardian», prende in considerazione la presenza coloniale tedesca in Africa attraverso la storia di Ilyas, che, sottratto ai suoi genitori dalle truppe coloniali tedesche da ragazzo, torna al suo villaggio dopo anni di guerra contro la sua stessa gente.
La migrazione e lo spostamento, dall’Africa orientale all’Europa o all’interno dell’Africa, sono al centro di tutti i romanzi di Abdulrazak Gurnah. Con i suoi personaggi in bilico tra una nuova vita e un passato di cui conservano memoria, costantemente intenti a costruirsi una nuova identità per adattarsi ai loro nuovi ambienti, lo scrittore ha anticipato quella letteratura della migrazione e della multiculturalità oggi molto praticata dagli autori contemporanei più giovani.
Non c’è la nostalgia per un’Africa pre-coloniale, incontaminata e innocente, nei romanzi di Gurnah che, tuttavia, rompe consapevolmente con le convenzioni, ribaltando la prospettiva coloniale per mettere in evidenza quella delle popolazioni indigene. Il suo background, d’altronde, è un’Africa cosmopolita prima della globalizzazione, quella di Zanzibar, che, sotto diverse potenze coloniali — portoghese, indiana, araba, tedesca e britannica — ha avuto collegamenti commerciali con tutto il mondo. «I suoi romanzi rifuggono dalle descrizioni stereotipate e aprono il nostro sguardo su un’Africa orientale culturalmente diversificata e sconosciuta a molti in altre parti del mondo. Nell’universo letterario di Gurnah, tutto è mutevole — ricordi, nomi, identità. Questo è probabilmente perché il suo progetto non può raggiungere il completamento in nessun senso definitivo», ha scritto Anders Olsson, a capo del comitato del Nobel. Ieri, rispondendo alle domande dei giornalisti Olsson ha tenuto a precisare che il lavoro dell’Accademia inizia con largo anticipo e che, per questo, la scelta del vincitore non è influenzata dall’attuale situazione politica e dalle migrazioni in Europa.
«Sono venuto in Inghilterra quando parole come richiedente asilo, non avevano esattamente lo stesso significato: oggi sempre più persone stanno lottando e scappando da stati terroristici — ha detto lo scrittore —.Il mondo è molto più violento di quanto non fosse negli anni Sessanta, per questo ora c’è una maggiore pressione sui Paesi più sicuri. Non vedo divisioni permanenti, le persone si sono sempre spostate. La migrazione degli africani verso l’Europa è un fenomeno relativamente nuovo, ma gli europei che si riversano nel mondo non sono una novità. Penso che ci sia una sorta di avarizia dietro al motivo per cui è così difficile per gli Stati europei fare i conti con questa realtà».
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