In una biblioteca virtuale in cui si volesse rendere omaggio a Gabriel Gárcia Márquez - morto nella notte del 17 aprile a 87 anni a Città del Messico per l’improvviso aggravarsi di una polmonite - probabilmente verrebbero scelti questi cinque libri.
Gabo, come lo chiamavano i nostalgici, non era solo il Nobel per la Letteratura del 1982 né tantomeno esclusivamente l’autore di Cent’anni di solitudine, il libro che andò a scavare un buco nel cuore dei giovani sessantottini e di tutti i successivi figli delle contestazioni del tempo. Molto più di un autore-simbolo di una generazione, Márquez fu il creatore di quel realismo magico che fece di Macondo e della saga dei Buendia sinonimo di vita alternativa e che diede il via al boom della letteratura latinoamericana degli anni ’70.
GABRIEL GARCIA MÁRQUEZ - 5 LIBRI CONSIGLIATI
1. CENT’ANNI DI SOLITUDINE (1967)
Una realtà fatta di storie vere tratte tanto dalla vita personale quanto dalla storia colombiana filtrate attraverso la fantasia fiabesca e surreale dell’immaginario latinoamericano arricchite da eventi leggendari. Questi i principali ingredienti del successo di Cent’anni di solitudine, una delle epopee familiari più belle della seconda metà del ‘900, da godersi tutta d’un fiato avvolti dall’atmosfera magica di Macondo, dalla flagellata stirpe dei BuendÍa e dallo zingaro MelquÍades.
«Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano BuendÍa si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio.»
Probabilmente uno degli incipit più memorabili di sempre.
2. L’AUTUNNO DEL PATRIARCA (1975)
Un’opera unica e innovativa a quasi dieci anni di distanza dal suo capolavoro è L’autunno del patriarca, la storia di un generale-dittatore di uno stato caraibico scritto con uno stile estremamente particolare. Un viaggio a ritroso nella vita dell’anonimo generale-dittatore che parte proprio dal ritrovamento del cadavere del protagonista, un uomo confinato alla solitudine e a un progressivo distacco dalla realtà proprio dal potere che aveva acquisito in seguito a una guerra civile.
«Durante il fine settimana gli avvoltoi s'introdussero nella casa presidenziale, fiaccarono a beccate le maglie di filo di ferro delle finestre e smossero con le ali il tempo stagnato nell'interno, e all'alba del lunedì la città si svegliò dal suo letargo di secoli con una tiepida e tenera brezza di morto grande e di putrefatta grandezza.»
3. CRONACA DI UNA MORTE ANNUNCIATA (1981)
Famoso anche per fare dei titoli dei suoi libri degli slogan assurti poi a veri e propri modi di dire,Cronaca di una morte annunciata è forse l’opera più conosciuta di Márquez subito dopo Cent’anni di solitudine. Dall’intreccio di situazioni e personaggi estremamente complesso, Cronaca di una morte annunciata è uno dei romanzi più brevi di Márquez la cui particolarità è data dal fatto che la vicenda viene narrata di volta in volta attraverso il punto di vista del personaggio coinvolto.Ognuno sapeva cosa stava per succedere e ognuno aggiunge un particolare in più che, per un motivo o per un altro, non riesce a impedire la tragica fine del protagonista Santiago Nasar. Maestro di intreccio, caso e fatalità, Marquez apre così Cronaca di una morte annunciata:
«Il giorno che l'avrebbero ucciso, Santiago Nasar si alzò alle 5,30 del mattino per andare ad aspettare il battello con cui arrivava il vescovo. Aveva sognato di attraversare un bosco di higuerones sotto una pioggerella tenera, e per un istante fu felice dentro il sogno, ma nel ridestarsi si sentì inzaccherato da capo a piedi di cacca d'uccelli. «Sognava sempre alberi, – mi disse Plácida Linero, sua madre, 27 anni dopo, nel rievocare i particolari di quel lunedì ingrato. – La settimana prima aveva sognato di trovarsi da solo su un aereo di carta stagnola che volava in mezzo ai mandorli senza mai trovare ostacoli», mi disse. Plácida Linero godeva di una ben meritata fama di sicura interprete dei sogni altrui, a patto che glieli raccontassero a digiuno, ma non aveva riscontrato il minimo segno di malaugurio in quei due sogni di suo figlio, né negli altri sogni con alberi che lui le aveva riferito nei giorni che precedettero la sua morte.»
4. L’AMORE AI TEMPI DEL COLERA (1985)
De L’amore ai tempi del colera nel 2007 è stato tratto un adattamento cinematografico con Giovanna Mezzogiorno, Javier Bardem e Shakira per la colonna sonora di cui forse è bene dimenticarsi.
Tragica storia d’amore, L’amore ai tempi del colera è un libro di attese che narra la vicenda di Florentino Ariza, impiegato con la passione per la poesia innamorato dell’adolescente Fermina Daza. Tale amore però non potrà essere coronato prima dei “cinquantatré anni, sette mesi e undici giorni, notti comprese” in cui Fermina si comporterà come se Florentino non esistesse sposando lo scapolo più bello della città e dando il via a un’ardita scalata sociale.
«Era ancora troppo giovane per sapere che la memoria del cuore elimina i brutti ricordi e magnifica quelli belli, e che grazie a tale artificio riusciamo a tollerare il passato.»
5. IL GENERALE NEL SUO LABIRINTO (1989)
Mai distaccatosi dalla tematica della guerra, a quattro anni dalla parentesi amorosa de L’amore ai tempi del colera Márquez scrive Il generale e il suo labirinto in cui racconta gli ultimi anni di vita di Simón Bolívar, il generale divenuto il liberatore di Bolivia, Perù e Venezuela di cui vengono ripercorsi gli amori e le avventure. L’attenzione di Márquez però, venata da quell’imperdibile malinconia, si sofferma più sulle sconfitte che sulle vittorie e su una in particolare: il sogno della guerra civile, fallito sotto i colpi degli interessi della politica che tradì le speranze del popolo. Un libro incentrato sui ricordi di un grande stato sudamericano in cui è facile perdersi all’interno di labirinti fatti di solitudine.
«José Palacios, il suo domestico più antico, lo trovò che galleggiava sulle acque depurative della vasca da bagno, nudo e con gli occhi aperti, e credette che fosse annegato. Sapeva che era uno dei suoi molti metodi per meditare, ma lo stato di estasi in cui giaceva alla deriva sembrava quello di chi non appartiene più a questo mondo. Non si azzardò ad avvicinarsi, ma lo chiamò con voce sorda secondo l'ordine di svegliarlo quando non fossero ancora le cinque per mettersi in marcia alle prime luci. Il generale emerse dalla malía, e vide nella penombra gli occhi azzurri e diafani, i capelli crespi color scoiattolo, la maestà impavida del suo maggiordomo di tutti i giorni che reggeva in mano la ciotola dell'infuso di papavero con gomma arabica.»
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